giovedì 18 giugno 2009

si fa quel che si può


Cari amici, mi scuso con tutti voi ma in questo periodo la mia testa è lontana dal mio e dai vostri blog. Non mi manca solo il tempo ma anche l' energia.
L'affetto per tutti voi invece resiste. Cristiana compresa! :-)
Sia qui che su facebook che nei blog amici mi affaccio quando posso.
a presto, marina


voglia di incendiare tutto

Niccolò Ghedini, avvocato del presidente del Consiglio e Senatore della Repubblica, in relazione alle recenti notizie circa giovani donne retribuite per partecipare a feste date dal Presidente del Consiglio a palazzo Grazioli e a Villa Certosa (Corriere della Sera) o per essere accompagnate ad incontrare il Presidente del Consiglio stesso a Palazzo Grazioli, come racconta una ragazza in una intervista, replica così:

“ancorché fossero vere le indicazioni di questa ragazza, che vere non sono, il premier sarebbe l’utilizzatore finale e quindi mai penalmente perseguibile”.

L’uso di quella parola, “utilizzatore”, è rivoltante.
Io vorrei che fosse penalmente perseguibile chi parla così delle donne, considerandole oggetti d’uso e chiamando utilizzatore chi si intrattiene con loro.

Su tutto il resto non ho fiato per intervenire.



Dal Devoto-Oli

Utilizzare: verbo transitivo

~ Impiegare con profitto, usare, sfruttare: u. gli avanzi, gli scarti; per l’articolo ho utilizzato certi miei vecchi appunti; ho fatto dei lavori in casa utilizzando i ritagli di tempo; u. un tecnico, un esperto.
Der. di utile, sul modello del fr. utiliser | 1802

martedì 16 giugno 2009

segnalazione Teheran

http://tehranlive.org: una finestra su quanto accade a Teheran, sperando che il regime non la chiuda. Foto, filmati, cronache di questi giorni di fuoco.
Io sono vicina alle ragazze e ai ragazzi di Teheran.

non classificato

Ha scritto Tommaso Landolfi: Perdere tempo è come perdere sangue. Non ci ha consegnato però la sua idea di tempo perso e di tempo ben impiegato, non ci dice qual è quella perdita di tempo che come un’emorragia impoverisce la nostra vita e la rende pallida, esangue. Forse addirittura più breve. Io sono infatti personalmente certa che il tempo fruttuoso è anche tempo guadagnato, allunga, cioè, e dilata la nostra vita perché l'arricchisce di senso. Ognuno di noi ha una sua idea del tempo ben speso e nessuno dovrebbe indicare ad un altro in che modo spendere il suo, perché, sia chiaro, il tempo è la vita stessa e cosa farne è un' insindacabile decisione individuale. Nella pratica però ognuno di noi ha molto da dire sul modo altrui di spendere il tempo. Personalmente mi capita di osservare esseri umani e di non capacitarmi del fatto che passino il loro tempo, che so, seduti in un salotto televisivo, sera dopo sera, commentando con passione insignificanti accadimenti che si svolgono su un’isola lontana o in una finta casa o in una pseudo fattoria. E mi chiedo: ma la sera, tornati a casa, quando si struccano o si tolgono la cravatta, come si sentono? Cosa pensano di se stessi e della loro giornata? Si sentono soddisfatti? A disagio? Contenti di sé? Avviliti? E non so rispondermi. Ci sono casi in cui l’uso del tempo dei miei simili mi lascia attonita, priva del più piccolo barlume di comprensione; ci sono comportamenti altrui che suscitano in me questa paralisi del giudizio, questo enorme punto interrogativo, questa diserzione della capacità immaginativa; usi del tempo che mi travalicano e mi proiettano in universi mentali imperscrutabili, di fronte ai quali non so che sgranare gli occhi e ammutolirmi. Eppure anche questa specie di sospensione del giudizio non è virtuosa, lo so, non è prova di democratico rispetto per l'altro: è come quando in una graduatoria, su un tabellone dei giudizi — scolastici o sportivi o di diversa natura concorsuale — accanto ad un nome si traccia la scritta “Non classificato”. C’è un giudizio più severo del dire a qualcuno che non è neanche stato giudicato? Beh, non so a voi, ma a me capita. Considerate questa una confessione.

