giovedì 2 gennaio 2014

DEP&DAP LEXICON/13

Capitolo sette


A Quel Tempo Qualcuno pensava che Quel Tempo non sarebbe mai finito finché se ne si trovò a Ridosso

Q. viveva quel tempo ormai da quattro anni e la speranza di vederlo cessare mai aveva sfiorato la sua mente. Quel tempo si era instaurato nella sua vita, se l’era presa e se la sarebbe tenuta, all’infinito. Era stata condannata all’ergastolo e sulla sentenza che aveva fatto di lei una DEP & DAP c’era scritto: fine pena mai. Così pensava Q.
                  Ma si trovò a un tratto nella necessità di inserire nel suo lessico un nuovo lemma. Le serviva per indicare certi giorni che apparivano stravaganti rispetto a quel tempo. Lei li chiamava il Ridosso. Erano giorni in cui improvvisamente il masso allentava la sua presa e quando lei tirava un grande respiro l’aria entrava fino in fondo ai polmoni. I giorni in cui per un’ora-un’ora!- il Rumore di fondo non le rimbombava intorno e nella testa. Giorni in cui lo squalo se ne restava a casa sua.
                 Perché scelse di chiamarli ridosso? Il termine “ridosso” ha una duplicità di significato che a pieno descrive il modo in cui Q. viveva quei giorni. È un riparo: ci si può mettere a ridosso di una collina, un muro, una palizzata per proteggersi dal vento, dall’acqua, da una nevicata, da una sparatoria western. E Q. considerava quei giorni come temporanei ripari dalla bufera che l’aveva investita, piccole colline dietro cui momentaneamente riparare; un’ora d’aria dalla sua prigionia, una risalita rapida dall’apnea prima di inabissarsi di nuovo in quel tempo.
                  Ma nell’altro suo significato, a ridosso possiamo avere qualcuno o qualcosa che incombe, incalza, preme minaccioso alle nostre spalle.
Infatti quei giorni si erano infilati in quel tempo di maniera schiva, incerta, incoerente,  quasi clandestina, senza alcuna costanza e per Q. erano inaffidabili,  inattendibili
e alle loro spalle, alle spalle di Q. la tormenta di quel tempo  incalzava.
Del resto la compagnia della machina scaenica non si era sciolta e non appena un invisibile regista chiamava in scena gli attori questi tornavano a calcare il palcoscenico e le offrivano ancora il loro esuberante, multiforme spettacolo.
                  Per questo Q. usava il termine ridosso ma il ridosso la disorientava: si sentiva frastornata, scombussolata, persino spaventata da quei giorni. Non riusciva neanche ad immaginare che il ridosso potesse annunciare un’uscita da quel tempo, e che un giorno avrebbe potuto non pensare a sé come a una DEP&DAP. Per Q. un pensiero del genere apparteneva all’inverosimile: quel tempo era per lei imperituro.
                    Un cronopsicologo avrebbe detto che la sua percezione del tempo era distorta. Se ne avesse interrogato uno, Q. si sarebbe sentita dire che il suo tempo scorreva adagio, anzi si trascinava, perché analizzarsi, come faceva L’Altra, la sua radiocronista, e concentrarsi sul proprio funzionamento, notare ogni pulsazione, ogni palpito, ogni respiro, significa dilatare il tempo sicché un secondo sembra un minuto, un minuto un’ora e un’ora un giorno. Per questo Q. aveva l’impressione che il tempo non passasse mai.
                 Oggi la cronopsicologia dice che il tempo di una DEP & DAP scorre ad una velocità che è il 50% del tempo reale oggettivo e misurabile. Perciò, supponendo che il male oscuro avesse affatturato Q. come una Circe, un giorno, parafrasando l’Ulisse di Dante, lei avrebbe potuto dire a ragione “sottrasse me più di dieci anni”. Q. aveva sperimentato tutte le possibili distorsioni del tempo -concentrazione e dilatazione, rallentamento e accelerazione; persino la cronostasi, l’immobilizzarsi improvviso del tempo, come un cavallo che s’impunta, non le era ignota.
Anzi, grazie alla versatilità della sua machina scaenica, sperimentava distorsioni anche più audaci. I cronopsicologi osservano oggi che per una DEP & DAP  esiste solo passato e presente, mentre il futuro è inimmaginabile.
Verbi al futuro una DEP & DAP non ne usa, dicono. Forse a quel tempo Q. non usava l’indicativo futuro, ma nel futuro, benché effettivamente per lei non immaginabile, poteva trasferircisi. Armi e bagagli.
                    D’un tratto sentiva il suo corpo, l’aggregazione che lei chiamava Q. -gli atomi che davano materia alla sua vita, la sede di dolori gioie palpitazioni pensieri amori e tormento- disaggregarsi, sciogliersi in erbe di campo, diventare pascolo di pecore e agnelli. Non che si sentisse brucare addosso, questo no, ma si sentiva materia in via di trasformazione, teletrasportata in un futuro piramidale. Questi slanci in avanti del tempo erano troppo fisici per essere visioni: Q. si sentiva cadere sulla terra accogliente, chiudeva gli occhi e si sentiva sciogliere.
                     Sì, il tempo poteva precipitarsi in avanti, il tempo era elastico, Q. poteva testimoniarlo. Lei percepiva l’elasticità del tempo. Infatti subitaneamente l’elastico poteva ritrarsi e arretrare. E riacquistava la propria posizione e anzi la scavalcava. Era l’effetto bungee-jumping del tempo. Così Q. si diceva: sto facendo del bungee-jumping. I cronopsicologi ancora non lo hanno repertoriato, ma che ne sa un cronopsicologo della machina scaenica? (Anche se oggi tra di loro si fa strada l’idea che l’esperienza del tempo sia creata in modo attivo dalla mente, come era creata dalla mente di Q.).  
                   Così improvvisamente Q. non è più disciolta in un campo, potenzialmente brucabile da una pecora, ma sta ben ritta -stanza quattro settimo piano di un ospedale romano- accanto al letto di suo padre.
                    Gli tende un boccone di pasta e ne riceve in cambio il gesto di sputarle in faccia: quell’uomo, totalmente impedito nei movimenti, dichiara guerra alla sua nuova condizione e la respinge assieme all’alimento che lei gli offre. Solo la sera prima Q. ha scorto lacrime d'impotenza negli occhi del padre e considera questa l’offesa peggiore che la vita possa farle. Perciò respira a fondo e torna a porgere il boccone, augurandosi un nuovo sputo ribelle. Ci sono infatti circostanze nella vita in cui una lacrima è molto più intollerabile di uno sputo. Ora Q. vive uno di quei momenti. 
            Questo era il bungee-jumping:passare d'un botto da un campo erboso a un ospedale romano -stanza quattro settimo piano- passato e futuro che si succedevano senza soluzione di continuità in ogni interstizio tra dolore e dolore. Eppure Q. non era imbarcata sull'Enterprise.
Ma poi vennero i giorni del ridosso: il tempo si fece meno elastico, restò un tempo azzoppato, anelante, ma smise di schizzare avanti e indietro. Quei giorni la rifocillavano ma Q. pensava che erano menzogneri.

Infatti a quel tempo Q. pensava che quel tempo non sarebbe mai finito finché se ne trovò a ridosso.
(continua/13)

5 commenti:

  1. Premessa:ogni interpretazione di un testo letterario è una riduzione.
    Dare un nome proprio al tempo all'attesa (ridosso) a ciascun sentimento ecc ecc è operazione che affolla la scena essenziale nei personaggi "reali". Non amo le storie dove ci sono troppi personaggi, non per altro perché sono costretto in contro-copertina a segnarmi nome e ruolo nella vicenda, altrimenti mi perdo. La dislessia fa di questi guai. Diversa cosa è trovarsi di fronte a questi non-personaggi , è come se li conoscessi già e si presentano in scena così ben definiti che non c'è bisogno di niente. Amo poi la "misura" nei capitoli. Capisco che è sempre un mio problema, ma che ci vuoi fare...Il capitolo deve essere ,secondo me, a misura di lettura: innanzitutto ci DEVE essere (odio la Recherche prima di tutto per questo), poi non deve essere lunghissimo (diciamo tre-quattro fermate di metrò o autobus e non lo dico a caso). Pretendere poi che un capitolo abbia un senso in se nello sviluppo del romanzo è un po' troppo ? Certamente deve dare il senso che si è andati avanti e non l'impressione di aver fatto del sur place . Forse esagero.
    La sorpresa poi... Uno dei motivi che mi fa abbandonare la lettura di un libro (che avviene abbastanza spesso) è l'aver "scoperto" i meccanismi del racconto, prevedere battute e situazioni, intuire come va a finire. Essenziale è per me la sorpresa e l'imprevedibilità della storia, le svolte improvvise, i colpi di scena. Puerile, vero ?
    Un lettore non-metodico come me è attratto da queste cose.
    Incredibilmente la tua storia fatta di personaggi-nonpersonaggi mi attira e mi sconcerta. Funziona , per me. E lo trovo sorprendente sopratutto per il fatto che un altro aspetto che mi attira è quello "visivo", in qualche modo la scena deve presentarsi o immaginarsi come una fotografia.
    Termino questi peserei alla rinfusa, non penso ti servano molto, ma il punto di vista di chi legge forse può interessare.

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  2. Caro Guglielmo, comincio dalla fine. Il punto di vista di chi legge mi interessa molto. Il tuo moltissimo perché ti ho letto. E le tue osservazioni mi servono, e come! E non considerarla una captatio benevolentiae, please!
    Quello di perdermi tra i personaggi,soprattutto quando hanno nomi americani, succede anche a me e anche io me li scrivo e ogni tanto vado a rivedere: ma chi è questo?
    Sulla lunghezza dei capitoli sapessi come mi riesce difficile decidere dove tagliare! Ce ne sono di più lunghi che non so come distribuire, rispettando la logica.Non sono mai tranquilla.Devo dire che i post troppo lunghi su altri blog mi stancano e tranne eccezioni ne interrompo la lettura. E invece qui cado nello stesso errore.
    Sviluppo del romanzo. Anche qui devo darti ragione,Il mio lavoro è statico, lo sento anche io. Dissento fermamente sulla Recherche (che io invece amo e ho letto due volte senza stancarmene, e lo dico senza nessuna civetteria; del tipo:guarda quanto sono intellettuale che ho letto due volte la Recherche.)
    Nella storia di cui parlo per anni sviluppi non se ne sono visti. Lo dici benissimo: è stato un sur place, durato molto tempo. Un principio di movimento è iniziato con il ridosso.
    Intorno a Q. la vita comunque si muoveva, ma non riesco a raccontarla, per più di un ordine di difficoltà.Quanti limiti ho, ne scopro continuamente di nuovi.
    Se mi dici che comunque per te la storia funziona, sono molto contenta. Passo giornate in cui invece quello che ho scritto mi fa decisamente schifo. Ma DEVO portare il lavoro a termine; ho compiuto settant'anni, sai?
    Mi ricordo che una volta mi hai detto che tu inizi a raccontare a partire da una immagine.Se ne ritrovi qui sono contenta.Nella mia mente (che invece ha sempre funzionato, rispetto allo scrivere, diversamente) la storia di Q. è fatta proprio di immagini in cui mi trovo a mettere ordine e questa per me è una novità.
    Non denigrarti come lettore. Tanto non m'incanti. Io da te ho avuto sempre osservazioni pertinenti e u-ti-lis-si-me.
    grazie davvero, marina

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  3. A me piace molto e fa ridere anche molto, con rispetto parlando per l'esperienza vissuta che è atroce a dire poco.
    Una piccola critica, ma piccola perché davvero è poca cosa, sarebbe questa: si inizia con la scoperta del tradimento del marito viaggiatore e poi la si perde di vista per un po' troppo tempo, secondo me. Taglia qualche cosa in mezzo e riprendi quel filo senza far passare troppo tempo in mezzo. Anche perché quello è l'unico sviluppo narrativo, l'unica trama, per così dire, per il resto è deliziosamente statico, come dice guglielmo. E però, dobbiamo pensare ai lettori: quelli vogliono anche un po' di trama, eh.
    Io pure lo vedo molto cinematografico. Mi piacerebbe anche vedere cosa succede intorno a Q. cioè avere anche solo un'eco dei personaggi a latere, la figlia, le sorelle di Q. Ma capisco che non è semplice per molti motivi. Comunque, stupendo. Nessuno ha mai, dico mai, descritto COSI' l'esperienza. E in quel "così" che io non sono brava a descrivere c'è tutto il valore letterario e umano di te, autrice.

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  4. @Blonde È vero quello che osservi: perdiamo di vista l'episodio iniziale. Ho difficoltà a narrarne il seguito che al momento mi sembrano insuperabili.(e pensare che ho un testo epistolare di allora). Ho provato a scrivere uno sviluppo, ma non ci riesco. Questa staticità la sento proprio come un grosso limite. Ho pensato che intanto devo andare avanti con quello che riesco a fare per non bloccarmi. Poi ci torno e rivedo tutto

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