mercoledì 25 dicembre 2013

DEP & DAP LEXICON /12

CAPITOLO CINQUE

A quel tempo Qualcuno poteva essere abitata

Forse fra di voi c'è chi ricorda che il mio racconto inizia in un giorno di agosto in cui Q. si scoprì abbandonata. Riallacciamoci a quel giorno. 

Il giorno successivo alla scoperta dell’ inganno coniugale, Q. si svegliò nella posizione del martire, effettivamente la più appropriata a rappresentare l’accettazione  mortificata con cui Q. aveva accolto quella rivelazione, e prese a inerpicarsi nella nuova giornata. Compì accuratamente tutti i gesti necessari a portarsi fuori di casa e si diresse al parco mentre L’Altra, la sua colonna sonora, le parlava come sempre: -Ti tremano le gambe. Già, ti tremano le gambe. Sei zuppa di sudore e hai freddo. Non è grave. Visto che il termometro già stamattina alle otto segnava 28 gradi, di questi brividi di freddo non mi preoccuperei. Di freddo percepito non si muore, si muore solo del freddo effettivo, in quota ad esempio o sotto una valanga e allora ci si congela e il cuore si arresta. Ma non siamo né in quota né sotto una valanga e dunque non morirai congelata e il cuore non si fermerà “
            Nonostante tutte le rassicurazioni dell'Altra Q. continuava a non fidarsi delle leggi fisiche e di quelle fisiologiche che ne discendono e mentre tremava di freddo tremava anche di paura. Ora auscultare per accertamento i battiti del proprio cuore mentre si trema è difficile, l'operazione non riesce bene, così Q. non poteva dirsi sicura di ospitare ancora un cuore in petto, anche se sapeva benissimo che nessuno può deambulare verso un parco in un mattino di agosto con 28, no ormai 29 gradi centigradi, se non ha più un cuore in petto. Ma non poteva fermarsi e anzi, preso l'abbrivio, fendette l'aria pesante del parco e il parco stesso, giù lungo il viale centrale, con quell'Altra che la incoraggiava: -il cuore non lo senti ma c'è, di freddo percepito non si muore, di freddo percepito non si muore, il cuore non lo senti ma c'è-.
           Andava sempre più veloce con tutto il suo seguito appresso, il freddo, i tremori e il terrore, ma andava perché ormai lo squalo si era impadronito di lei. Infatti, oltre che l'Altra se stessa, titolare del terzo occhio, o colonna sonora o sua personale radiocronista che dir si voglia, a quel tempo Q. ospitava in sé diverse creature che dal di dentro la plasmavano a loro immagine e somiglianza. Poteva capitare che Q. ospitasse uno squalo, come appunto quella mattina.
             Lo squalo era una visita abbastanza infrequente ma era tale da non passare inosservata. Subitaneamente Q. veniva investita da una potente esaltazione, una frenetica smania agendi che la lasciava poi estenuata, quasi un relitto scagliato sulla spiaggia da un'onda anomala. A dire il vero per un po' Q. aveva nominata l'esperienza proprio onda anomala, ma aveva poi ripiegato sul termine squalo perché le sembrava che rendesse meglio l'incontro di irrequietezza e avidità che l'esperienza conteneva, mentre onda anomala non giustificava a pieno la sua partecipazione attiva e smaniosa al fenomeno.
            Una piccola premessa sulla fisiologia dello squalo appare qui necessaria.
"Gli squali dormono; come tutti gli esseri viventi hanno bisogno di dormire per poter recuperare le energie spese durante l'attività.
Gli squali non hanno polmoni, respirano come i pesci per mezzo delle branchie. Nuotando l'acqua entra nella loro bocca ed esce dalle loro branchie. In questo cammino avviene lo scambio gassoso, la respirazione. Durante il sonno gli squali hanno gli occhi chiusi, i battiti più lenti, la respirazione e gli impulsi elettrici rallentati.
Però quando dormono nuotano, lentamente ma nuotano. Nuotano per tutta la loro vita, perchè devono respirare. Quando si fermano è perché sono morti. " (nota) 
            Questo comporta che lo squalo non posi mai e, per analogia, una volta posseduta dallo squalo, Q. non si posava più.
Diciamo che, se lo squalo si impadroniva improvvisamente del suo corpo verso le dieci del mattino -mentre Q., uscita dallo studio del Professore, rientrava lenta, piangente e appesantita verso casa- lo stato di possessione poteva durare anche otto, dieci ore e lo squalo moriva dentro di lei solo verso la mezzanotte, quando di botto, con la stessa subitanea repentinità, tutte le energie che fino allora le erano ribollite dentro impetuose, abbandonavano compatte Q. lasciandola stordita e attonita come se si risvegliasse da una seduta di ipnosi durante la quale l'ipnotizzatore l'avesse fatta girare come una trottola. E come la trottola, esaurita la carica cinetica, cade reclinata su un fianco, così Q. crollava d'improvviso sotto il suo stesso peso. Ma poteva capitare anche che lo squalo venisse in visita verso le otto di sera mentre Q. mangiava il cibo-ovatta al tavolo da pranzo e che si trattenesse in lei fino al mattino, ignorando persino il sostanzioso invito al sonno di un Tavor expedit mg. 2
