Il
mio post Riflessioni sul progetto Leucò ha inopinatamente attirato l’attenzione
di uno degli ideatori del progetto stesso, Paolo Costa, che ha dato risposta
alla mia domanda circa il diritto di “fare a pezzi” un testo e nello specifico
il testo di Cesare Pavese.
Il
suo post risponde in modo chiaro e cristallino- e dotto- al mio. Benché
io mi senta, di fronte a lui, come una Pulce di fronte ad un Titano, provo ad
aggiungere qualche ulteriore riflessione suscitatami dal suo intervento.
L’idea
della lettura di un testo come un lavoro di scomposizione e ricomposizione mi
affascina. La lezione, ci spiega Costa, è quella di Roland Barthes. È bello
pensare di instaurare con il testo un rapporto di amore così libero, e persino
capriccioso, da consentire ogni gesto. E nessuno è violazione né profanazione.
Gli
altri possibili approcci ad un testo, ci insegna Paolo Costa, sono:
-filologico
(lavoro di ricostruzione alla ricerca della genesi del testo, rimandi e debiti ecc)
-strutturalista
(che considera il testo come un sistema organico)
-decostruzionista
(che invece lo considera come una creazione ipertrofica, dotata di un senso
straripante)
Dichiaro
subito che il filologico non può riguardarmi giacché richiede una competenza
specifica e così pure il decostruzionista.
Tendenzialmente
mi accosto al testo immaginandolo come un sistema organizzato. Debbo per questo
definirmi strutturalista? Francamente non lo so.
Se
penso ai Dialoghi di Leucò, osservo che Pavese ne organizzò e riorganizzò più
volte gli elementi, stabilendo in che ordine andassero collocati “i
dialoghetti”; anteponendoli o posponendoli più volte in diversi indici e sistemando il
suo materiale secondo temi, nuclei di significato, cui dette nomi diversi, tutti
suggestivi di interpretazioni.
Faccio
un solo esempio: I due e La madre.
In un primo indice questi sono al primo e secondo posto. Accanto a I due il
tema suggerito è "infanzia tragica", mentre per La Madre il tema è "infanzia
salvezza". È stata questa doppia visione dell’infanzia che mi ha colpita.
In un secondo
indice i due dialoghetti sono ancora accanto e il tema suggerito è "tristezza
umana"; riappaiono poi in un nuovo
elenco, sempre insieme, sotto il tema "tragedia di uomini schiacciati dal
destino". Anche nella edizione definitiva, i due dialoghi sono accostati, in un indice ancora diverso.
Mi sembra di poter dire che i due dialoghetti
fossero legati nella mente di Pavese da una affinità, se non da un vincolo.
Dunque
Pavese cercava e infine ha trovato una struttura organizzata per il suo testo.
Il problema di cui stiamo parlando ovviamente non è se il testo sia stato
pensato come struttura ma come dobbiamo trattarlo noi.
Né
il fatto che sia stato pensato come struttura organizzata dal suo autore
significa che io lettrice debba considerare questa struttura come intangibile e
a rischio di crollo e perdita di significato, se solo mi azzardo a leggere il
testo liberamente, nell’ordine che più mi piaccia e a cercarvi i miei temi, i
miei significati. Che è poi quello che facciamo sempre, ogni volta che leggiamo
un testo.
E
allora ‘sto confronto Pulce vs Titano dov’è? Forse nel mio desiderio di restare
vicina all’autore –specie se amato- di rispettarne la volontà e nel disagio che provo quando mi sembra di
infrangere, alle sue spalle, la sua costruzione, quasi di voltarle le spalle,
di respingerla. Sono dunque portatrice proprio di una forma ingenua e
sentimentale di strutturalismo? Non so rispondere neanche a questa domanda, mi
dispiace. La risposta-e il giudizio-la lascio a Paolo Costa.
Quello che posso
dire è che io sono solo una lettrice che si innamora, letteralmente, non solo
dei libri ma anche degli autori che sente vicini, che risuonano-e talvolta
rimbombano-dentro di sé. È forse questo legame che sento in pericolo? Ancora
una volta non so rispondere. E infatti nel mio trascurabile post io esprimo
solo dubbi e disagio, non sostengo, né potrei, una posizione, né pratica né
teorica.
Quanto
alla dimensione collettiva della lettura attuata su Twitter, mi ha coinvolta,
entusiasmata, occupata proprio, e la considero un esperimento ben più che
meritevole. Come dice Paolo Costa il vincolo dei 140 caratteri spinge ad una
sintesi che estrae di necessità l’essenziale. E penso che l’esperimento sia da
ripetere su altri testi, proprio per il coinvolgimento e l’appassionato sforzo
di estrarre il massimo di significati dal testo che è capace di suscitare. E
per la libertà lasciata ai lettori e che i lettori si prendono.
Quanto
alla loro definizione temo che anche quella di “dilettante militante” mi stia
un po’ larga. ;-)
Una
Pulce con così tanti dubbi forse è meglio definibile come "esploratrice dilettante".
Anch'io sono alla ricerca di una struttura. Per questo smonto il testo.
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