venerdì 22 marzo 2013

Riflessioni sul progetto Leucò






Il Progetto Leucò della Fondazione Cesare Pavese (di cui ho parlato qui) è ormai in fase di conclusione. Dei 27 "dialoghetti", come li chiama Pavese ne "Il mestiere di vivere", siamo arrivati al 23esimo. Non parlerò dell'opera: chi la conosce non ha certo bisogno di un mio commento e chi non la conosce l'accosterà meglio con occhio vergine. Del resto-ed è sempre Cesare Pavese a dirlo-"non conta l'intenzione sua [dello scrittore] ma quello che [nell'opera] ci vedo io, lettore."

Le mie riflessioni non sono ancora un bilancio ma una serie abbastanza disordinata di pensieri.
Quelli più personali, riguardanti il modo in cui ho vissuto questa esperienza- così come quelli sulla comunità-Leucò - perché infatti si è creata una vera e propria comunità- li rimando ad un altro momento.
Qui voglio scrivere solo alcune notazioni -a valle- sul progetto stesso e sul suo significato.

Mi sono chiesta se avessimo il diritto di stravolgere l'opera di Pavese, di frammentarla, di invertirne l'andamento, di dilatarne o restringerne il senso, di inframmezzarla con le nostre divagazioni, di "scherzarla" o di caricarla di tanti pesi, di violarla in fin dei conti.
Ebbene penso che il rispondere di sì sia condizionato al raggiungimento del fine di una tale operazione.

E dunque il fine. La Fondazione ne indica almeno quattro
“Leggere i dialoghi prendendosi il tempo di riflettere, scegliere i nuclei simbolici che colpiscono la nostra sensibilità” [@ExLibris2012]

“Mi intriga la possibilità di un uso divulgativo dei social network” [@ineziessenziali]

“Riscrivi, rivisiti, rivedi, vanifichi, risenti, vivifichi: #Leucò” [@Kugpeter]

“Per me #Leucò è stimolo giornaliero, straordinario esperimento di mesh tra culture alte e basse. Letteralmente popolare” [@giusambr]

La scommessa su un uso divulgativo del social network Twitter, in particolare per la letteratura, è una mia vecchia speranza, quasi una mania. Mi sembra che la scommessa sia stata vinta. Tantissimi utenti Twitter hanno comprato il libro, lo stanno leggendo, ci stanno riflettendo su. Persone che non hanno mai letto Pavese dichiarano di averlo scoperto e di volerne leggere altre opere. Questa è divulgazione e non da quattro soldi.

Anche l'esperimento di mesh (io lo traduco "intreccio" e confesso che avrei preferito un vocabolo italiano) tra culture alte e basse mi sembra ampiamente realizzato. Qualcuno di noi-io stessa- ha esagerato nel basso ma qualcun altro ha provveduto a riscattarlo con un alto molto alto.

La riflessione, la libera scelta di nuclei simbolici che risvegliano la nostra sensibilità si è dispiegata ininterrottamente, un po' morsa da quei 140 caratteri, ma comunque non sconfitta.

E sì, si è riscritto, rivisitato, rivisto, risentito, anche vivificato un'opera che, benché fondamentale, era un po' trascurata, come il suo autore forse. Il "vanificare" invece non l'ho capito e dunque lo lascio impregiudicato.

I quattro fini dunque sono stati, sia pure in misure diverse, raggiunti.

Resta però per me una domanda più vasta, un interrogativo più globale. Che cosa accade di un libro, di un'opera letteraria quando è sottoposta a questo tipo di trattamento?

Che cosa è diventato I dialoghi di Leucò per coloro che lo lessero e lo amarono?
Quanto a me: io lessi Leucò nel 1960, come lettura privata (lettura poco omogenea al clima dell'epoca. Del resto la mancanza di omogeneità è roba mia). I dialoghi erano stati scritti quasi un decennio prima.
Li rilessi all'università qualche anno dopo, credo nel 1966, come lettura per un esame. Li amai. Eppure me ne restò l'idea di un libro fascinoso, ma cui sentivo di dover tornare, per capirlo meglio. Avevo del resto poco più di vent'anni. Ma salutavo anche un libro misteriosamente vicino a qualche mia parte intima, a qualche cosa che agitava e sommuoveva il mio spirito.

E oggi, che cosa è oggi per me I dialoghi con Leucò? Dopo averli letti, riletti, analizzati, studiati, chiosati, commentati, tagliuzzati; (ormai ne so interi brani a memoria); dopo essermi lasciata andare a rimandi- fantasiosi, spericolati, audaci oppure incerti, cauti, tremebondi;  dopo aver letto i suggerimenti degli altri ri-scrittori, i loro commenti, le loro visioni; dopo aver seguito le linee di analisi suggerite dai diversi Titani (i lettori incaricati di dare il via alla riscrittura con stimoli interpretativi); dopo tutto questo qual è il mio rapporto con I dialoghi con Leucò? Li amo di più, li amo meglio? Ne comprendo più a fondo il significato? Ne apprezzo di più la bellezza?

Non posso dire di amarli di più ma certo di amarli meglio, con maggiore consapevolezza. Il loro significato è più chiaro, sebbene resti complesso e vi permanga una vena di mistero che fa parte del loro fascino; la loro bellezza è tornata ad investirmi e ne riconosco l'origine: risiede proprio in quel qualcosa che già a vent'anni mi vibrava dentro: il senso del destino che incombe su di noi; la solitudine; il bisogno di una libertà sottratta a forze tanto lontane quanto imperscrutabili; il cono d'ombra della morte; e la bellezza delle nostre patrie sentimentali, il loro significato denso, colloquiante, mitico sì; e l'amore e il dolore. E il bisogno di dire, di parlare, di scrivere. Troppe cose allora e confuse; le stesse oggi, ma ormai aperte, squadernate sotto il mio sguardo reso più penetrante e consapevole dalla mia età ormai avanzata.

E dunque? E dunque... qualcosa mi rosicchia dentro, un piccolo tarlo di scontento e quasi un'ombra di senso di colpa.
Benché io abbia letto il libro in ogni direzione: in avanti - dialogo dopo dialogo- e tornando indietro, legando, allacciando, rimandando dialogo a dialogo, cercandone una ricomposizione in un discorso compatto e concluso; malgrado questo lavoro fatto per coglierne l'unitarietà, il libro è ormai frantumato, non me ne resta un precipitato chiaro e cristallino, non una voce chiara e univoca.
Non riesco più a pensarlo come un'opera unica e compatta. Non È "I dialoghi con Leucò", SONO i dialoghi con Leucò.
E tutto questo andare dietro e ripercorrere i passi di Pavese-cui mi sono, ci siamo abbandonati- ora mi scontenta. Tanto più che, da sempre, penso che l'opera vada separata dall'aura del suo autore-vita, fatti e misfatti- letta invece e goduta per sé sola, conservando tutto l'interesse o la curiosità per l'artista che l'ha creata ad altri momenti, in totale separatezza.

Sì, tanti risultati positivi sono stati raggiunti, ma il libro ne ha fatto le spese. La mia vecchissima copia è ormai mal ridotta, rischia di dividersi in fascicoli. La farò rilegare e così la ricomporrò. Ma l'opera? Come farò a ricomporla? E, soprattutto, avevo il diritto di farla a pezzi?
Chissà quale sarebbe la risposta di Pavese. Forse-spero-con un'alzata di spalle liquiderebbe la questione.





(A parte). Le dinamiche del e nel gruppo di ri-scrittori e le mie proprie sensazioni e sentimenti, arriveranno poi. Sì, ho deciso di annoiarvi ancora un po'.

6 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  2. Marina ai dialoghi ci arrivai agli inizi degli anni 70 partendo da una canzone di De Gregori (Alice); mi colpirono lasciandomi uno strascico esistenziale mai risolto.
    Non so dirti se hai/ avete fatto male ad affrontare una vivisezione amorosa di quest'opera posso dirti che sarebbe opportuno dare l'immagine di un uomo che svolse il mestiere di scrivere con una caparbietà assoluta, forse per dimenticare quanto difficile fosse invece il mestiere di vivere. L'argomento "divulgazione" sui social network mi pare più interessante per quanto io sia veramente alieno ( lo avrai capito) a questo tipo di ambienti; se questo è stato ottenuto questo è cosa buona. Ma per quanto? Tengo Pavese gelosamente per me, non ne ho mai dialogato con nessuno...e forse sbaglio.

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  3. Ho amato Pavese alla follia quando avevo 20 anni; ho letto tutti i suoi romanzi, il diario e le poesie e anche la biografia scritta da Davide Lajolo "Il vizio assurdo". Ora, di tanto in tanto, ne leggo qualche pagina. "I dialoghi con Laucò" è quello che mi è piaciuto di meno, non l'ho più riletto e non ne ricordo nulla; ma, dopo questo tuo post, lo rileggerò con più attenzione.
    Un saluto cordiale.

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  4. Per me è stato solo rileggere bene quanto anche io avevo letto ormai 20 anni fa. il gioco ha coinvolto anche mia figlia Adriana, Melanthea, attenta lettrice (molto più di me) di Pavese, soprattutto de "Il mestiere di vivere", che tiene sul comodino. Una bellissima esperienza. Solo su una cosa non sono d'accordo: non riesco a separare l'opera dall'autore, non uno come Pavese. Comunque grazie ancora di tutto. fgiuffrida

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  5. Conobbi Pavese grazie ad un libro di mio padre : Prima che il Gallo canti edizione 1962, lo custodisco gelosamente, cimelio e ricordo assieme. Il progetto Leucò su twitter mi ha dato modo e spunto per rinnovare, piu forti e consapevoli, le emozioni delle letture Pavesiane. In fondo, siamo anche ciò che leggiamo od abbiamo letto. Cordialità . roberto vasta

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  6. Grazie a Roberto vasta e FGiuffrida. Solo ora ho trovato i vostri commenti.
    Non so che cosa stia capitando alla mia moderazione. Mi scuso, marina

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