martedì 6 novembre 2012

dialogo con un' Anonima Amica.

Ho ricevuto un commento al mio ultimo post in cui parlavo del mio modo di usare Facebook e Twitter secondo i miei bisogno e scrivevo : "In questo senso uso anche le persone con cui interloquisco; ma ognuno di loro usa me per funzioni che lui solo conosce, quindi..."

Un' Anonima Amica ha commentato così:
Scrivo di getto e non freno la rabbia. Non contro di te, Marina, ovviamente, anzi ti abbraccio con affetto.
Quella frase ha fatto crollare la diga ed ecco la valanga: io non ne posso più di essere usata! Mi usano tutti: per i loro scopi, per il loro tornaconto, per i loro fini, per il loro diletto, per i loro sentimenti! Certo, regalo a tutti il beneficio della buona fede, ma l'uso è costante e brucia. Almeno me! Non voglio usare e non voglio essere usata: vagheggio relazioni buone, generose, affettuose. Sogno premure, attenzioni, simpatia. Mi manca l'empatia, l'occuparsi di me, il pensare a come farmi piacere. Tutto è un uso e un utilizzo, quando e come si vuole, denominatore permanente di giornate che corrono e scavalcano la persona, distruggendola.
Non rileggo, anche se so di non essere stata chiara... Mi scuso e mi affido all'interpretazione benevola di chi vorrà dipanare questa complicata matassa.

Questo è quello che mi sento di rispondere:
Essere usati, già. Capisco la tua rabbia, Anonima Amica. In questo momento ne ho anche io: proprio ieri sono stata usata come testa di ariete e per di più da una persona cara. 

Ma mi chiedo: chi di noi non lo fa? chi è davvero kantiano? Chi riesce a considerare sempre l'altro come fine e non come mezzo? Siamo tutti antikantiani, tutti; magari senza rendercene conto, ma lo siamo. Un bisogno, forse urgente, una debolezza, un desiderio, una paura e la spinta a raggiungere il nostro fine: qualcuno è davanti a noi ed ecco che quel qualcuno lo useremo per il soddisfacimento del nostro bisogno, per quello che chiamerò genericamente "sollievo".
Lasciamo da parte i cinici, gli strumentalizzatori di professione, gli inveterati opportunisti. Se ci imbattiamo in costoro non c'è che la rabbia e lo sconforto. Ma se abbiamo di fronte un qualunque essere umano, che ci sia un utilizzo è inevitabile. Talvolta è reciproco, talvolta a senso unico, ahi ahi...Ma se è sempre a senso unico è anche una nostra responsabilità; spesso ci lasciamo usare, per nostri problemi personali. Ad esempio, se si fa leva sulla mia facilità a sentirmi in colpa per qualsiasi cosa, chiunque può usarmi. Rappresento, in questo senso, una grande tentazione. Sono un boccone facile e irresistibile.

Non credo poi che si tratti di non voler usare e farsi usare, quanto di essere capaci di non usare e di non farsi usare. Èd è difficile, molto.
E chi di noi non vagheggia relazioni buone, generose, affettuose? Forse sono un'ottimista o una ingenua ma penso che ognuno di noi ne abbia alcune come queste: relazioni soddisfacenti in cui ci si migliora a vicenda proprio perché ci si tratta con generosità, per puro affetto, senza aspettarsi niente dall'altro. Io ne ho. Certo, rispetto al numero delle altre, sono poche, ma ho imparato a farmele bastare, a non aspettarmi le premure, le attenzioni, la simpatia invece del disinteresse, anzi del proprio personale interesse: pratico o psicologico che sia. Spesso mi basterebbe il rispetto, senza premure, di me e delle mie caratteristiche, debolezze e fragilità comprese. Chi di noi non vorrebbe l'empatia, l'occuparsi di noi, il pensare come farci piacere? Scusami, ma queste richieste o aspettative, secondo me  possiamo averle solo rispetto ad alcune persone, non come regola nei rapporti. Il mondo non è come noi lo vorremmo, perché noi umani non siamo così; cerchiamo tutti il soddisfacimento dei nostri bisogni e ci rivolgiamo qui e là e annaspiamo attaccandoci ad ogni àncora possibile. Nel far questo ci usiamo sì, reciprocamente. Oppure tu usi A, io uso B, B usa te con vari e diversi intrecci. È brutto? Lo è, ma prima che brutto è inevitabile, almeno secondo me. E, scusami ancora, sta a noi non farci distruggere. Forse  la mia accettazione, rispetto alla tua ribellione è il segno di una differenza di età (io non conosco la tua) o forse dipende da un tuo atteggiamento più idealistico, o più ingenuo, o più pretenzioso; o forse più generoso, moralmente migliore. Non lo so, ma giunta a questo momento della mia vita, scelgo solo relazioni in cui non mi sento usata. Essere usati fa male, ti capisco benissimo. Aggiungo che succede anche che qualcuno sia generoso, affettuoso, abbia attenzioni, e nel contempo ci stia usando: per qualche ragione in noi trova il soddisfacimento di suoi bisogni. Conosco persone di straordinaria generosità, volontarie in un campo difficilissimo, quasi impossibile, che si fanno carico del dolore altrui; loro stessi, se richiesti: come fate? rispondono che anche nella loro generosità c'è il soddisfacimento di un loro egoistico bisogno. Noi che veniamo soccorsi ci serviamo di loro e loro si servono di noi. Sono loro stessi a dirlo. E non mi meraviglia. Dal loro usarci esce del bene per noi. Ma la regola generale è che più spesso, quando ci usano, esce del male.
Sono cinica? Io credo di essere solo realista, ma questo non posso giudicarlo io.
Però, per non finire nell'amarezza, io credo anche che ognuno di noi possa un pochino migliorarsi, che possiamo fare degli sforzi, ottenere piccoli risultati. Sono quindi una realista ottimista? Non lo so.

