lunedì 18 novembre 2013

DEP & DAP LEXICON /7

Tra le esperienze che tendevano a convincere Q. della inaffidabilità delle leggi fisiche e dei fenomeni biologici che ne discendevano c'era anche una bizzarra inversione del naturale susseguirsi di pensiero e azione nel tempo.
In pratica la sua mente le presentava due eventi obbligatoriamente successivi in ordine cronologico inverso. Q. chiamava ciò effetto hysteron proteron, come la figura retorica, e quando le accadeva non poteva fare a meno di ripetersi quel famoso verso dell'Eneide, l’ esortativo moriamur et in media arma ruamus. Moriamo e buttiamoci a combattere. Quell’anticipazione di termini era servita a Virgilio per dare il senso dell'impeto eroico con cui i soldati troiani erano pronti a battersi e a morire in difesa della loro patria. Anche Q. si trovava spesso a programmare gesti, invertendono il naturale ordine cronologico. Ad esempio poteva capitarle di dirsi mentalmente, o meglio di sentire L’Altra dirle mentalmente : -mettiamo la prima e saliamo in macchina.
Nel caso di Q. non c’erano una patria da difendere e invasori greci cui opporsi e l’esortazione che rivolgeva a se stessa era volta solo a infonderle il coraggio necessario a raggiungere con la sua piccola autovettura il più vicino supermercato. Atto banale, certo, ma il cui eroismo non era comunque da sottovalutare.
Il suo personale effetto hysteron proteron era reso più inquietante dal fatto che, mentre la sua mente la esortava a ingranare la prima e quindi a salire in macchina, la prima lei l’aveva già ingranata ed era già passata alla seconda. Confusamente Q. imputava questo doppio sfasamento tra il prima e il dopo a piccoli smarrimenti anticipatori e ritardatari insieme della coscienza, rispetto agli impulsi arrivati dal cervello al resto del suo corpo. Insomma ad una scollatura corpo-coscienza-mente.
            Allora Q. non sapeva che, in un certo senso, tutta la nostra vita è un continuo hysteron proteron perché dava per scontato che lei, come ogni altro umano, fosse per lo più cosciente dei suoi atti già nel compierli e che essi tenessero dietro ad una sua intenzionalità. Che lei ne avesse, di fatto, coscienza. Ignorava che il concetto di coscienza era in via di essere dichiarato se non morto, moribondo.
             Un giorno Q. avrebbe addirittura udito con le sue orecchie un rigorosissimo neuroscienziato dichiarare che "la parola coscienza" gli faceva sempre pensare "alle macchie di grasso sul brodo di pollo”, essendo i momenti di coscienza dell'individuo non solo pochi ma anche in continua scomposizione e ricomposizione proprio come le macchie di grasso sul brodo.
              In quell'occasione inoltre avrebbe appreso che, la coscienza essendo come la strozzatura di un imbuto, "in cui nel grande magma dell' inconsapevole e inintenzionale, passa a piccole quantità e per attimi brevissimi", la nostra mente è l’ultima a conoscere i nostri atti: ne "prende coscienza” con mezzo secondo di ritardo rispetto all’inizio dell’atto stesso.
Questa recente scoperta scientifica, Q. avrebbe potuto testimoniarla già a quel tempo; ma, ignorandola e limitandosi a viverla di maniera accentuata, si arrovellava tormentosamente per quelli che considerava i mancamenti ed i ritardi della sua coscienza.           
              Il ridimensionamento del concetto di coscienza da parte degli studi di psicologia cognitiva e delle neuroscienze, avrebbe anche travolto, fino a definirli "rozzi ed illusori", concetti come volontà e colpa, che tanto la facevano penare. Essi costituivano infatti la coppia micidiale, quasi le bolas, con cui lo stato depressivo la stringeva al collo. Ma la smentita della dittatura di volontà e colpa che un così grande sollievo avrebbe potuto arrecarle, era, a quel tempo, ancora di là da venire.
            Frattanto Q. aveva da lamentarsi anche per l'attività frenetica e incontrollata di quell'altra straordinaria dotazione della persona umana che si chiama autocoscienza, la possibilità di pensarsi, di riflettere su di sé, sulle proprie azioni e sui propri pensieri.
Q. infatti procedeva nelle sue giornate in perenne compagnia di un'
altra Q., una presenza costante che sempre l'accompagnava, e che, senza troppa fantasia, lei chiamava l'Altra, o Terzo Occhio o Telecronista o Colonna sonora.
              Q. sapeva che L’Altra era ancora lei, ma nello stesso tempo la immaginava come un'altra persona, molto diversa dalla sé di quel tempo, anche se molto simile alla sé dei tempi in cui Q. era qualcuno. Innanzitutto era un'adulta mentre Q., benché avesse quarantotto anni, si percepiva come una bambina sprovvista di ogni esperienza del mondo, nel quale si muoveva confusa e allarmata. L'Altra invece era una giovane donna consapevole.
Vestiva persino in modo diverso da lei. Portava i jeans, una maglietta Fruit of the loom bianca e scarpe da ginnastica. Forse erano quelle che le conferivano quel passo sicuro ed elastico che sentiva sempre accanto a sé e che le invidiava, mentre lei portava avanti il suo corpo come un carico pesante e fragile insieme, sfuggente da tutte le parti.
            Delle numerose esperienze dovute alla sua malattia questa dell’Altra le pesava in modo particolare. Non era né dolorosa né spaventosa, ma la sua persistenza, la sua continuità non si allentava mai, non le dava riposo o respiro. Q. viveva le sue giornate, con i loro piccoli o grandi avvenimenti, osservandosi viverle, meta-vivendole, se così si può dire ed esse erano come una rappresentazione teatrale in cui lei era attore e spettatore. Ogni più minuto attimo della sua vita Q. lo viveva due volte, lo esperiva in due modalità diverse; lo compiva come agente e ne fruiva come osservatore. In altre parole, mentre Q., perplessa, osservava il mondo seduta sulla sua malattia, il terzo occhio, l'occhio dell'Altra, osservava lei che, seduta perplessa sulla sua malattia, osservava il mondo e in questa abîme ogni singolo fenomeno si raddoppiava e si presentava alla sua coscienza due volte, come esperienza inesplicabile e come descrizione, ma non esplicativa, di essa.
                 Q. si lavava o beveva un caffè al bar, traversava la strada o sceglieva un taglio di carne dal macellaio e intanto accanto ma anche sopra e dentro di lei, l'Altra la osservava lavarsi o traversare la strada, scegliere il taglio di carne dal macellaio o bere il caffè al bar e prendeva nota di ogni suo gesto, di ogni sua sensazione, di ogni sua emozione o pensiero.
Q. dovette dunque ammettere che il suo cervello, semplicemente, si era diviso in due: c'era lei, immersa nella sua vita corporale e mentale e c'era ancora un'altra lei che scrutava questa sua vita corporale e mentale additandola alla sua attenzione e commentandola senza sosta. Le dava anche delle istruzioni e degli incoraggiamenti, ma questo non ne stemperava la molestia.
            "-Stai entrando dal macellaio —le diceva—c'è gente, dovrai attendere. Puoi sempre uscire se vuoi, se ti sentirai soffocare, non devi neanche salutare, nessuno fa caso a te. 
-Ti stai coprendo di sudore, hai paura di cadere, pensi che non ce la farai a restare in piedi finché tocchi a te. Ma non è grave, lo sai, ti copri sempre di sudore. 
-Ecco, allunga il braccio dietro di te e appoggiati alla parete. Sorridi; no, non così, meno. 
-Altra gente è entrata dopo di te. Sì, ti ostacola l'uscita. Ma puoi sempre spingerla. Potresti gridare e si scosterebbero. 
-Il cuore sta rallentando, certo. Ma batte, non temere, batte, altrimenti saresti morta e non mi udresti; invece sei viva, stai in una macelleria e se ti giri verso destra senti l'aria fredda che esce dal frigorifero quando ne aprono la porta. 
-Sì, ti senti cadere. E vuoi fuggire, certo. E non sai se le gambe si muoveranno. Però si muoveranno, vedrai. Chiudi le mani. Ora aprile. Vedi? Obbediscono. Anche le gambe obbediranno. 
-Tra poco toccherà a te. Guarda il banco. Concentrati sui tagli di carne. Descrivimeli, dai. Da destra. Quella è la rosa di vitello. Vedi come frana dolcemente sotto il suo peso? E' carne tenera, giovane. Quelle invece sono bistecche di lombo. E' manzo. Lo vedi come è rosso? E come è sodo? E quelle altre, più grasse, quelle sono sempre bistecche ma di costa. 
-Non vedi più? Sciocchezze. E' l'ombra della tenda. Va bene, non vedi più. Diciamo che non vedi più. Lo sai che dura pochissimo. Pochi secondi, un minuto forse. Puoi farcela. Stai tranquilla nessuno se ne accorge. 
-Ascoltali parlare. Senti? E' tutto normale, la gente parla di zucchine ripiene di carne, di polpettoni, di alette di pollo. Nessuno è mai morto in una macelleria mentre si parla di alette di pollo! Ecco fra poco tocca a te. Non c'è bisogno che indichi il pezzo se non ci vedi. Basta che tu dica: Vorrei quattro etti di fettine di vitello, per favore. 
-La voce non esce? Questo lo credi tu. La voce è già uscita. Guarda, il macellaio ha preso la rosa di vitello, l'ha posata davanti a sé, la sta assestando e si prepara a tagliarla. Perciò ti ha sentito, no? 
-Ma certo che puoi vederlo! Come farei io a dirti che ha preso la rosa di vitello e si prepara a tagliarla se tu non l'avessi visto? La sta pesando, vedi? Che ti avevo detto, la vista è tornata. Ora basta che allunghi il braccio e prendi il pacchetto. Così, splendido. 
-Stai per uscire. Presto sarai fuori. Devi solo passare alla cassa e pagare. Ma sì che le gambe sono salde. Ecco, vedi, anche il sorriso è più sciolto. Chiedi permesso, così. Non occorre che alzi la voce. Calma. Calma. 
-Ecco, sei fuori. Ce l'hai fatta. Che ti dicevo? Piangi? Sì, è stato spaventoso, lo so. Ma ora sei fuori. Puoi piangere, ora. Va bene, va tutto bene. Ora devi solo camminare verso casa. E poi ti sdraierai sul letto e chiuderai gli occhi. Come hai detto? Colonna sonora? Telecronista? Ah, io? ma come, non mi chiamavi l'Altra?"

