lunedì 28 gennaio 2013

Alla posta

Lo conosco da poche ore, il mio carissimo amico.
Non so come si chiami, il mio carissimo amico.
E' quasi certo che non lo rivedrò mai più, il mio carissimo amico.
Di lui non so niente tranne che mi capisce e io capisco lui.
Ci siamo compresi e poi ci siamo salutati.


Mi trascino alla posta. Per farlo mi sono dovuta strappare dalla tana, il mio letto, e trovare il coraggio di mettere piede fuori di casa. Riesco a farlo solo perché assolvo ad un dovere.
Supero col cuore che batte forte e disordinato la prova della gabbia
rotante che dà accesso all'ufficio postale. Sono il numero 98 e stanno servendo il 42.
L'ansia mi si mangia anche se non ho nient'altro da fare né della mia mattinata né in generale del mio tempo.
Mi siedo, mi allungo sulla sedia, le gambe tese di fronte a me, la testa riversa sulla spalliera.
Accanto a me siede un uomo, 40 anni, forse qualche cosa in più o forse qualche cosa in meno perché ha l' ombra di una barba non fatta che gli dà un'aria vagamente trascurata.
Lui siede piegato in avanti,
le braccia abbandonate tra le gambe.
Io guardo e riguardo il mio numeretto, si procede lentamente.
Tengo d'occhio la porta automatica che si apre e si chiude per i diversi utenti. Controllo che il meccanismo funzioni.
Un paio di volte mi trovo a fare il mio rapido controllo assieme al mio vicino.
Giriamo rapidamente la testa-lancio furtivo di un'occhiata-riportiamo la testa alla posizione di partenza. Lui ed io quasi all'unisono.
Senza parere lo osservo meglio.
Nella gelida aria condizionata, suda. Come me.
Respira in fretta, il petto gli si alza e abbassa ad un ritmo breve, accelerato.
Io invece quasi non respiro. L'aria non riempie più della metà dei miei polmoni, sbarrati da un peso opprimente.
Ogni tanto faccio un grande respiro, succhio aria come un dannato e la riemetto lentamente, soffiandola fuori a mezza bocca.
"Qui non si apre" si sente dire e la voce annoiata di un'impiegata "un attimo solo". Breve ronzio e la porta scorre e si apre.
Contemporaneamente il mio amico ed io ci raddrizziamo sulle sedie, lo sguardo non fa in tempo a guizzare verso la porta e io sono in piedi.
Il mio amico mi segue a ruota.
Mantengo un passo normale e raggiungo la porta. Mi appoggio al muro, meno di un passo dalla
Libertá.
Lui ondeggia un po' nella terra di nessuno, poi si appoggia a una colonna, meno di due passi dalla libertá.
Come ferree sentinelle fiancheggiamo l'uscita, controllando a vista le porte.
Io so che dietro gli sportelli c'è l'uscita degli impiegati e mi tengo pronta, in caso di blocco delle porte automatiche, a passare dall'altra parte e a mettermi in salvo.
E lui, il mio carissimo amico che cosa pensa? Che via di fuga sta studiando?
Perché ormai non ho nessuno, nessunissimo dubbio che è claustrofobico come e quanto me.
E so che se ora improvvisamente e inopinatamente mi rivolgessi a lui e gli chiedessi :"soffri di claustrofobia?" lui mi risponderebbe :"sì".
Invece è lui che improvvisamente e inopinatamente si rivolge a me:"mi scusi, si sente male?"
E sono io a rispondere: "sì".

Luglio 2012

Lo rincontro in banca. Anche lì porte rotanti. Più ampie però. Buongiorno. Buongiorno. Ci salutiamo come due complici. Io sbrigo prima la mia incombenza. Nell'uscire lo saluto con un "alla prossima". Non siamo forse amici?Risponde con un sorriso.

Gennaio 2013






1 commento:

Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo