"Se non facciamo del nostro dolore un tempio…è possibile che si
riescano ad accettare, col cuore infine… altre angolazioni, altri punti di
vista, non fissità ma movimento.
L’idea di una porta socchiusa, non
sbarrata".
Io so che Angela ha ragione, che le sue parole contengono il solo possibile germoglio di un progredire. E credo e so che queste parole sono un incoraggiamento che Angela rivolge a se stessa, non un ammaestramento rivolto ad altri.
Perché Angela sa anche, su di sé, che il
tempo per l’accettazione, per aprire quella porta sbarrata, non è decretabile
dagli altri e neanche dal dolente stesso. E che costui, nascostamente, si
sottopone a prove, a esercizi. Alcuni gli procurano una indicibile angoscia, in
altri fallisce. Riporta anche piccole vittorie. Ma su queste non può fare
affidamento, deve considerarle –per il momento- temporanee, provvisorie, perché
cammina su un terreno instabile, avanza in un territorio che alterna tratti di
terra solida a improvvisi vuoti, mancamenti, frane.
Qualcuno
talvolta si accorge che il dolente ha pianto o lo sorprende a piangere e allora, poiché il tempo trascorso dall'evento tragico è per lui ormai tanto, "sufficiente", gli chiede: “Che è successo?”. Il dolente ringoia il pianto, risponde "niente" e subito si
adegua al tono quotidiano della conversazione che per lui è invece fatua, inutile e
inconcludente. Si rimbozzola nella menzogna. Viene ricacciato nella menzogna. Perché gli altri non sanno che sta solo facendo degli esercizi.
... e perché rassicurare gli altri è un altro dei compiti del dolente...potremmo scrivere un manualetto su ciò che si impara! Un bacio, Angela
RispondiEliminae forse lo scriveremo...
RispondiElimina-si può sapere perchè piangi?
RispondiElimina-lo sai!
-ancora?