Dicono sia una buona cosa ritrovare una progettualità e io lo credo. Resta da vedere se il mio è un vero recupero di progettualità o solo velleità.
Per intanto, man mano che vado avanti con il mio lavoro di revisione e/o riscrittura, vorrei pubblicare qui il frutto del mio lavoro. A piccole dosi, piccole come quelle che somministro a me stessa.
Inizio oggi stesso.
Avvertenza: Con Q. si abbrevia, per comodità, Qualcuno, il nome con cui la protagonista del libro pensa e racconta se stessa.
In corsivo, oltre al titolo di ogni capitolo, sono scritti i lemmi componenti il lexicon, che troverete anche raccolti in un indice alfabetico in fondo al libro.
DEP & DAP LEXICON
Lessico di una DEPressa con Disturbi da Attacchi di Panico
Capitolo uno
A quel tempo Qualcuno pensava di non essere nessuno. Pensava, anzi, di non essere niente.
Più avanti, molto più avanti nel tempo, Q. avrebbe parlato di sé come di una Dep and Dap —Depressa con Disturbi da Attacchi di Panico — e della sua condizione avrebbe sorriso, perché convinta da sempre che ogni esperienza umana non solo nascondesse un suo lato comico ma meritasse il conforto di un sorriso. A quel tempo però qualsiasi definizione di se stessa le era preclusa. Viveva infatti dividendosi tra la ricerca della realtà, di cui sembrava aver perso ogni traccia, e la fuga dagli aspetti paurosi che essa poteva assumere quando si decideva a farsi viva. E, non potendo giurare né sull'esistenza del mondo esterno né su se stessa, aveva sospeso ogni giudizio.
Nell'agosto
di quell'anno Q. era rimasta sola in città. Questa si era svuotata, le
strade si erano fatte silenziose. Il sole era accecante e le ombre troppo
scure. Q. contava i cartelli che annunciavano "Chiuso per
ferie": ogni giorno ne comparivano di nuovi finché il viale a ridosso del suo
quartiere e le vie intorno non furono che saracinesche abbassate e cartelli
gialli e arancio. Per comprare pane e latte Q. si spingeva sempre più
lontano, misurava in passi umiliati la solitudine e l'abbandono.
Allora
immaginava che alle porte della città si fosse accampato un esercito assediante
e che i suoi concittadini, fatte scorte di cibo e di acqua, si fossero ritirati
nelle loro case e, nascosti dietro le persiane, spiassero l'arrivo dei primi
soldati nemici. Quella fantasia la consolava un po'. In essa non era
più la creatura miserabile e timorosa che gli altri, i sani, si erano lasciata alle spalle per veleggiare verso la vita
piena, nei più esotici lidi lontani, ma una sentinella coraggiosa incaricata di
pattugliare le strade. Di vedetta insieme a lei c'erano gli altri arruvinati: ogni estate tornavano a
spuntare in città e ogni quartiere aveva i propri. Accadeva che le famiglie
che avevano accudito durante tutto
l'anno un malato psichiatrico e che al giungere dell'estate non erano riuscite
a parcheggiarlo in qualche ospedale, dichiarassero un "liberi tutti"
unilaterale e partissero per le vacanze, lasciando il matto di famiglia in
città a gestirsi da sé. Di ogni età, trasandati, talvolta scalzi, stretti a
qualche fagotto o, al contrario, braccia abbandonate e mani nude, i matti si
sedevano in terra o camminavano incessantemente, parlottavano piano o lanciavano
risa e grida: tutta quell'improvvisa libertà sembrava esaltarli e spaventarli
insieme.A farle compagnia, Q. quell'anno aveva anche un accampamento di curdi sorto durante la primavera nel parco vicino casa. Al mattino li vedeva sdraiati sotto i cespugli di oleandro, ancora addormentati, con un braccio a coprirsi gli occhi dal sole o intenti a lavarsi alla fontanella, i toraci nudi, i capelli arruffati. Le donne si pettinavano l'una con l'altra, lavavano magliette e vestiti di bambini. Q. ne aveva vista una intenta ad allattare: il seno era bianchissimo, il bambino lo premeva con l'ingordigia di tutti i neonati. E Q. sentiva una fitta di pena e desiderio insieme. Il prato era cosparso di cartoni, coperte, stuoie; qua e là resti dei fuochi su cui la sera venivano cucinati i pasti. E buste di plastica con i rifiuti in mucchi maleodoranti. Quando Q. attraversava il parco di sera li vedeva seduti in terra in grandi circoli, gli uomini a fumare o a suonare la chitarra; le donne, raccolte tra di loro, parlavano forte e ridevano. La guardavano appena: era diventata per loro una presenza familiare come loro lo erano per lei.
Da sempre Q. provava
la tentazione di una vita nomade, e spesso, soprattutto a quel tempo, immaginava di uscire di casa e camminare; sostare
quando era stanca e camminare ancora e allontanarsi così, piano piano, dalla
sua vita. Benché sapesse di non potersi allontanare da se stessa, la
fantasia continuava a presentarsi. Risaliva a quando Q. era bambina, e studiando
il plurale dei nomi aveva incontrato la parola randagio.
Le insegnarono che il plurale
maschile faceva "randagi" ma che quello femminile poteva fare sia "randagie"
che "randage". Ne prese diligentemente nota, ma il suo interesse per
quella parola non avrebbe mai avuto nulla a che fare col plurale.
Ebbe invece a che fare
con una illustrazione del suo Primo Libro di Lettura — lei aveva allora sei, forse sette anni — in cui era rappresentato un viandante, di cui le fu spiegato che era un girovago, un giramondo; così finalmente trovò una figura in cui riconoscere il famoso e un po' astratto randagio che al femminile plurale faceva "randage", ma anche "randagie". Nell'illustrazione un omino con un
fagotto sulle spalle percorreva il globo terrestre delicatamente colorato di
verde, celeste e marrone —verde per le pianure, marrone per i monti e celeste
per i mari. L'omino andava e tutto il mondo gli apparteneva. Così lei leggeva quell'immagine. "Da grande voglio
fare la randagia", scrisse su un tema. E le venne segnato in blu. "La
randagia non si fa, disse la maestra.
Si è randagi. E cancellò la frase". Così Q. comprese che essere randagi era una condizione dell'animo,
un tocco in più, un dono della natura, o lo si aveva o non lo si aveva. Capì
anche che il suo sogno di randagismo era un sogno proibito e lo amò ancora di
più. Coniò anche un verbo personale. "Da grande randagerò" si disse.
Ma lo tenne per sé.
Nonostante
quanto poi appreso da adulta sulla condizione randagia — sul peso, la fatica, l'esclusione, la
miseria e la paura che quella condizione poteva portare con sé — Q. continuò a sentire, nel profondo, un'attrazione istintiva e ammaliante per una
vita "fuori": fuori da una casa ma anche da una legge e da una
regola. E da ogni vincolo. E l'evasione e la fuga continuarono ad essere, per la se
stessa più segreta, la vera tentazione.
Ora
Q. osservava quelle donne e quegli uomini accampati nel parco della sua
città e benché sapesse che non avevano scelto spontaneamente una vita nomade,
ma anzi si battevano perché venisse riconosciuto il loro diritto ad una patria
— dunque a dei confini —provava un sentimento di invidia e quasi di nostalgia,
come lo proviamo per le possibilità mai colte. (1/continua)
Mi piace il tuo modo di scrivere. Avverto una grande sensibilità dietro le parole. Sento una vicinanza particolare con la frase : "sentinella coraggiosa incaricata di pattugliare le strade". Penso che tutti noi che viviamo in questo mondo, in vari modi, lo siamo. La vita è attenzione e coraggio che, peraltro, si nutrono di comunicazione e afffetto.
RispondiEliminaAspetto il "contnua..."
Grazie Acquachiara. Forse hai ragione tu, siamo tutti sentinelle e pattugliamo le nostre vite. Attenzione, coraggio e... fatica
RispondiEliminaIl "continua" penso che avrà cadenza settimanale. Dipende dalle mie energie.
ciao, marina
Anche la me stessa più segreta nasconde dentro, in fondo " un'attrazione istintiva e ammaliante per una vita "fuori" ".
RispondiEliminaUna vera tentazione.
Ora che non ho vincoli , non più, purtroppo, e , volendo,potrei tutto, resto qui, come in attesa, non so di chi o di che cosa, ma sono in attesa.
Poi mi rendo anche conto che la mia vita è sempre stata in attesa...ora sento che tutto questo non ha alcun senso.
Scusami, ma è una mattina malinconica per me ed il tuo scritto mi ha portato con sè ... aspetto il seguito
Adele
Ha dell'incredibile Adele, quanto mi sono vicine le tue parole e i tuoi sentimenti! Quel purtroppo, quell'attesa, quella mancanza di senso...Non scusarti della tua malinconia, ti prego
RispondiEliminamarina
grazie per la condivisione e dello specchio che offri...grazie
RispondiEliminaAngela
Mi piacciono queste riflessioni, le condivido. Solo che, per come sono, avrei usato piuttosto la parola "viandante", colui che va e non ha una meta che non sia l'andare (un po' il romantico Wanderer, ma rivisitato); "randagio" mi sa di condizione non scelta ma subita. Anche io ho sempre sentito di voler essere altrove, non so bene come, e ho ancora questo pensiero nascosto che la mia vita, un'altra vita diversa, debba ancora cominciare. Con affetto, biga
RispondiEliminaciao biga, hai perfettamente ragione su randagio. Ma il termine lo scelse una bambina di 8/9 anni in un intreccio di grammatica e geografia. :-) Ma colgo il tuo suggerimento e inserirò il piccolo chiarimento che si rende necessario. Ti ringrazio tanto per la tua attenzione
RispondiEliminacon affetto,marina
Scusa sono biba non so come mi sia venuto fuori biga... (sarà la giovinezza? o io che scrivo con gli occhiali sbagliati?)
RispondiEliminae io non me ne sono accorta! ahahahha
RispondiEliminaSto correggendo, spero di esserci riuscita
ciao biBa !
Macché, lascia così, a futura memoria!
RispondiEliminaHo ritenuto quantomeno irriguardoso commentarti al primo atto: ti sto leggendo con un'attenzione profonda. Aspetterò se non la fine, una "sosta" di questo gran regalo che ci fai per dire la mia. Ciao Marina.
RispondiEliminaMarina, adoro come scrivi...anch'io non vedo l'ora di leggere il "continua"...
RispondiEliminaSì, essere randagi è diverso dal farsi viandante.
RispondiEliminaIl randagismo, è vero, è una condizione dell'animo, è "il senso d'essere persi", poco importa che ci si intenda persi al mondo o persi a sé stessi, poiché spesso le due cose quasi sempre coincidono, (almeno a me così sembra).
Farsi viandante invece è tutt'altra storia e, soprattutto, comporta una scelta: che si diventi viandante "del" mondo o viandante "di" sé stessi non fa, anche qui, gran differenza, (ché le cose pure qui spesso coincidono o almeno così a me sembra).
E' che il viandante sceglie di conoscere, agisce la possibilità di conoscenza attraverso il viaggiare. Il viandante sfrutta il viaggio nel mondo per conoscere sé stesso e tutto "il possibile" (di sé e del mondo) che riesce ad incontrare.
Così, da una parte sta la presa di coscienza di un sé irrequieto e l'accettazione del malessere/sofferenza che un'inquietudine non compresa comporta, dall'altra sta la sfida al malessere attraverso l'agire della conoscenza, la luce del viaggio.
Sai, alla fine di questo sproloquio, indotto dalla lettura di queste tue bellissime pagine, non posso fare a meno di dirti che le mie sono solo riflessioni e che mai vorrei che le sentissi calate dall'alto, ispirate da una condizione d'animo priva di travaglio, perché me ne dispiacerei enormemente. E poi, te lo assicuro, non è così.
Ti abbraccio e continuo a leggere.
Cara TeZ, ti ringrazio davvero per queste tue osservazioni, profonde e illuminanti, come non potevano non essere.
RispondiEliminaSe quando Q. era bambina ha potuto equivocare tra i due termini, desiderando sia smarrirsi che avventurarsi,sia randagiare (poiché viveva comunque un'infanzia difficile) sia via-andare) (poiché la curiosità per la vita era forte in lei), la Q. degli anni '90 desiderava solo essere randagia, proprio nel senso con cui usi tu questa espressione.
Neanche per un istante ho sentito, né potrei sentire, le tue riflessioni come calate dall'alto! E che tu mi legga e me le comunichi mi fa solo piacere e te ne sono grata. Ti prego di crederlo.
Sapessi com'è importante per me che sguardi diversi dal mio si posino sulle mie parole, e che addirittura qualcuno senta il desiderio e trovi il tempo di comunicarmi impressioni e riflessioni!
Sono grata a tutti voi/loro.
Qualunque critica sono pronta ad accoglierla a braccia aperte. E il rispondere e spiegarmi mi serve a chiarire innanzitutto a me stessa il senso di quello che ho scritto e che volevo comunicare quando l'ho scritte.E se possibile confrontarlo con il presente.
Grazie, TeZ
ti abbraccio, marina
Io credo che sia il randagio che il viandante siano possessori di una grande sensibilità rispetto a questa umanità frettolosa ed spesso egoista. Colgono attimi di vita che ai più sfuggono...
RispondiEliminaDomani leggerò il numero 2