             Durante le ore in cui era abitata dallo squalo Q. fendeva le acque della sua giornata, o della notte, animata da una spaventosa carica energetica che non sopportava costrizioni e mobilitava ogni più piccola cellula del suo corpo. Gli occhi inquieti dardeggiavano su ogni cosa, in ogni direzione, scrutavano e registravano, registravano qui e passavano a scrutare là; più che posarsi sulle cose e sulle persone le risucchiavano bramosi dentro di sé come se dovessero impadronirsi di ogni minutissima particola della realtà.
Non potevano fermarsi su niente, perché lo squalo non sopportava che qualcosa sfuggisse al suo controllo e alla sua cupidigia. E quindi il capo di Q.
continuamente si girava sul collo teso, nello sforzo di appropriarsi del mondo per tutti i trecentosessantagradi che la circondavano.
Anche gli arti subito si mettevano a disposizione dello squalo e il passo lento e strascicato di botto diventava risoluto,  anzi militare,  conquistatore e Q. divorava le strade e le piazze, sfrecciando tra esseri umani e automobili, ignorando semafori, strisce bianche e motorini, presa da un violento bisogno di cinèsi che non ammetteva ostacolo né rinvio.
                 Chi l'avesse osservata —e obiettivamente, a quel tempo, Q. era un soggetto degno di osservazione — avrebbe potuto pensare che Q. si fosse improvvisamente ricordata di un urgentissimo, vitale appuntamento e che avesse preso a marciare velocissima per raggiungere il luogo ad esso deputato. Q. invece semplicemente si precipitava a casa dove era certa di trovare pane per i suoi denti o, per meglio dire, per i denti dello squalo e qui giunta la frenetica attività indagatrice dei suoi occhi le serviva appunto da scandaglio per rilevare intorno a sé il più piccolo appiglio cui appendere le spaventose energie che improvvisamente le rigurgitavano dentro. Q. passava da un'attività all'altra, si riempiva di cose fatte mentre già cercava cose da fare.
                  Si riempiva infatti, ma non si saziava. Lavava verdure e pavimenti, potava piante e cuciva orli, spostava mobili e lucidava piastrelle, vuotava e riempiva armadi, poi risolveva cruciverba e catalogava libri, spazzolava cane e gatto e ispezionava soppalchi, preparava dolci, soufflè e frittate, montando uova, impastando farine, sminuzzando formaggio o prosciutto, quindi lavava maglioni invernali o camicie da notte, lavorava a filet tende per finestre, ripuliva foglia per foglia rami di limone dalle uova di cocciniglia e verificava origini etimologiche di parole sul dizionario per poi passare a tingere vecchie stoffe di cuscini e a incollare i pezzi di vecchi piatti di porcellana...
                 Nelle attività su cui lo squalo piombava non c'era nessun ordine logico, esse si accumulavano disordinatamente e nessuna conteneva in sé il suo fine; il fine era sempre uno ed uno solo: permettere allo squalo di respirare.
E intanto lo squalo sorrideva, del suo largo sorriso vorace e insoddisfatto, quello che nei documentari egli fa balenare verso l'operatore che lo riprende mentre già lo supera; sorrideva e non si stancava: divorava, sfilava, sorrideva  col suo ghigno e si manteneva in vita.
                 In quelle ore da squalo anche Q. sorrideva. Sorrideva dentro di sé nella sua avida pancia da squalo che si riempiva di cose, di fatti, di sensazioni, di pensieri, di azioni, di immagini; era bello essere squalo, che nessuno fermi Q!
             Non erano ore cattive quelle da squalo, quelle davvero cattive sarebbero venute subito dopo. Dopo la morte dello squalo. Che accadeva di colpo, perché il colpo, la subitaneità, insieme alla forza, sono il marchio distintivo dello squalo. Allo squalo tutto accade di colpo. Quando lo squalo è stanco si posa sul fondo e muore. Anche allo squalo ospite del corpo di Q. accadeva la stessa cosa: non si stancava se non all’improvviso. Allora si posava dentro di lei e moriva e la consegnava al precipito.
                    Al precipito abbiamo già accennato ma è un fenomeno cui vale la pena di dedicare una più accurata descrizione. D' improvviso l’ attrazione gravitazionale si faceva sentire con una potenza inusitata in Q. e l’attirava di maniera possente e inarrestabile. Nessun corpo poteva sostenere Q. quando la terribile attrazione si metteva in moto. Nessuna sedia, nessuna poltrona, neanche il letto. Anche attraverso di esso Q. si sentiva cadere, niente bastava a sorreggerla, sprofondava attraverso gli altri corpi lentamente; senza strappi, ma incessantemente, precipitava.
Per questo Q. lo chiamava il precipito.
            Al termine del precipito Q. riceveva la visita del Grave. Accadeva così che dopo il lungo, immobile precipitare il corpo di Q. finalmente si arrestasse su un fondo imprecisato e che lì solidificasse.
Bisogna però dire che il Grave  poteva venire a visitarla anche indipendentemente dal precipito, per scelta autonoma.
               La sensazione precisa era che su Q. si riversasse una valanga, una massa di fango e pietre tracimata da non si sa dove, che lentamente le si solidificava addosso, rimodellandosi sul suo corpo e divenendo tutt'uno con esso. Q. aveva l'impressione che i detriti di quella improvvisa valanga si fossero infiltrati anche dentro di lei, le avessero riempito la bocca, i polmoni, lo stomaco e così via. E che si fossero saldati insieme, trasformandola in un novello Hulk. Le sembrava di avere un corpo enorme, duro, lento e pesante. Di Hulk le mancavano solo il colore verde — e di questo Q. non si lamentava — e la forza.
               Essere Grave era infatti terribilmente faticoso. Significava spossarsi anche solo per sollevare un braccio, sentirlo rigido, compatto e pesante come fosse fatto di pietra. E lo stesso accadeva per i piedi e le gambe. Spostarne una era uno sforzo terribile. Q. se le toccava ogni tanto, per verifica, e le sue mani incontravano la solita superficie di muscolo e carne. Eppure le gambe pesavano e le sembravano un'unica colonna di pietra priva di articolazioni. In queste condizioni qualunque attività diventava gravosa ed estenuante e Q. poteva solo attendere che il Grave decidesse di accomiatarsi.
              Si faccia intanto attenzione a non confondere il masso con il grave.
Il masso, come abbiamo visto, le si piazzava sul petto e agiva sul respiro. Il grave invece investiva tutto il corpo. Ne era una vera e propria trasformazione. Col masso si poteva uscire di casa, sia pure affannando, il grave invece lo rendeva impossibile, o meglio poneva condizioni ricattatorie per spostarsi. Bisognava allora essere molto, molto accorti.
Cosicché, mentre era grave, Q. doveva ripetersi la raccomandazione del Professore a perdonarsi subito per avergli dato asilo nel suo corpo. Il grave stesso andava perdonato immediatamente: questa era la consegna. Perché, senza perdono, il grave diventava cattivo, molto cattivo contro Q. stessa che cominciava a pensare di gettarlo dalla finestra. Così quando era grave Q. affrontava l'esercizio del perdono, ricordando al grave e a se stessa, subito e con fermezza, che essere grave non è un peccato. Solo così si poteva sopravvivere al grave e alla sua attrazione verso il basso.
                A quel tempo però ad ogni momento poteva levarsi una voce qualsiasi ad incalzare Q. in specie  di grave  invitandola pressantemente a combattere la sua natura di grave per diventare qualche altra cosa, in una parola — sempre quella! — a reagire.
              Il mondo era pieno di gente che non era mai stata grave e che credeva di sapere come si fa a smettere di essere grave. Andavano anche in tv. Una sera in cui Q. era già  grave fin dal mattino e dal mattino si adoperava a tenere il grave  sotto controllo, Q. aveva sentito parlare in tv uno di questi esperti mai stati grave. Un filosofo. A suo dire se un grave si accompagna regolarmente ad un filosofo —a pagamento supponeva Q. —e affronta con lui un profondo esame dei grandi problemi filosofici che da sempre turbano l'umanità, -chi siamo, dove andiamo, da dove veniamo, cos'è il dolore, cos'è la felicità, che cosa significa essere vivi, chi siamo noi, lo spazio, il tempo, l’eternità, il bene, il male, l'identità, chi sono io et caetera, et caetera-  il grave si assottiglia, anzi si parcellizza, diviene prima pietrisco, poi brecciolino, poi pian piano si fa polvere e, oplà, scompare. Le membra si sciolgono, cadono come crisalide e ne vien fuori un nuovo e più consapevole essere umano che, liberatosi del suo falso sé, affronta vita, morte e dintorni filosoficamente.
                     Se quella sera, mentre lo ascoltava parlare, Q. non fosse stata grave ma, poniamo, squalo, si sarebbe potuta alzare dal letto e avrebbe potuto telefonare alla Rai per chiedere che non ospitasse più, a sua spese, filosofi che parlavano del grave senza esserne mai stati abitati.
Ma quella sera Q. ospitava il grave sicché dal letto sul quale il grave l'aveva spalmata ascoltò il filosofo elargire saggezza e sicumera e, aprendosi a fatica una strada tra i detriti granitici che le occludevano anche il cervello, Q. gli inviò un piccolo messaggio augurale: Cento di questi Gravi.
                   Ma per tornare a quella mattina di agosto in cui Q. marciava nel parco, non si trattava né di grave né di precipito. Era invece lui, lo squalo, a imperare, sornione e tassativo, lui a spingerla e ad attrarla, a metterle fretta alle gambe e fuoco ai piedi, lui che la portò torno torno al parco, sempre scrutando intorno a sé, prendendo nota di tutto, tutto risucchiando negli occhi avidi, tutto misurando, valutando, fotografando. Ogni albero, ogni gatto, ogni filo d'erba, ogni panchina, ogni pietra, tutto andava repertoriato e stampato bene nella testa. Perché? Non c'era un perché, chiedersi i perché era un'attività decisamente superflua per lo squalo e a dire il vero Q. stessa a quel tempo considerava ogni ricerca causale alquanto sopravvalutata. C'era da marciare attraverso il parco e condurne un'ispezione, questa era la consegna dello squalo. Andava fatto in fretta, con attenzione molecolare e poi ripetuto, giro dopo giro, viale dopo viale, prato dopo prato, cespuglio dopo cespuglio. Tutto fu registrato e mandato a mente e niente fu visto. Perché vedere, sia detto, non è compatibile con la velocità dello squalo. Cosicché quella mattina, quando lo squalo che l’aveva abitata in fine si posò sul fondo dell’oceano e morì Q. fece la sola cosa che potesse fisicamente fare: si sdraiò sul prato e si coprì il volto con un fazzoletto. Quando lo squalo l’abbandonava non voleva vedere e non voleva essere vista.


Infatti, a quel tempo, Qualcuno poteva essere abitata.
(Continua/12)

Nota: da Enciclopedia di Scienze biologiche Garzanti

6 commenti:

  1. Mi scuso per l'off topic, ma oggi è necessario: , cari, cari auguri di buone feste, Marina. Ti auguro tanta serenità. Un forte abbraccio. :)
    Romina

    Bellissimo il tuo racconto. Ma devo cominciare dall'inizio e leggermelo tutto.

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    1. Off topic graditissimo Romina! E tantissimi auguri anche a te. Ti auguro un anno di serenità.
      Quanto al mio racconto, spesso ne sono molto scontenta, ma ho deciso di andare comunque avanti a pubblicarlo, puntata per puntata, fino alla fine. È un esercizio che mi sono data.
      ti ringrazio tanto per la tua lettura e…critica pure liberamente!
      ti abbraccio, marina

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  2. Si fanno tanti auguri in questi giorni, ma credo che l'unico augurio che ti possa fare è quello di finire questo romanzo...
    Ciao e buon romanzo.
    guglielmo

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  3. Grazie per la gradita strenna!
    Buon Anno 2014!
    Cristiana

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  4. Grazie Guglielmo e grazie Cristina.
    Grazie anche all'anonimo/a correttore di bozze. Prendo atto che non gli piace né ciò che scrivo né come lo scrivo e che lo trova noioso. Non mi piace però che offenda un mio lettore né lo sprezzo con cui si esprime.In ogni caso non pubblico mai commenti anonimi.

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  5. io adoro dep&dap, semplicemente lo adoro!

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