Spero di averti risposto senza sbagliare nell'interpretare il tuo pensiero, Anonima Amica. 
Voglio spingere la mia sincerità proprio al suo limite. Nel rispondere a te, rispondo anche ad un'altra persona cui avevo bisogno di dire queste cose. Non credi che, in questo senso, e paradossalmente, anche io ti abbia usata? Eppure non volevo, ho solo approfittato dell'occasione: ho approfittato anche di te? Spero di non aver perso il tuo affetto, marina

P.S. Non riesco a rendere omogenea la dimensione dei caratteri, scusate

15 commenti:

  1. Francesco ha scritto: "Usiamo? Siamo usati? Forse, ma è importante? Forse? Ma quello che conta è l'effetto, forse, siamo felici? Gli altri sono felici? Oppure c'è un inganno, un inganno verso noi stessi ? oppure verso gli altri? Non saprei, e poi ci fanno più male le nostre certezze? Oppure sono le incertezze che ci uccidono? ;-

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  2. Nadia Landi ha commentato il tuo link.
    Nadia ha scritto: "hola sono d'accordo con te Marina usiamo e siamo usati forse inconsciamente lo facciammo, e con altrettanta certezza sappiamo si essere usati....forse per sensi di colpa forse per bontà d'animo o forse perchè semplicemente siamo fatte così....poi c'è l'attimo della ribellione, dove prendiamo coscienza di tutto ciò. Ma è una colpa? Sarà importante come dice Francesco? boh? ;)"

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  3. Quando ero ragazzina e cercavo amicizie, mia mamma mi avvisava sempre. A te piacciono tanto gli amici, ma devi stare attenta, il più delle volte ti usano.Poi aggiungeva: lo capirai meglio da grande. Questa diffidenza, mi faceva male. Io volevo e voglio ancora oggi credere negli altri anche se...
    Credo che siamo troppo in difesa. Non amo difendermi sempre. Qualche amico forse mi "ha fregato, mi ha usato", non lo so. Forse non sapeva fare altrimenti. Se stare con me serve a qualcuno e io riesco a stare insieme a lui o lei, che problema c'è? Mi usa? O semplicemente ha bisogno di qualcuno e quel qualcuno in quel momento sono io! Mi va bene. Se poi non ce la faccio, sta a me dirlo. Nell'amicizia o in ogni relazione non esiste una bilancia, ci si autoregola. Poi è chiaro che ci sono quelli che... Ma credo che sempre ci saranno. Il mio problema è non diventare come loro, non per generosità, ma perchè ad essere così non si sta bene.
    Non so se sono riuscita a dire quello che penso, ci ho provato, ma forse tante cose non si riescono a spiegare con le parole. Si sentono...
    Un abbraccio, Marina cara.
    Giulia

