Tra le
esperienze che tendevano a convincere Q. della inaffidabilità delle leggi fisiche
e dei fenomeni biologici che ne discendevano c'era anche una bizzarra inversione
del naturale susseguirsi di pensiero e azione nel tempo.
In pratica la
sua mente le presentava due eventi obbligatoriamente successivi in ordine
cronologico inverso. Q. chiamava ciò effetto hysteron proteron, come la
figura retorica, e quando le accadeva non poteva fare a meno di ripetersi quel famoso verso dell'Eneide, l’ esortativo moriamur et in media arma ruamus.
Moriamo e buttiamoci a combattere. Quell’anticipazione di termini era
servita a Virgilio per dare il senso dell'impeto eroico con cui i soldati
troiani erano pronti a battersi e a morire in difesa della loro patria. Anche Q.
si trovava spesso a programmare gesti, invertendono il naturale ordine
cronologico. Ad esempio poteva capitarle di dirsi mentalmente, o meglio di
sentire L’Altra dirle mentalmente : -mettiamo
la prima e saliamo in macchina.
Nel caso di Q.
non c’erano una patria da difendere e invasori greci cui opporsi e
l’esortazione che rivolgeva a se stessa era volta solo a infonderle il coraggio
necessario a raggiungere con la sua piccola autovettura il più vicino
supermercato. Atto banale, certo, ma il cui eroismo non era comunque da
sottovalutare.
Il suo personale effetto hysteron proteron
era reso più inquietante dal fatto che, mentre la sua mente la esortava a
ingranare la prima e quindi a salire in macchina, la prima lei l’aveva già
ingranata ed era già passata alla seconda. Confusamente Q. imputava questo doppio sfasamento tra il prima e il
dopo a piccoli smarrimenti anticipatori e ritardatari insieme della coscienza, rispetto agli impulsi arrivati dal cervello al resto del suo corpo. Insomma ad
una scollatura corpo-coscienza-mente.
Allora Q. non sapeva che, in un certo senso, tutta la nostra vita è un continuo
hysteron proteron perché dava per scontato che lei, come ogni altro
umano, fosse per lo più cosciente dei suoi atti già nel compierli e che essi
tenessero dietro ad una sua intenzionalità. Che lei ne avesse, di fatto,
coscienza. Ignorava che il concetto di coscienza era in via di essere
dichiarato se non morto, moribondo.
Un giorno Q. avrebbe addirittura udito con le sue orecchie
un rigorosissimo neuroscienziato dichiarare che "la parola coscienza"
gli faceva sempre pensare "alle macchie di grasso sul brodo di pollo”,
essendo i momenti di coscienza dell'individuo non solo pochi ma anche in
continua scomposizione e ricomposizione proprio come le macchie di grasso sul
brodo.
In quell'occasione inoltre avrebbe appreso che, la coscienza essendo
come la strozzatura di un imbuto, "in cui nel grande magma
dell' inconsapevole e inintenzionale, passa a piccole quantità e per attimi
brevissimi", la nostra mente è l’ultima a conoscere i nostri atti: ne
"prende coscienza” con mezzo secondo di ritardo rispetto all’inizio
dell’atto stesso.
Questa
recente scoperta scientifica, Q. avrebbe potuto testimoniarla già a quel
tempo; ma, ignorandola e limitandosi a viverla di maniera accentuata, si
arrovellava tormentosamente per quelli che considerava i mancamenti ed i
ritardi della sua
coscienza.
Il ridimensionamento del concetto di coscienza da parte degli studi
di psicologia cognitiva e delle neuroscienze, avrebbe anche travolto, fino a
definirli "rozzi ed illusori", concetti come volontà e colpa, che
tanto la facevano penare. Essi costituivano infatti la coppia micidiale, quasi le bolas, con cui lo stato depressivo la
stringeva al collo. Ma la smentita della dittatura di volontà e colpa che un
così grande sollievo avrebbe potuto arrecarle, era, a quel tempo, ancora
di là da venire.
Frattanto Q. aveva da lamentarsi anche per l'attività frenetica e incontrollata
di quell'altra straordinaria dotazione della persona
umana che si chiama autocoscienza, la possibilità di
pensarsi, di riflettere su di sé, sulle proprie azioni e sui propri pensieri.
Q. infatti
procedeva nelle sue giornate in perenne compagnia di un'
altra Q., una
presenza costante che sempre l'accompagnava, e che, senza troppa fantasia, lei
chiamava l'Altra, o Terzo
Occhio o Telecronista o Colonna sonora.
Q. sapeva che L’Altra era ancora
lei, ma nello stesso tempo la immaginava come un'altra persona, molto diversa
dalla sé di quel tempo, anche se molto simile alla sé dei tempi in cui
Q. era qualcuno. Innanzitutto era un'adulta mentre Q., benché avesse quarantotto
anni, si percepiva come una bambina sprovvista di ogni esperienza del mondo,
nel quale si muoveva confusa e allarmata. L'Altra
invece era una giovane donna consapevole.
Vestiva persino
in modo diverso da lei. Portava i jeans, una maglietta Fruit of the loom bianca
e scarpe da ginnastica. Forse erano quelle che le conferivano quel passo sicuro
ed elastico che sentiva sempre accanto a sé e che le invidiava, mentre lei
portava avanti il suo corpo come un carico pesante e fragile insieme,
sfuggente da tutte le parti.
Delle numerose esperienze dovute alla sua malattia questa dell’Altra le
pesava in modo particolare. Non era né dolorosa né spaventosa, ma la sua persistenza, la sua continuità non si allentava mai, non le dava riposo o respiro. Q.
viveva le sue giornate, con i loro piccoli o grandi avvenimenti, osservandosi
viverle, meta-vivendole, se così si può dire ed esse erano come una
rappresentazione teatrale in cui lei era attore e spettatore. Ogni più minuto
attimo della sua vita Q. lo viveva due volte, lo esperiva in due modalità
diverse; lo compiva come agente e ne fruiva come osservatore. In altre parole,
mentre Q., perplessa, osservava il mondo seduta sulla sua malattia, il terzo
occhio, l'occhio dell'Altra, osservava lei che, seduta perplessa
sulla sua malattia, osservava il mondo e in questa abîme ogni singolo
fenomeno si raddoppiava e si presentava alla sua coscienza due volte, come
esperienza inesplicabile e come descrizione, ma non esplicativa, di essa.
Q. si lavava o beveva un caffè al bar, traversava la strada o sceglieva
un taglio di carne dal macellaio e intanto accanto ma anche sopra e dentro di
lei, l'Altra la osservava lavarsi o traversare la strada, scegliere il
taglio di carne dal macellaio o bere il caffè al bar e prendeva nota di ogni
suo gesto, di ogni sua sensazione, di ogni sua emozione o pensiero.
Q. dovette
dunque ammettere che il suo cervello, semplicemente, si era diviso in due:
c'era lei, immersa nella sua vita corporale e mentale e c'era ancora un'altra
lei che scrutava questa sua vita corporale e mentale additandola alla sua
attenzione e commentandola senza sosta. Le dava anche delle istruzioni e degli
incoraggiamenti, ma questo non ne stemperava la molestia.
"-Stai entrando dal macellaio —le diceva—c'è gente, dovrai attendere. Puoi
sempre uscire se vuoi, se ti sentirai soffocare, non devi neanche salutare,
nessuno fa caso a te.
-Ti stai
coprendo di sudore, hai paura di cadere, pensi che non ce la farai a restare in
piedi finché tocchi a te. Ma non è grave, lo sai, ti copri
sempre di sudore.
-Ecco, allunga
il braccio dietro di te e appoggiati alla parete. Sorridi; no, non così,
meno.
-Altra gente è
entrata dopo di te. Sì, ti ostacola l'uscita. Ma puoi sempre spingerla.
Potresti gridare e si scosterebbero.
-Il cuore sta
rallentando, certo. Ma batte, non temere, batte, altrimenti saresti morta e non
mi udresti; invece sei viva, stai in una macelleria e se ti giri verso destra
senti l'aria fredda che esce dal frigorifero quando ne aprono la porta.
-Sì, ti senti
cadere. E vuoi fuggire, certo. E non sai se le gambe si muoveranno. Però si
muoveranno, vedrai. Chiudi le mani. Ora aprile. Vedi? Obbediscono. Anche le
gambe obbediranno.
-Tra poco
toccherà a te. Guarda il banco. Concentrati sui tagli di carne. Descrivimeli,
dai. Da destra. Quella è la rosa di vitello. Vedi come frana dolcemente sotto
il suo peso? E' carne tenera, giovane. Quelle invece sono bistecche di lombo.