                 Questo dialogo, del resto non poco sforbiciato, è solo il piccolo trailer del film che si proiettava ininterrottamente nella mente di Q. durante ognuna delle sue giornate.(7 / continua)

5 commenti:

  1. Non so... a me pare di essere "tardo", arrivo sempre dopo. Questo fatto di salire in macchina ed avere la prima già ingranata non mi capita mai...
    Comunque vedo che la macchina va (la tua).
    Ciao

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  2. Molto coinvolgente, anche perchè mi ci sono anche trovata in certe situazioni.
    Io mi chiedo se lo stai scrivendo, questo saggio di vita o se lo hai già terminato. In questo caso ti chiedo di pubblicarlo, perchè lo vorrei tutto e subito.
    Un abbraccio.
    Cristiana

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  3. Ciao Guglielmo, è una specie di cambio automatico :-))

    Ciao Cristiana, Il mio lavoro è rimasto interrotto nel 2010. Ora sto rivedendo la parte già scritta e terminandolo.
    Ti ringrazio per il tuo interesse. Quando sarà finito lo auto-pubblicherò. Ti tengo informata

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  4. Mi ripeto, lo so, ma io continuo a sentirmi molto emozionata da questa lettura che racconta anche me, quella parte di me che ho sempre avuto difficoltà a condividere con chi avevo intorno, dopo i primi tentativi fatti che mi rimandavano visi stupiti di chi aveva grosse difficoltà a capire.
    All'inizio di tutto questo, per me, avevo 17 anni,anche il tenersi tutto dentro era un problema che si sommava agli altri .
    Pur scrivendo molto, negli anni e riempiendo quaderni su quaderni non ho mai descritto tutto questo e leggerlo oggi mi provoca sensazioni ed emozioni molto forti
    Proseguo insieme a te

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  5. Cara Adele, ogni volta che incontro una persona che ha conosciuto anche solo un po' di quello che ho conosciuto io mi commuovo.C'è un senso di vicinanza, di comprensione che mi raggiunge.Penso a te diciassettenne che ti tieni tutto dentro. Anche per me scriverne non è stato e non è facile. Ma sono intenzionata ad andare avanti. Sono contenta di averti con me
    ti abbraccio, marina

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Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo