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Ad esempio, a questa storia che le immagini sono più coinvolgenti, dicono di più, toccano di più delle parole, io non ci credo.
Vuoi mettere un film? -dicono. No, non lo voglio mettere. E rispondo: Vuoi mettere un libro?
Così vi racconto il mio laghetto di Pellicone dopo avervelo servito con le foto. Le foto, a metterle su blogger, si sono mortificate. Erano molto belle aperte con i-Photo e ora sono piccola cosa. Ma ci lavorerò su. Però ne aggiungo un'altra, spero che si vedano le farfalle bianche sul cespuglio fiorito.
Per intanto:
Arrivo al laghetto verso le dieci del mattino. Cielo smaltato. Tanto sole. Un silenzio remoto disteso sulle tombe etrusche e sulla vegetazione, disordinata ed esuberante. Si cammina per dieci minuti sotto il sole e sotto il volo di giovani falchetti. Cerco di dimenticare che si nutrono di prede vive e ne ammiro il volo elegante facendomi schermo dal sole con il braccio. Il posto di ristoro è ancora chiuso; panche di legno, pergolato di caprifoglio. Si scende verso il lago su un sentierino arso, attraverso un boschetto fitto di noccioli e larici, di un bel verde scuro, lasciandosi alle spalle una lunga radura gialla. Nell'ultimo tratto il boschetto si fa scarno ed emana un profumo amaro. I profumi li sentiamo con il palato, è così evidente. Sui cespugli di marruca vola una folata di farfalle bianche. Eppure non vedo inflorescenze. Forse le farfalle, semplicemente si divertono. Il sentiero si apre sul piccolo lago e subito si ha un senso di fresco e di pulito. Il silenzio è meno silenzioso: l'acqua del fiume chiacchiera con i sassi bianchi, gli spumeggia un po' intorno, poi se ne scende lesta verso il mare. Il mare non è possibile presagirlo, perché la roccia basaltica, grigio-nera, per noi che siamo qui sotto, è imponente e solenne proprio come una montagna: il fiume si getta giù sui gradoni lisci. La parete scura è forata in più punti dai nidi degli uccelli. Un ragazzo traffica silenzioso intorno ad una canoa gonfiabile. Ci salutiamo, poi lui sale e via. Il gesto morbido del remo che ruota e scompare verso sud. Penso agli Etruschi che sormontarono questo fiume di un ponte imponente per l'epoca. Per me gli etruschi sono il tufo rosso di queste terre, le distese giallastre dei campi mietuti e il verde scuro, insondabile, dei boschi di querce e lecci. E tutti quei morti! Sono convinta che ci osservano, ma il loro sguardo è amichevole. E il lago è di un bel celeste sereno, a tratti più intenso, a tratti quasi verde. Riceve il riflesso del bosco che lo cinge su due lati e dei cespugli rosa del sottobosco, la cui sfumatura trema sull'acqua. Piante cui non so dare un nome. Né so darlo al sentimento che mi ispira questo luogo silenzioso e raccolto, la sua bellezza profonda eppure così semplice. Gratitudine? Sì un piacere, un benessere, un'ammirazione colma di gratitudine. Mi tolgo i sandali ed avanzo nell'acqua. E' fresca, il terreno sabbioso, ma saldo. Cammino un po' lungo la riva circolare, dando piccole spinte all'acqua; si crea qualche iridescenza. Avanzo verso il centro del laghetto, poi mi rifaccio brava cittadina ed esco. Una farnia ha un ramo talmente basso che sembra un sedile. Mi ci sistemo e scrivo per un po'. Che pace! Una ragazza compare dal sentiero. Ha un sorriso beato. Sosta un po', scatta delle foto, anche una a me che scrivo, poi saluta e se ne va. Come si diventa cortesi e rispettosi al cospetto della bellezza, osservo. "Non sempre" puntualizza scettico mio marito. E' vero, non sempre. Penso a tutta la bellezza di questo paese in cui sono nata e alla sua gente così spesso sorda e ignara. E' vero. Eppure, questo posto, così bello, mi comunica un senso di fiducia: voglio credere nella bellezza. La bellezza salverà questo paese.