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  4. Quando ero ragazzina e cercavo amicizie, mia mamma mi avvisava sempre. A te piacciono tanto gli amici, ma devi stare attenta, il più delle volte ti usano.Poi aggiungeva: lo capirai meglio da grande. Questa diffidenza, mi faceva male. Io volevo e voglio ancora oggi credere negli altri anche se...
    Credo che siamo troppo in difesa. Non amo difendermi sempre. Qualche amico forse mi "ha fregato, mi ha usato", non lo so. Forse non sapeva fare altrimenti. Se stare con me serve a qualcuno e io riesco a stare insieme a lui o lei, che problema c'è? Mi usa? O semplicemente ha bisogno di qualcuno e quel qualcuno in quel momento sono io! Mi va bene. Se poi non ce la faccio, sta a me dirlo. Nell'amicizia o in ogni relazione non esiste una bilancia, ci si autoregola. Poi è chiaro che ci sono quelli che... Ma credo che sempre ci saranno. Il mio problema è non diventare come loro, non per generosità, ma perchè ad essere così non si sta bene.
    Non so se sono riuscita a dire quello che penso, ci ho provato, ma forse tante cose non si riescono a spiegare con le parole. Si sentono...
    Un abbraccio, Marina cara.
    Giulia

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  5. Francesco Petretti ha commentato il tuo link.
    Francesco ha scritto: "Si anche io ho deciso molto tempo fa, che qualche fregatura era meglio di una vita di diffidenza. In ogni caso credo si tratti di tenere i nostri sentimenti con mano ferma e delicata, abbastanza ferma da non farli volare via, ma non così stretta da ucciderli. ;-)"

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  6. La butto giù pesante: ogni relazione umana è caratterizzata da un reciproco "usarsi", usarsi dopo essersi scelti in quanto soggetti adatti ad un buon utilizzo, adatti a garantire una buona crescita della relazione. Nessuna scelta affettiva è disgiunta dall'interesse/utilizzo dell'altro: se così non fosse non staremmo lì neanche a perder tempo a scegliere il nostro eventuale interlocutore/compagno/amico, ecc....sbaglio?
    La consapevolezza della reciprocità di "utilizzo" e del "beneficio derivante dall'utilizzo stesso" è l'elemento che fa la differenza tra una relazione sana e una malata o, più semplicemente, sbilanciata.
    Ed eccola lì la differenza: usare senza dare, senza offrire disponibilità è il punto che dirime la questione.
    L'altro, tanto più è diverso da noi, tanto più ci permette di usare, ad esempio, la sua esperienza, la sua sensibilità, il suo punto di vista, la sua visuale sul mondo insomma...vi pare poco?
    A me, tanto per concludere, un'anonima che ritenga di dover fiammeggiare così appassionatamente su di una disputa puramente teorica, tanto teorica da divenire asfitticamente ideologica, dà l'idea di un'anima inquieta, sospettosa e fragile, pronta ad avvertire il pericolo di un'aggressione persino attraverso un mezzo come questo del blog.

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    1. La sua perentoria e tagliente conclusione è un perentorio e tagliente giudizio su di me: senza conoscermi, lei giudica, etichetta, sbacchetta, senza che ce ne sia bisogno, perché nulla è aggiunto o tolto al suo pensiero. "Disputa puramente teorica", lei scrive, quando disputa non ce n'è. "Asfitticamente ideologica", precisa, quasi che dovesse essere lei il giudice di un respiro ampio e ossigenante!
      Tralascio con un sorriso "l'anima inquieta, sospettosa e fragile" che lei mi affibbia con tanta disinvoltura, non tanto perché io non sia inquieta (ché lo sono molto), ma per la facilità con la quale lei spara sentenze.
      Su una cosa, però, ha ragione, sul "fiammeggiare". E' vero, fiammeggio. Quando ero molto giovane me ne vergognavo, pensando di essere fraintesa o di non averne diritto, oggi no, ne sono consapevole e non mi vergogno: fiammeggio. Ardo. Divampo. Mi appassiono. Incendio. E quando la vita mi bastona, copro le braci sotto una pesante coltre di cenere, e aspetto che mi bastoni un po' di meno: per tornare a fiammeggiare. E in mezzo a queste fiamme di conversazione con lei, sento non il "pericolo" di un'aggressione, ma l'aggressione stessa, anche se davvero non me ne spiego il motivo. E sì che avevo scritto di affidarmi all' "interpretazione benevola"!

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  7. Che commentatori forti ho! e come scrivete bene! veramente mi piacete, grazie

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  8. Piccola postilla. Non sono diffidente, non scruto gli altri pensando:vuole usarmi, mi starà usando, in guardia Marina. Anzi, scopro spesso il fianco. Ma accetto senza scompormi troppo la coniugazione del verbo usare: io ti uso, tu mi usi, egli ci usa, noi ci usiamo, voi vi usate, essi si usano...Vi risparmio gli altri tempi e modi :-)