E' manzo. Lo vedi come è rosso? E come è sodo? E quelle altre, più grasse,
quelle sono sempre bistecche ma di costa.
-Non vedi più? Sciocchezze. E'
l'ombra della tenda. Va bene, non vedi più. Diciamo che non vedi più. Lo sai
che dura pochissimo. Pochi secondi, un minuto forse. Puoi farcela. Stai
tranquilla nessuno se ne accorge.
-Ascoltali
parlare. Senti? E' tutto normale, la gente parla di zucchine ripiene di carne,
di polpettoni, di alette di pollo. Nessuno è mai morto in una macelleria mentre
si parla di alette di pollo! Ecco fra poco tocca a te. Non c'è bisogno che
indichi il pezzo se non ci vedi. Basta che tu dica: Vorrei quattro etti di
fettine di vitello, per favore.
-La voce non
esce? Questo lo credi tu. La voce è già uscita. Guarda, il macellaio ha preso
la rosa di vitello, l'ha posata davanti a sé, la sta assestando e si prepara a
tagliarla. Perciò ti ha sentito, no?
-Ma certo che puoi vederlo! Come farei io a
dirti che ha preso la rosa di vitello e si prepara a tagliarla se tu non
l'avessi visto? La sta pesando, vedi? Che ti avevo detto, la vista è tornata.
Ora basta che allunghi il braccio e prendi il pacchetto. Così, splendido.
-Stai
per uscire. Presto sarai fuori. Devi solo passare alla cassa e pagare. Ma sì che le
gambe sono salde. Ecco, vedi, anche il sorriso è più sciolto. Chiedi permesso,
così. Non occorre che alzi la voce. Calma. Calma.
-Ecco, sei fuori.
Ce l'hai fatta. Che ti dicevo? Piangi? Sì, è stato spaventoso, lo so. Ma ora
sei fuori. Puoi piangere, ora. Va bene, va tutto bene. Ora devi solo camminare
verso casa. E poi ti sdraierai sul letto e chiuderai gli occhi. Come hai detto? Colonna sonora? Telecronista? Ah, io? ma come, non mi chiamavi l'Altra?"
Questo dialogo, del resto non poco sforbiciato, è
solo il piccolo trailer del film che si proiettava ininterrottamente nella mente
di Q. durante ognuna delle sue giornate.(7 / continua)
Non so... a me pare di essere "tardo", arrivo sempre dopo. Questo fatto di salire in macchina ed avere la prima già ingranata non mi capita mai...
RispondiEliminaComunque vedo che la macchina va (la tua).
Ciao
Molto coinvolgente, anche perchè mi ci sono anche trovata in certe situazioni.
RispondiEliminaIo mi chiedo se lo stai scrivendo, questo saggio di vita o se lo hai già terminato. In questo caso ti chiedo di pubblicarlo, perchè lo vorrei tutto e subito.
Un abbraccio.
Cristiana
Ciao Guglielmo, è una specie di cambio automatico :-))
RispondiEliminaCiao Cristiana, Il mio lavoro è rimasto interrotto nel 2010. Ora sto rivedendo la parte già scritta e terminandolo.
Ti ringrazio per il tuo interesse. Quando sarà finito lo auto-pubblicherò. Ti tengo informata
Mi ripeto, lo so, ma io continuo a sentirmi molto emozionata da questa lettura che racconta anche me, quella parte di me che ho sempre avuto difficoltà a condividere con chi avevo intorno, dopo i primi tentativi fatti che mi rimandavano visi stupiti di chi aveva grosse difficoltà a capire.
RispondiEliminaAll'inizio di tutto questo, per me, avevo 17 anni,anche il tenersi tutto dentro era un problema che si sommava agli altri .
Pur scrivendo molto, negli anni e riempiendo quaderni su quaderni non ho mai descritto tutto questo e leggerlo oggi mi provoca sensazioni ed emozioni molto forti
Proseguo insieme a te
Cara Adele, ogni volta che incontro una persona che ha conosciuto anche solo un po' di quello che ho conosciuto io mi commuovo.C'è un senso di vicinanza, di comprensione che mi raggiunge.Penso a te diciassettenne che ti tieni tutto dentro. Anche per me scriverne non è stato e non è facile. Ma sono intenzionata ad andare avanti. Sono contenta di averti con me
RispondiEliminati abbraccio, marina