domenica 14 giugno 2009

quanti addii

Anche Ivan della Mea ci ha lasciati. E' la nostra storia che si fa remota e silenziosa. Mi sento una specie in via di estinzione, mentre vitalissime nuove creature defecano sui nostri ricordi.

venerdì 12 giugno 2009

ricordando Demetrio Stratos

Era Egiziano? Era greco? Era italiano? Demetrio Stratos è nato dal passato di tutti i popoli del mondo. E' andato alle origini della voce che canta e ancora nessuno ha potuto sostituirlo o anche solo accostarsi a lui. Ci ha lasciati trenta anni fa, il 13 giugno del 1979












offerte da papavero di campo

altre poesie di Fernanda Romagnoli offerte da papavero di campo.


Grazie – ma qui che aspetto?
Io qui non mi trovo. Io fra voi
sto come il tredicesimo invitato,
per cui viene aggiunto un panchetto
e mangia nel piatto scompagnato.
E fra tutti che parlano – lui ascolta…
(Il tredicesimo invitato)



Ancora:

Prima o poi qualcuno lo scopre:
io sono già morta
da viva. E’ di donna straniera
la faccia tra i capelli in giù sporta
che subito si ritira,
l’ombra che dietro le tende
s’aggira di sera,
il passo che viene alla porta
e non apre. Suo il canto
che intriga i vicini coprendo
i miei gridi sepolti…

(Falsa identità)

e ancora:

Quella donna dal viso indifeso
Un poco sfiorita-
che passa nello specchio
in una scolorita veste rossa,
senza fruscio, di fretta,
rialzando sul capo i capelli
con mano distratta:
quella donna dall’anima dimessa
dicono che son io.

e ancora:

… E questo volto umano
che m’affronta ogni sera dallo specchio,
ogni sera più nudo, prosciugato
sulle crepe dell’anima: io l’accetto.
Dunque perché il tuo palpito mi strazia?
Che vuoi da me, ritratto
di quand’ero ragazza?

(Ragazza)


e ancora:

Nei ghetti del mio corpo, certe notti,
i cinque sensi circolano cupi
sobillando lo Spirito…

(Sobillazione)

che dire?
lei ha detto, lei dice!

martedì 9 giugno 2009

ricorrenze


Il 9 giugno del 1986 moriva a Roma Fernanda Romagnoli, poetessa romana che voglio ricordare pubblicando questa sua poesia.


Lei non ha colpa se è bella,
se la luce accorre al suo volto,
se il suo passo è disciolto
come una riva estiva,
se ride come si sgrana una collana.
Lo so. Lei non ha colpa
del suo miele pungente di fanciulla,
della sua grazia assorta
che in sé non chiude nulla.
Se tu l'ami, lei non ha colpa.
Ma io - la vorrei morta.

da Il tredicesimo invitato- Garzanti

lunedì 8 giugno 2009

minuzie

Per chiunque abbiate votato le elezioni non sono andate male. Infatti il nostro paese ha comunque dato prova di un alto grado di civiltà. I Vigili Urbani hanno scortato al seggio la signorina Noemi Letizia, per la prima vota chiamata a votare. Ogni tanto anche noi siamo in grado di dare lezioni al resto del mondo.
Tornando seria: non che l'avrei voluta sopraffatta da golosi reporter ma non mi sarebbe spiaciuto se, come qualunque altra cittadina, avesse votato nel seggio a porta aperta mentre i vigili scortavano, magari, qualche anziana signora claudicante.

da la Repubblica
La diciottenne al seggio di Portici si fa accompagnare dal padre e scortare dai vigili
Il presidente chiude la porta in faccia ai fotografi per farla votare da sola
La prima volta di Noemi al seggio
E scoppia il caos: "Privilegiata"

Noemi Letizia al seggio 62 di Portici
MULTIMEDIA
LE IMMAGINI
NAPOLI - La prima volta di Noemi al seggio, e scoppia la bagarre. Infrangendo la procedura, il presidente del seggio chiude la porta per farla votare da sola e il padre l'accompagna fino all'urna. Protestano i reporter esclusi e protestano pure i cittadini contro i vigili urbani che scortano Noemi alla macchina: "Vergognatevi! Scortate un semplice cittadino. E' una privilegiata".

Occhiali scuri, capelli sciolti, abito nero elegante, Noemi è arrivata al seggio 62 di Portici a bordo di una Mercedes. I flash sono stati tutti per lei, al centro della chiacchierata amicizia con Silvio Berlusconi. Nessuna dichiarazione alla stampa: questa volta Noemi ha preferito tacere e del "Papi" non ha voluto parlare.

domenica 7 giugno 2009

società e voto

ANDARE A VOTARE GUIDATI DALLA RAGIONE
Repubblica — 05 giugno 2009

"Il pericolo c' è, ed è reale. Una bolla di stanchezza e di disperata indifferenza - non sappiamo quanto vasta - rischia di installarsi nel cuore civile e politico del Paese, e di risucchiare dentro di sé - verso l' astensione - una parte che potrebbe rivelarsi anche non trascurabile dell' elettorato tradizionalmente, o anche solo potenzialmente, "progressista". E infatti è inutile nasconderselo: fra il popolo della sinistra italiana (per favore, non chiamiamolo più "gente"), e i partiti in cui dovrebbe riconoscersi, mai la distanza e l' incomprensione sono state tanto forti e diffuse. Nello scollamento c' è di tutto: vuoto di idee, logoramento di parole, consunzione di gruppi dirigenti - insomma, un' autentica caduta verticale della rappresentanza. È, purtroppo, la nostra Italia: e Michele Serra ne ha appena dato, ieri, su questo giornale un ritratto impeccabile. A questo sentimento di disaffezione è inutile opporre la logica delle convenienze tattiche, o il richiamo delle appartenenze: chi ne è preso, è ormai al di là della soglia raggiungibile con discorsi di tal genere. Ma non dovrebbe tuttavia essere insensibile alla forza della ragione. Cos' è mai stata, la sinistra, senza ragione, senza pensiero, senza analisi, ricerca, capacità di mettere in prospettiva situazioni ed eventi? Ed è dunque alla ragione molto più che al cuore che bisogna parlare, in questo momento - e soprattutto, alla ragione dei giovani. Proviamo allora a farlo. Per prima cosa, bisogna stare attenti a non lasciarci abbagliare dalle difficoltà del Pd (per non dire dei partiti alla sua sinistra), fino a non vedere un altro aspetto della realtà politica che ci circonda. Vale a dire, il fatto che in Italia, come del resto in Europa e in tutto l' Occidente, sta tornando con forza inaspettata, sull' onda della crisi, e malgrado le inadeguatezze dei suoi partiti "storici", rimasti drammaticamente indietro, un grande e inedito "bisogno di sinistra": nel senso di una nuova domanda di politica (mentre la destra si era fatta interprete solo del populismo antipolitico), di regole condivise (mentre la destra aveva fatto dell' anarchia mercatista la sua bandiera), di legami sociali (mentre la destra si era appagata di un individualismo acquisitivo e consumista che faceva il deserto intorno a sé), di misura e di eguaglianza come parità nelle opportunità di vita e nelle possibilità di accesso alle risorse e alle conoscenze (mentre la destra non aveva saputo che elevare a proprio simbolo la "dismisura" privata del suo leader). Se si guarda bene, si vede che lo scarto fra il popolo della sinistra e la sua rappresentanza politica è tanto più acuto, quanto più quella frattura comincia a rivelare questo secondo scompenso: fra le nuove domande rese urgenti dalla crisi, e le risposte che quei partiti, qui e ora, sono in grado di offrire. Se le cose stanno in questi termini, è comunque indispensabile che il nuovo "bisogno di sinistra" - come esigenza di una politica, di un' etica e di un' economia guidate da una progettualità sociale che non trovi nel mercato e nei consumi la sua sola razionalità - emergente dalla forza stessa del presente, non si disperda, trovi il tempo e lo spazio per cristallizzarsi e per presentarsi per quello che è davvero: uno straordinario motore di innovazione e di cambiamento. Ma se invece la reazione a tutto ciò è l' astensione - perché riusciamo a vedere solo il vecchio dei partiti e non la novità dirompente che gli si sta formando intorno - noi rendiamo irriconoscibile politicamente e socialmente la domanda di una nuova cultura della misura, delle regole, della sobrietà, della stessa accumulazione capitalistica e dello stesso rapporto fra valore d' uso e valore di scambio (è Manuel Castells ad usare questi termini, non qualche dinosauro paleomarxista); in altri termini, noi renderemmo clandestina niente di meno che la domanda di un mondo nuovo. E c' è poi un altro ordine di considerazioni, non meno impegnativo e concettualmente vincolante. È in atto in Italia un tentativo di sfondamento populista della coscienza politica del Paese, di totalizzazione plebiscitaria del suo senso comune, e quindi di scarnificazione della nostra democrazia. Esso fa leva su strati profondi del carattere nazionale, e cerca di esaltare pulsioni antiche, selezionate da una storia millenaria. Non credo sia un' operazione destinata al successo: per il berlusconismo è piuttosto un' incendiarsi del cielo al tramonto, che l' annuncio di una nuova alba. Ma questo non toglie che già il solo provarci stia riempiendo il terreno di scorie e gli animi di tossine, e che qualunque intrapresa in questa direzione vada contrastata con estrema decisione. Ogni giorno che passa l' orizzonte si colma di macerie. Probabilmente, anche Fini lo sta capendo benissimo, e forse comincia a capirlo almeno una parte della Chiesa. Ma di nuovo, l' astensione renderebbe irriconoscibile questa volontà di opporsi («non in mio nome» diceva bene ieri Serra), questa esigenza di contrasto per imporre un' altra idea di Italia, più adulta, più matura, più liberata. In qualche modo, ci priveremmo dello stesso diritto di poterci non dire berlusconiani. Io non so se il Partito democratico sia - come è stato detto - «un amalgama mal riuscito». So però che comunque è troppo presto per affermarlo, e che quella formazione nasce da un tentativo generoso e lungimirante, e che i venti anni che lo hanno preceduto, e a cui ha posto fortunatamente fine, sono stati i peggiori della sinistra italiana - anche se sono stati gli anni che la hanno vista per la prima volta al governo, e nessuno può sottovalutare l' importanza dell' evento. È la ragione e non il cuore a spiegarci che indietro non si torna. Ed è la ragione che deve portarci alle urne, e guidare la nostra decisione. - ALDO SCHIAVONE

