venerdì 26 giugno 2020

il prolungato addio

Da tempo guardo al mondo con lo sguardo dell'assenza. 
È uno sguardo di chi sta sulla porta. Lo sguardo di qualcuno che non è più padrone di casa, ma già ospite. È lì e non è già più lì, guarda e immagina. Così io guardo e immagino. Immagino il mondo quando il padrone di casa se ne sarà definitivamente andato.
Nel mio immaginare, gli altri sono tutti presenti e ormai in pace con la mia assenza. Non voglio che chi mi ama soffra. E guardo alle loro vite con speranza ma anche con un senso di impotenza che si sforza di diventare accettazione, quella sensazione che l'assenza porta con sé, di non poter più intervenire, in sostegno, in difesa, in appoggio. Questo è forse l'esercizio più difficile per l'assente ancora presente.

È strano che della mia assenza ancora nessuno si avveda, che io risulti presente a tutti gli effetti. Forse perché mi adopero nel frattempo in un prolungato addio. 

Immagino, ma intanto provvedo. O tento di farlo. Un prolungato addio richiede piccoli gesti quasi impercettibili agli altri, subliminali quasi: frasi, parole, piccoli accorgimenti, e sorrisi speciali di cui io sola so il significato nascosto e che un giorno, spero, sarà chiaro anche a chi resta. 
Perché la speranza è davvero l'ultima dea e il già assente, che tuttavia è presente, se non ha né vuole un futuro cui guardare per sé, volge comunque il suo sguardo avanti, verso quello che sarà il passato del suo sé di oggi e il futuro di tutti gli altri, il loro futuro con sé assente. Guarda già indietro per vedere un avanti, l'avanti degli amati. 

Il prolungato addio comporta anche atti, disposizioni, riordini, accortezze, avvisi. L'assente ha tanto da fare e cerca di farlo al meglio. Il suo fare è rischioso, si basa su previsioni e, si sa, le previsioni sono difficili da fare e possono essere sbagliate. Va così in fretta il mondo! L'assente -e tuttavia presente-  ha un numero limitato di dati su cui basarsi e per leggerli la sua sola esperienza. Poca cosa davvero. Ma vi attinge a piene mani, la scruta, la analizza, la rivede, la seziona. Non scarta niente -le scelte felici e gli errori- perché tutto può servire e tutto viene messo a disposizione.
L'assente vive nel futuro.

Non ha nessuna intenzione di lasciare disposizioni. Odia l'idea di darne per il futuro degli altri. Pensa a qualche breve suggerimento, a qualche piccolo consiglio. E pensa tanto, ma tanto, a rassicurazioni e incoraggiamenti. I piccoli consigli non sono dettagliati, ma generali, tali che trasmettano intera la fiducia che ripone in chi resterà. Pensa a una partenza leggera, il più leggera possibile, affinché il vuoto che lascerà -infatti l'assente sa che lascerà un vuoto, e questa è l'atroce consapevolezza dell'assente che di vuoti se ne intende-  affinché quel vuoto non sia gravato da prescrizioni, richieste, compiti da assolvere. 

Aveva anche pensato di raccontarsi, senza indulgenze, piagnistei, o roventi accuse a se stesso. Ma no, non si processerà. La sua pietà per gli esseri umani accoglie anche se stesso. Questo sentimento non coincide con l'assoluzione con formula piena. È piuttosto il riconoscersi nella propria fragilità e nelle proprie contraddizioni -in definitiva nella sua umanità- è rispettare anche per sé il mistero che avvolge e talvolta sostanzia tutte le vite umane. L’assente presente ha tutte le intenzioni di viaggiare con un bagaglio leggero.

Chissà quante delle cose sperate saranno realtà. L'assente lo ignora ma intanto opera perché questa sua anomala assenza serva il giorno in cui sarà diventata definitiva. 







1 commento:

  1. Forse perché conosciamo più quelli che stanno oltre la soglia e non capiamo più quelli che stanno dietro di noi e ci incalzano con la loro vita. Chissà...

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