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  9. Cara Marina, ti ringrazio per il tuo dialogo e sono contenta che, "usandomi", hai risposto all'altra persona che evidentemente ti sta a cuore. Ma qui non c'è l'uso, qui c'è il "portare avanti", c'è la tessitura di un ordito cui qualcun altro ha fornito la trama. Questo è straordinario: lo chiamerei fertilità, slancio, desiderio di comunicare, di riconoscere, di essere riconosciuti, v-i-t-a. E' come se io avessi impastato un'elastica massa di pasta lievitata (a quest'ora ho sempre fame!) e tu l'avessi impastata dopo di me :-) :-), nessuno ha approfittato di nulla, faremmo entrambe delle ottime pizze, forse migliori che se fossimo state sole.
    Condivido, naturalmente, le tue riflessioni. Le condivido quietamente e con rassegnazione: so che è così, che è proprio parte di noi, ma talvolta sono stanca, quando leggo, vedo, tocco, che non si è attenti all'altro, ma solo a noi stessi. Ho mal di testa? Tu ce l'hai più forte del mio. Ho un problema di lavoro? Eeeehhhh sapessi io quante ne hai passate tu! Mi chiedi di mia figlia? E' per parlarmi della tua. Ti balza agli occhi che sono avvilita? Su, su, su, ché tu sei più avvilita di me!
    Sei realista, sì, siamo realiste, teniamo a freno le nostre ribellioni, ma sempre tutti si aspettano qualcosa e noi, per il dover essere, per il senso di colpa, per la convinzione della nostra inadeguatezza, corriamo a darlo, questo qualcosa, facendoci usare. Allora, quando sento conversazioni logorroiche, in cui il pronome io è un temporale continuo, o quando il racconto di viaggi, o l'esibizione delle foto, o il lamento dell'insonnia, o il reportage minuzioso delle malattie, invadono il mio tempo e la mia attenzione, io davvero mi domando quanto quell'interlocutore tenga a me (nulla!) e quanto invece sono un mero uditore, ché io o un altro sarebbe la medesima cosa! Tutto ciò mi mortifica, mi dispiace, mi amareggia, per non dire poi delle relazioni più importanti... ma questo è un altro capitolo. Magari, nel tuo bel blog, un giorno ne parleremo.
    Faccio mio il tuo appellativo, mi piace.
    Anonima Amica

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  10. Non per diplomazia devo dire che è un piacere leggervi, entrambe.Malgrado la polemica questo incrocio di penne è molto bello, marina

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  11. Io credo che la differenza fondamentale sia tra chi usa l'altro esclusivamente per i propri fini e chi usa l'altro per fare qualcosa che fa piacere a sè ma anche all'altro, foss'anche il piacere di quest'ultimo quello di lasciar fare, come dono di sè.
    E credo che il problema fondamentale sia distinguere chi ti tratta in un modo e chi nell' altro: chi cerca il tuo accordo, chi non oltrepassa la misura, chi è attento ai tuoi sentimenti e anche ai tuoi dinieghi.
    In questo, cara Marina, credo che tu abbia sommamente ragione: le relazioni si fanno sempre insieme e non c'è nulla che uno possa fare ad un altro in una relazione umana che l'altro non gli lasci consciamente o inconsciamente fare (con l'esclusione delle violenze perpetrate anche in caso di diniego).

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  12. Premesso che secondo me tutti usano tutti, qualcuno un po' di più ma generalmente viene anche tenuto a freno (io quando mi accorgo di farlo o di subirlo metto paletti), voglio raccontare come tempo fa abbia vissuto un'esperienza che non riesco bene a mettere a fuoco. Una mia amica e io siamo state contemporaneamente impegnate in due lavori di ricerca e scrittura piuttosto impegnativi ma molto diversi tra loro. Ebbene continuavamo a telefonarci e incontrarci mettendo in scena un teatrino paradossale: lei mi parlava dei suoi problemi e risultati, io rispondevo parlando dei miei, lei continuava sul suo lavoro, io rispondevo parlando del mio, e così via. Alla fine ci salutavamo, ognuna forse con le idee un po' più chiare. Ci usavamo reciprocamente, questo è evidente, e in maniera plateale, ma credo anche che ci siamo aiutate parecchio...
    biba

    biba

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  13. Io mi sento "strausata" ma pazienza! Sta a me difendermi, mettere eventuali paletti o lasciarmi usare.

    PS grazie per aver levato la parolina di verifica!

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  14. Si usa ciò che serve a qualcosa, solo ciò che è o è ritenuto inutile non viene mai usato.
    Può talvolta esistere una sofferenza per mancanza di "utilizzo" oltre che per il suo eccesso. La ruggine ci ricopre allora come fossimo vecchi atrezzi, falcetti senza più il filo. Un freddo dell'anima che fa sentire prima inutili, poi superflui.
    Grazie Marina per gli spunti di riflessione che così spesso ci regali.

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