L'articolo, secondo me, è molto molto interessante. Fate come me, non vi focalizzate sulla indicazione di voto: è l'analisi che merita riflessione.
Di Aldo Schiavone ho letto recentemente "L'Italia contesa" edito da Laterza. Piccolo libro che contiene un barlume di speranza.

io odio


NOTA BENE: QUESTO ESEMPIO E UNO DEI PIU SEMPLICI

Odio con tutte le mie viscere l'orribile pratica blogger della "verifica delle parole" per i commenti. Mi costringono a ricopiare quei pazzeschi incontri-scontri di lettere illeggibili. Mi fanno perdere tempo, spesso sbaglio e debbo ricominciare; spesso sono scritti in una grafia illeggibile, le lettere sono sovrapposte ecc. Lo so per quale ragione di sicurezza gli amici blogger le inseriscono, ma io li odio lo stesso! E poi, confesso, mi sembrate un po' paranoici!
Oggi però è successo che commentando da Guglielmo come "verifica parole" è venuto fuori OASING e questo mi ha fatto pensare ad un possibile significato. Oasing come "sognare un'oasi"? oasing come "rifugiarsi n un'oasi"? oasing come "farsi oasi per qualcuno"? insomma ho intravisto una possibile letura di quelle accozzaglie di lettere. Lì per lì mi sono detta che d'ora in poi avrei commentato solo quando la verifica lettere avesse contenuto un minimo di senso. Poi ho pensato che per il futuro avrei tentato di dargliene uno in ogni caso e che quello sarebbe stato il mio commento. Poi più modestamente e calmamente ho deciso di farvi partecipi di questa mia idiosincrasia perché teniate conto dell'amore che vi testimonio quando lascio il mio commento sui vostri post nonostante l'orribile "verifica delle parole"!

venerdì 5 giugno 2009

ponti e ponteggi



Per oltre un anno ho tentato di ricordare il cognome di una persona che non sento da molti anni e che pure, in un periodo della mia vita, è stata molto importante per me.
Si tratta dunque di un cognome che avrei dovuto ricordare. Invece niente, il vuoto più assoluto.
Va bene l'età e va bene i neuroni che se ne vanno, e va bene le sinapsi che si diradano, ma...

Non mi ci volle molto a capire che il mio cervello rispecchiava l'ambivalenza delle mie intenzioni.
Da un lato il desiderio di rintracciare quella persona per saperne la condizione, per testimoniarle la mia memoria e il mio affetto; dall'altro il desiderio di lasciar sfumare questo, come altri ricordi, verso un deposito sicuro ma mai attinto, quel luogo fatto di chiaroscuri in cui giace la nostra vita passata.

In questa confusione di desideri, conducevo la mia battaglia con la memoria servendomi di ogni mezzo: l'esplorazione del più piccolo pezzetto di carta nei miei cassetti, delle vecchie agende, delle rubriche;
l'accanita ricerca in Internet, centinaia e centinaia di pagine sfogliate, scorse, mettendo assieme tutte gli elementi in mio possesso, ricerca infruttuosa, malgrada la potenza del mezzo, perché condurre una ricerca senza un cognome è dura anche nella favolosa era Internet e Facebook;
poi le richieste a tutti i conoscenti comuni, richieste reiterate ogni tot mesi in attesa che le loro memorie si sbloccassero. In almeno un caso il cognome non hanno voluto dirmelo nascondendosi dietro la fallacia della memoria.
E' stato questo a scatenare la mia implacabile determinazione.
Mi sono quindi recata negli uffici della Telecom dove una volta erano disonibili tutti gli elenchi telefonici di tutte le città di Italia. Ero pronta a sfogliare dalla a di Abado alla z di Zucchi l'elenco telefonico della città in cui sapevo che quella persona viveva e poi se necessario tutte le città della regione e poi perché no, tutte le città d' Italia in attesa di leggere un cognome che, ne ero certa, avrei riconosciuto.

La Telecom però non offre più questo servizio.

Allora ho provato a comprarli, gli elenchi, ma anche questa possibilità si è rivelata inesistente. Non li vendono più, si consultano in rete ma A PARTIRE DAI COGNOMI ovviamente.

Ho anche provato ad avere gli elenchi dei frequentatori di almeno un luogo che sapevo con certezza essere stato frequentato da quella persona per un certo periodo di tempo. Ma quegli elenchi mi sono stati rifiutati.

Intanto erano passati mesi e mesi. Ma la ricerca folle continuava.

Ormai le armi più potenti si erano spuntate nelle mie mani. Mi restavano pratiche al limite dell'esoterico e dell'occulto.
Feci così ricorso alla scrittura automatica, tracciando all'improvviso su carta il nome proprio, nella speranza che il cognome venisse trascinato appresso automaticamente. Niente.

Ormai ero fiaccata nelle mie capacità inventive e la mia intraprendenza si sentiva agli sgoccioli.

Non mi restava che rassegnarmi a sperare in un improvviso risveglio della memoria e ad attendere forse anni che improvvisamente si ricostituisse il percorso necessario a raggiungere quella informazione nascosta nel mio odioso cervello.

Ma la parola rassegnazione non rima con marina e così mi rifiutai di dichiararmi sconfitta.
Ma ero davvero all' ultima spiaggia.

Decisi cioè di affidarmi alla potenza evocativa della musica. Così presi l'abitudine di ascoltare incessantemente, mentre ero al computer, musica di quel periodo o musica che avevo avuto occasione di ascoltare insieme a quella persona.
Scrivevo i miei post o rivedevo il mio libro e intanto sullo sfondo la musica andava con il compito di lavorare dentro di me.

Un giorno poi, mentre scrivevo di Seneca e sullo sfondo Leonard Cohen continuava a bere tè con Suzanne, all'improvviso nell'interno della mia testa come su uno schermo bianco si stamparono tre lettere e subito io seppi che quelle lettere appartenevano a quel cognome.
Ma seppi anche, non so come, che non erano le lettere iniziali. Facevano parte del nome ma non ne erano l'inizio. Sapevo che c'era almeno un'altra lettere se non una sillaba prima ed altre lettere dopo.

Ma questo era il primo successo dopo un anno di fatica investigativa e l'entusiasmo mi dette una nuova forza.


Così una sera mi misi al lavoro: cominciai a premettere per iscritto a quelle tre lettere tutte le lettere dell'alfabeto finché con assoluta certezza trovai la prima lettera. Ora avevo quattro lettere, le prime quattro lettere!
Dopo un anno abbondante avevo quattro lettere! Ben due sillabe! Un trionfo addirittura.
E fu il trionfo che mi dette il coraggio di continuare in quel lavoro di ricostruzione: passai così a posporre a quelle quattro lettere tutta la serie di sillabe dell' italiano.
Scelsi quelle compatibili con i canonici incontri di lettere della lingua italiana, cioè, nel mio caso, solo quelle inizianti con consonante. Procedetti da ba be bi bo bu attraverso ca ce ci co cu eda de di do du e avanti così, nessuna sillaba esclusa, pronunciandole ad alta voce e scrivendole poi.

Le scrivevo accanto al mio gruzzolo di sillabe iniziali nella speranza che la solita scrittura automatica mi prendesse ad un certo punto la mano e la guidasse a tracciare l'intero cognome. Non accadde.

Puntai allora sulla speranza che quelle prime due sillabe potessero richiamare in qualche modo alla mia mente un barlume confuso di ipotetica ultima sillaba. Così mi misi a pronunciare le prime sillabe, seguite da un borbottio indistinto seguito con voce chiara da tutte le sillabe della nostra lingua, sia quelle inizianti con consonante che quelle inizianti con vocale. Da ac, ad, af eccetera, e poi ba be bi e così via...
Procedevo attraverso i miei borbottii e nulla accadeva.

Ma sentivo che Galileo era con me. Prova ed errore, mi ripeteva il suo metodo. Prova ed errore.
E prova ed errore dopo prova ed errore, ad un certo punto la mia mente trasalì e mi attestò che l'ultimo tentativo aveva centrato l'obiettivo: riconobbi l'ultima sillaba!
Ora avevo le due sillabe iniziali e l'ultima. E in mezzo? Lavoravo da diverse ore e ignoravo quante lettere mi mancassero.
Tenendo conto della lunghezza media dei cognomi italiani potevo sperare che mi mancasse una sola sillaba. E così ripartii incastrando tra le sillabe ormai note tutte le sillabe italiane compatibili. E finalmente, non per effetto di una illuminazione ma come risultato di un sistematico lavoro di incastro, la sillaba mancante, la maledetta sillaba mancante venne fuori!
Eccolo lì il cognome che inseguivo da più di un anno! Eccolo lì, inequivocabilmente lui! Quattro sillabe conquistate a forza di tempo e tenacia.

Ero esaltata dal successo ma sfinita dalla fatica.
Così me ne andai a dormire rimandando all'indomani la ricerca su Internet con nome e cognome.
Prima me lo appuntai, per sicurezza. Ma è certo che un cognome ricostruito con così tanta fatica non si dimentica più.

Il giorno dopo finalmente condussi la mia ricerca in Internet con i miei due elementi base,belli chiari: nome e cognome. Potei così seguire quella persona e la sua vita negli ultimi venti anni attraverso le sue diverse attività, presenze e partecipazioni.

E poi?
E poi non so, la mia rabbia famelica di notizie si era come placata, il mio slancio si era esaurito nel corpo a corpo della ricerca, o semplicemente sentii il bisogno di mettere da parte in quel deposito in cui giace la nostra vita passata anche quel faticato ricordo. Forse un giorno userò il risultato della mia ricerca per comunicare con quella persona, forse no. Quello che mi sembra importante è, oltre alla riscoperta della mia antica tenacia, sapere che esiste una via di comunicazione tra il passato e il presente e che i ponti non sono rotti.




mercoledì 3 giugno 2009

letture


Questo è un regalo che faccio a me. La prima poesia di "Lettere di compleanno" di Ted Hughes, un canzoniere d'amore in cui il poeta inglese e marito di Sylvia Plath racconta la loro storia. Noi femministe storiche lo abbiamo tanto odiato il povero Ted, nella furia del nostro amore per Sylvia. Ma odiare a lungo un poeta è difficile.
In questa poesia Ted parla della prima volta in cui vide il volto di Sylvia.

Dove fu, nello Strand? Il cartellone
di un giornalaio, notizie in fotografia.
Lo notai, chissà perché.
Una foto dei borsisti Fulbright
di quell'anno. In arrivo,
o arrivati. O solo alcuni.
C'eri anche tu? La studiai,
non troppo minuziosamente, chiedendomi
se ne avrei conosciuto qualcuno, e chi.
Ricordo quel pensiero. Non
il tuo viso. Senza dubbio mi fermai soprattutto
sulle ragazze. Forse ti notai.
Forse ti esaminai, sentendomi improbabile.
Mi colpirono i tuoi capelli lunghi, le onde morbide -
la ciocca alla Veronica Lake. Non quello che nascondeva.
Sembravano biondi. E il tuo sorriso.
Il tuo esagerato sorriso americano
per i fotografi, i giudici, gli sconosciuti, gli intimidatori.
Poi dimenticai. Tuttavia ricordo
la foto: i borsisti Fulbright.
Coi bagagli? Sembra improbabile.
Che fossero arrivati in squadra? Camminavo,
col mal di piedi, cotto un sole cocente, cocenti i marciapiedi.
Fu allora che comprai una pesca? Così ricordo, almeno.
Da una bancarella vicino alla stazione di Charing Cross.
Era la prima pesca vera della mia vita.
Così squisita che quasi non ci credevo.
A venticinque anni, mi sbalordì di nuovo
la mia ignoranza delle cose più semplici.

martedì 2 giugno 2009

aretha



I SAY A LITTLE PRAYER FOR YOU
ARETHA FRANKLIN




The moment I wake up
Before I put on my makeup
I say a little prayer for you
While combing my hair, now,
And wondering what dress to wear, now,
I say a little prayer for you

Forever, forever, you'll stay in my heart
and I will love you
Forever, forever, we never will part
Oh, how I'll love you
Together, together, that's how it must be
To live without you
Would only be heartbreak for me.

I run for the bus, dear,
While riding I think of us, dear,
I say a little prayer for you.
At work I just take time
And all through my coffee break-time,
I say a little prayer for you.

Forever, forever, you'll stay in my heart
and I will love you
Forever, forever we never will part
Oh, how I'll love you
Together, together, that's how it must be
To live without you
Would only be heartbreak for me.

My darling believe me,
For me there is no one
But you.




I SAY A LITTLE PRAYER FOR YOU
ARETHA FRANKLIN



Quando mi sveglio
prima di truccarmi
dico una piccola preghiera per te
mentre mi pettino i capelli, ora
e penso a cosa indossare, ora
dico una piccola preghiera per te

per sempre, resterai nel mio cuore
e ti amerò
per sempre, non ci lasceremo mai
oh, quanto ti amerò
insieme, ecco come deve essere
perchè vivere senza di te
sarebbe solo uno strazio per il mio cuore

corro per prendere l'autobus, mio caro
e mentre corro penso a noi, caro
dico una piccola preghiera per te
al lavoro tengo conto del tempo
e in tutte le pause caffè
dico una piccola preghiera per te

per sempre, resterai nel mio cuore
e ti amerò
per sempre, non ci lasceremo mai
oh, quanto ti amerò
insieme, ecco come deve essere
perchè vivere senza di te
sarebbe solo uno strazio per il mio cuore

amore mio, credimi
per me non c'è nessun'altro che te

lunedì 1 giugno 2009

prendere il largo

A tutti coloro che in qualche momento della loro vita mi hanno abbandonata, per un giorno, un'ora,  o per sempre:
-Non ho mai pensato di avere qualche cosa da perdonarvi, ma sempre e solo di avere qualche cosa da farmi perdonare. 
(Con un' unica eccezione). 

A tutti coloro che in qualche momento della mia vita ho abbandonato, per sempre,  per un'ora o per un giorno: 
-Solo voi potete dire quanto io abbia da farmi perdonare. In ogni caso sappiate che l'abbandono mi fa soffrire anche quando l'abbandonata non sono io.
Senza eccezioni.

ancora sui campi de l'Aquila

Riporto qui in migliore evidenza il commento di Stefi alla denuncia sulla situazione nei campi dei terremotati dell'aquilano e la ringrazio per la sua segnalazione.
Aggiungo solo che, a quanto mi dice una persona che ha conosciuto Mattia Lolli, e del cui giudizio personalmente mi fido, si tratta di persona la cui fedeltà alla sua terra viene prima di ogni altra considerazione. Anche politica.


Cara Marina,
ho provato a dare un'occhiata in rete.. e qui:


ci sarebbe un ridimensionamento della questione.

Ridimensionamento e non smentita.

Comunque, è fuor di dubbio che la situazione di militarizzazione, controlli e divieti, sia "anomala"... non mi pare di ricordare che in Friuli, in Umbria o in altre località colpite dal terremoto sia mai stata adottata questa "procedura".
Un abbraccio vigile.
Stefi

Faccio mia la vigilanza di Stefi