sabato 27 giugno 2020

Fragile? No grazie.

Non sono fragile, sono vulnerabile. A farmi male non ci vuole niente, ma fiaccare la mia resistenza è tutt’altra cosa. 


Per molto tempo non l’ho capito. Non comprendevo la differenza, mi pensavo, indifferentemente, fragile o vulnerabile. E non coglievo la distinzione. 

È strana questa confusione in una persona con il culto della lingua, che per tutta la vita, da bambina fino a...domani ha letto, nota bene non sfogliato, proprio letto il vocabolario come il più appassionante, il più avvincente dei romanzi. E ne ho comprati e letti diversi.

E ho sempre considerato il giorno in cui imparavo una nuova parola come un giorno fortunato, un giorno portatore di gioia. 


Credo che se allora mi avessero chiesto la differenza tra le due parole non avrei saputo dirla. O forse sì, chissà, ma come qualcosa che non riguardava me, come una differenza che non mi concerneva. Vivevo nella caligine. 


Mentre mi confrontavo con la depressione e apprendevo a coglierne i segni negli altri - con empatia, con pena, con tenerezza anche- nell’osservazione delle nostre vite faticose, tirate avanti a denti stretti nella sofferenza incomunicabile che le gravava, nella mia mente si fece strada un pensiero. 


Un pensiero che poi non solo si è radicato, ma arricchito di osservazioni e constatazioni fino a diventare una vera e propria teoria. Scrivo teoria, così, per ipocrita rispetto delle regole della scienza, ma per me non è una teoria, ma un assioma, una verità evidente di per sé, “un principio certo per immediata evidenza”. (Treccani). Una legge.

La Prima Legge dell’io* depresso e purtuttavia vivente. Vivente in una società. 


Che cosa dice la Prima Legge dell’io depresso? 

Colui/colei che è depresso/a e nondimeno vive è forte.



Dice che coloro che vivono in stato di depressione -che vivono un giorno dopo l’altro, dall’alba al tramonto e dal tramonto all’alba la condizione di depressione- sono persone forti. Fortissime. Ben più forti di quelli che la depressione non la conoscono e la confondono con la malinconia, con la tristezza, con lo sconforto. 


Forti perché portano avanti le loro giornate tra gli altri, “i sani”, contorcendosi, trascinandosi, ripescando se stessi da abissi inscrutabili, da terrori inesplicabili.

E le portano avanti le loro giornate e aprono bocca e parlano e dicono buon giorno e buona sera e  sorridono e rispondono e fanno, lavorano, salgono sugli autobus, scendono dagli autobus, entrano nei negozi e fanno la spesa o negli uffici comunali e chiedono i certificati, le carte di identità. E della loro identità non sanno più nulla e dubitano di averne una, e non si sentono coincidenti con nulla se con la loro sofferenza. Eppure vivono. 


Per questo sono forti e io m’inchino dinanzi a loro, rispettosa, deferente e insieme colma di considerazione e di sofferente alterigia. Sono così forti loro, sono così forte io! 

Infatti io so di essere vulnerabile e che chiunque con una parola, una sola, può farmi tanto male che per riparare la ferita ci vogliono venticinque punti e disinfettanti e garze sterili e fasciature, bende e cerotti, ma, MA, so che, benché così piagata, io dirò ancora buongiorno e buonasera e il piede destro seguirà il sinistro mentre continuerò a camminare sulla terra. 

In forza della Prima Legge dell’io depresso. 


*io come lo intende lo psicologo, non l’io di Freud

3 commenti:

  1. Io no, non ce la faccio, pur usando punti di sutura, disinfettanti bende e quant'altro, la ferita resta anzi, potrebbe anche infettarsi perchè la mia vulnerabilità è profonda come il mio rispetto per gli altri.
    Certo, come te posso dire buongiorno e buonasera ma lo dico dopo che mi son ricordato che ci fu in momento, una frazione di minuto, una vita fa che sono stato ferito e il mio saluto che può essere accompagnato anche e perfino da una sorriso che è quello di chi sa e ricorda. Buonanotte.

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    1. I ricordi che fanno così male stanno lì, niente può disinnescarli, ma adesso tu hai letto queste mie piccole riflessioni e hai risposto a uno stimolo opponendo la tua consapevolezza. Non sei stato passivo. Non so spiegarmi meglio.

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Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo