lunedì 24 dicembre 2012

natale

I muscoli facciali mi dolgono a forza di rispondere sorridendo: grazie, anche a te; grazie, anche a voi; grazie, anche a lei. Sul Natale abbiamo ed ho, detto e scritto di tutto. Cos'altro si può dire sul Natale?
Nella mia mente scorre continuamente, come i sottotitoli di un telegiornale, una sola parola: farcela.


diversa

Tutte le cose, anche le più insignificanti, sono diventate diverse. Oggetti ed alimenti, anche.
Tutte le cose le guardo in un modo diverso, ed emergono ai miei sensi diverse e nuove. Parlano una nuova lingua. Suscitano in me pensieri e considerazioni e commenti nuovi e diversi. Repulsioni nuove.
Sono loro diverse?
Sono io diversa.

Anche i nomi delle strade sono diversi. Ogni luogo, ogni spazio prende un nome nuovo ed ogni via, ed ogni piazza ha come nome una propria circonlocuzione: qui è accaduto questo, lì successe quello; qui normalmente si faceva questo, lì normalmente si svolgeva quello e così via...
Sono gli spazi e i luoghi nuovi e diversi?
Sono io diversa.

sabato 22 dicembre 2012

casini vari

Il nuovo blog essenzialmente libri è forse un po' troppo moderno per me...
Da quello che ho capito si clicca su una delle foto e il post si apre, per leggerlo si fa scorrere verso il basso un rettangolino nero che compare a destra. Sotto il post c'è lo spazio per i commenti.
Invece lo spazio per iscriversi l'ho tolto. Era un gesto di pura vanità,vergogna.
Quando il blog si apre alla home page, a destra c'è un rettangolo nero che percorre tutta la pagina. Passandoci sopra si vede l'archivio,  le etichette, i blog segnalati (che sto inserendo un po' per volta),  l'avviso per il copyright, la segnalazione del mio libro e infine il mio profilo. Forse ho messo troppe voci diverse e non si riesce a vederle tutte. Ci devo lavorare un po'. Scusate.
Che poi perché dovreste fare tutti questi sforzi? boh

in piena luce

Nel libro L'angoscia di Re Salomone di Romain Gary teatro della storia è un'associazione di aiuto, "S.O.S. Benevoli, alla quale si può telefonare giorno e notte quando il mondo diventa troppo pesante da portare e perfino opprimente ed è l'angoscia".

Così uno dei volontari accoglie un possibile nuovo volontario:

"È abbastanza difficile, vedrà. A conti fatti, tutto si riduce a un eccesso d'informazioni su noi stessi. Prima, uno poteva ignorarsi. Poteva conservare le proprie illusioni. Oggi, grazie ai mass-media, alla radio e soprattutto alla televisione, il mondo è diventato eccessivamente visibile. La più grande rivoluzione dei tempi moderni è questa improvvisa e accecante visibilità del mondo. Nel corso degli ultimi trent'anni abbiamo appreso sul conto nostro più di quanto abbiamo appreso nel corso dei millenni, ed è una cosa traumatizzante. Quando abbiamo finito di ripeterci, ma no, non sono io, sono i nazisti, sono i cambogiani, sono i...che so io, finiamo col comprendere che si tratta di noi. Di noi stessi, sempre, dappertutto. Di qui la colpevolezza. Ho parlato poco fa con una giovane donna che mi aveva annunciato l'intenzione di immolarsi col fuoco per protestare. Non mi ha detto contro chi voleva protestare a quel modo. Ma è evidente. Il disgusto. L'impotenza. Il rifiuto. L'angoscia. L'indignazione. Siamo diventati im-pla-ca-bil-men-te visibili ai nostri stessi occhi. Siamo stati brutalmente trascinati in piena luce, e c'è poco da stare allegri."


mercoledì 19 dicembre 2012

chi mi vuol bene.....


Cari amici oggi vi presento il mio nuovo blog

Chiariamo subito: Inezie essenziali non morirà né, ora che ho ripreso ad occuparmene, lo trascurerò.
Il nuovo blog è una cosa diversa.
Nasce però da una costola di Inezie essenziali, prende spunto cioè dalla mia abitudine di dare piccoli suggerimenti di lettura, quelli che chiamavo il Segnalibro.
Il  mio nuovo blog si chiama Essenzialmente libri e sarà dedicato solo ai libri, senza altri contenuti.
Conterrà segnalazioni, consigli, suggerimenti, recensioni e qualche sorpresa.
Mi piacerebbe avere la vostra collaborazione.
Infatti vorrei che fosse un blog aperto.
Potremmo scambiarci e condividere  i nostri post sui libri e sul mondo che vi ruota intorno, aprire discussioni, confronti; potreste consigliarmi letture di cui occuparmi,  potreste mandarmi recensioni, suggerire giochi, sondaggi e quanto altro vorrete.
E naturalmente, potreste intanto dargli un'occhiata e, se vi sembra interessante, iscrivervi come lettori. :-)

Perché questo nuovo blog? Per mettere nelle mie giornate qualche cosa di nuovo, e nella mia vita qualche cosa che mi serva di stimolo.
È un po' anche un modo per costruire uno spazio in cui la mia storia non entri che indirettamente. Come un vestito nuovo, forse una maschera, o un velo. Non lo so bene, vedrò.
Intanto però inizio. È anche una sfida a me stessa. Se la perderò, l'avrò persa e forse avrò saputo qualche cosa di più di me in questo momento della mia vita.
In ogni caso, fatemi i vostri auguri!
Grazie, marina

martedì 18 dicembre 2012

indietro...

La memoria del corpo, benché meno vasta di quella della mente, circoscritta e delimitata dalla nostra pelle così com'è, mi sembra talvolta più minuziosa e penetrante.
Ricordare con il corpo ha un effetto potente, totalmente coinvolgente e velocissimo, immediato.
In questo senso il nostro corpo si sposta nel tempo, senza ostacolo alcuno.
                                                                Pierre Auguste Renoir
Non servono, talvolta, neanche le madeleines, semplicemente all'improvviso il nostro corpo torna indietro di decine e decine di anni, e precipita indietro fino ad una festa, ad un ballo.
È questo il vero teletrasporto. Non so dire se è più doloroso che emozionante.

venerdì 14 dicembre 2012

venerdì pesce


Si sa che Copernico aveva ragione
e torto Tolomeo
Ma forse –dicono nuove teorie-
il torto tolemaico non è
così contorto
Forse siamo davvero
al centro di un universo.
E il pesce è nato
Per il nostro venerdì.

2007 m.p.

martedì 11 dicembre 2012

di sé

-Si percepisce la propria forza quando si sta soli nella propria debolezza-
disse così il Professore e io credetti.
Ora invece comprendo.

lunedì 10 dicembre 2012

senza risposta

« Cependant j’étais loin d’être désespéré. Je ne le suis même pas devenu aujourd’hui. Je me donne seulement des airs. Le plus grand effort de ma vie a toujours été de parvenir à désespérer complètement, il n’y a rien à faire. Il y a toujours quelque chose en moi qui continue à sourire. »
Romain Gary La promessa dell'alba

"Eppure io ero ben lontano dall'essere disperato. E non lo sono divenuto neanche oggi. Mi do solo delle arie. Il più grande sforzo della mia vita è sempre stato di arrivare a disperare completamente, ma non c'è niente da fare. 
C'è sempre qualche cosa in me che continua a sorridere."

Come prima cosa si sorride di questo grande sforzo per arrivare a disperare di Gary. Come sempre l'ironia di Gary rende leggero anche il più profondo dei pensieri. (Solo quando Gary parla dell'amatissima madre l'ironia cede, svanisce). 

Gary non mente sul sorriso: si continua a sorridere, è vero. Noi come lui. 
E io credo nel sorriso di Gary, credo nel sorriso di Gary come segno di una inarrestabile fiducia nella vita.
Il titolo del libro "La promessa dell'alba" ha un doppio significato.
Quel genitivo può essere soggettivo -è l'alba che ci promette qualche cosa per il nuovo giorno- o oggettivo -Qualcuno ci promette l'alba. Quest'alba che torna in ogni caso è una promessa e Gary la raccoglie.
Ma siamo davvero sicuri che l'alba sia sempre una promessa? Sia che essa sia pura natura, profezia che si autorivela o dono da un altro luogo-tempo-essere, è sempre una promessa?
Per quanti lo è?
Per chi non può esserlo?
E si può credere alle promesse?

venerdì 7 dicembre 2012

buon giorno

Non sopporto l'idea di sollecitare gli altri ad aprirsi con me, di spingerli a raccontarmi qualcosa di  personale, men che mai se doloroso.
Così mi limito a sorridere e a rivolgere un buongiorno cortese alla persona che so malata -del male che miete vite in questo tempo- perché una volta rapidamente vi accennò. Mi sentirei intrusiva. Mi sembrerebbe di invadere la sua riservatezza che, almeno ai miei occhi, è manifestata dal suo cordiale sorriso di risposta. Chiederle come sta in questo periodo, come vanno le cure o fare una osservazione sulla sua visibile energia, sul modo imperturbabile con cui conduce la sua solita vita, non potrei. Le apparirà come indifferenza? Probabile.

La discrezione è un bisogno così forte per me che se sento la tentazione di sollecitare qualcuno mi identifico con colui che verrebbe sollecitato e non con me che solleciterei. Il mio bisogno di riservatezza, il desiderio forte di non essere interpellata fa sì che io mi astenga da ogni gesto che pure potrebbe essere di riguardo, di attenzione.

Eppure ogni volta mi chiedo se sto sbagliando e mi allontano col dubbio, con il peso della mia domanda.
So che la legge che vale per me potrebbe non valere per l'altra persona, che potrebbe desiderare un gesto, una parola di sollecitudine ma questa è per me solo una ipotesi di scuola. Sempre mi trattiene il pensiero che, come me, desideri solo passare sveltamente, senza che qualcuno entri nella sua vita difficile e ne carpisca un sia pur minimo riflesso nella sua voce sfiorata dal pianto, nel suo sguardo improvvisamente velato. Senza che qualcuno porti in primo piano dolore e sofferenza. È capitato che questa muta discrezione mi sia stata riconosciuta nel tempo come atto di attenzione e che abbia ricevuto gratitudine. Ma siamo ognuno diverso ed è difficile sapere qual è veramente l'aspettativa di chi abbiamo di fronte.

Vorrei che esistesse un modo per chiedere permesso, un modo per testimoniare partecipazione senza che neanche una parola scalfisse la riservatezza e il bisogno di silenzio. Io non lo conosco e mi accontento di dire buongiorno, di immettervi il massimo di sincerità per trasformare la breve formula convenzionale nell'augurio vero di un buon giorno.

giovedì 6 dicembre 2012

cattivi sentimenti

Così descriveva Marcel il carattere della sua prozia "Ogni volta che vedeva negli altri un bene, per quanto piccolo, che lei non aveva, persuadeva se stessa che non era un bene, ma un male, e li compiangeva per non doverli invidiare".

Persone così, penso, le abbiamo incontrate tutti. Ci compiangono ma forse più meriterebbero di essere compiante. 

lunedì 3 dicembre 2012

l'azzurro viaggio


Freddo cristallino cielo
nell’ultimo mese dell’anno
lo stesso colore del giugno
Come se il dito di Dio
avesse gelato l’estate

Il sole viaggia 
gli ruota intorno il nostro cielo
alziamo la testa a guardarlo
Venere Sirio le Orse
insieme nei pulviscoli
viaggiamo l'azzurro viaggio 
e non arriviamo mai
non arriviamo mai

m.p.

mercoledì 28 novembre 2012

Zefirina ed io

Zefirina ed io abbiamo letto, e amato, lo stesso libro. "Ma chi ti credi di essere?" di Alice Munro. Zefirina ne ha parlato qui e ha riportato dei brani sparsi che l'hanno colpita, proprio come ho fatto io. E ben quattro coincidono!
Senza riscriverli li ho copiati da lei e poi ne ho aggiunti altri.



Che si può fare dell'amore quando raggiunge questi livelli di disperazione, impotenza e concentrazione folle?
Qualcosa verrà senz'altro a demolirlo.


Era proprio l'amore a darle il voltastomaco. L'asservimento, la mortificazione di sè, l'autoinganno, Questo la colpiva. Ne vedeva bene il pericolo; ne intuiva l'errore. Gettarsi a capofitto nella speranza, nell'abbandono all'altro, nel bisogno.


Pensò a quanto l'amore allontani il mondo da noi, quando è felice non meno di quando non lo è.
....In un modo o nell'altro l'amore ti deruba sempre di qualcosa. una sorgente di equilibrio interiore, un piccolo nocciolo duro di onestà.



A renderci desiderabili non è qualcosa che facciamo, ma qualcosa che senza saperlo abbiamo dentro di noi.


QUESTI QUATTRO PASSI LI ABBIAMO SEGNATI ENTRAMBE.

Ed eccone altri


...Le figure degli uccelli...Erano lì luminosi ed eloquenti, così in contrasto con quanto li circondava che non sembravano nemmeno rappresentare soltanto quegli uccelli, quei cieli e quella neve bensì un mondo diverso di gagliarda innocenza, privilegiata spensieratezza e prodiga distribuzione della conoscenza. 



Per suo padre Flo incarnava l’ideale di donna. ..La donna doveva essere energica, efficiente, in gamba a fare e a risparmiare; doveva esssere furba, abile nel contrattare, imperiosa e capacxe di smascherare le altrui falsità. Al tempo stesso doveva mostrarsi intellettualmente ingenua, puerile, nemica di carte geografiche, paroloni difficili e di tutto quello che c’è nei libri, piena di belle idee confuse, superstizioni, credenze popolari. 

..viveva di soli pensieri...

In quei momenti sentiva la presenza del corpo di (sua figlia) Anna nell’appartamento con la stessa naturalezza con cui ne aveva sentito il peso dentro di sé...

In quel momento sarebbe stato così per chiunque non fosse Simon. Le risultavano tutti irritanti e indesiderati. Rose capiva benissimo che cosa l’aspettava. Tutti i normali piaceri, i conforti, le distrazioni della vita stavano per essere imballati e messi via; il gusto per il cibo, la musica, i lillà, un temporale notturno; sarebbe svanito tutto. Non avrebbe più voluto altro che coricarsi sotto il corpo di Simon, nientìaltro che abbandonarsi a quegli abbracci spasmodici. 


Non devi metterti intesta di essere migliore degli altri solo perché impari le poesie a memoria. Chi ti credi di essere? 




sabato 24 novembre 2012

per Silvia su Uccidersi a 15 anni


Cara Silvia, potrei sottoscrivere ognuna delle tue domande così arrabbiate. E sapessi quante volte mi sono indignata e arrabbiata come te per ognuno degli esempi che fai! Non solo perché sono stata una insegnante, fatto in fondo trascurabile, ma perché da molti anni penso che la scuola sia il capro espiatorio su cui la società intera scarica le sue responsabilità nei confronti dei giovani. E questo nello stesso momento in cui le toglie ogni autorevolezza, riducendo la figura dell'insegnante a quella di un "fallito" , uno “sfigato”, senza nessun riconoscimento sociale (basta pensare a come lo tratta economicamente e normativamente). E, per ragioni troppo lunghe da spiegare, il ruolo dell' insegnante  ha quasi completamente smesso di essere rispettato. Eppure gli insegnanti -per la maggior parte- tentano ancora con fatica e con sacrificio personale di essere una positiva figura di riferimento e di riparare, come possono, ai tanti danni che altre agenzie educative compiono.
Io partirei dalla famiglia. La famiglia oggi è sempre più incapace di educare i propri figli, delega sempre di più proprio alla scuola il suo compito educativo, nel desiderio di alleviare il peso delle proprie responsabilità e di alleggerirsi la coscienza dei propri errori e colpe. Ma mentre delega alla scuola quello che sarebbe il SUO compito educativo, rispetto alla figura dell'insegnante assume un tratto se non di disprezzo, quanto meno di noncuranza. E per il futuro dei propri figli desidera ben altro e a loro suggerisce ben altre vie di realizzazione nella società presentando loro quella dell'insegnante appunto come la figura di un fallito.
E poi. Odio la parola valori ma nella nostra società prevalgono valori fatti apposta per rendere insignificante la figura dell'insegnante. A me sembra che  la scuola sia lì solo come paravento di un fallimento più generale, collettivo.
Dopo la famiglia metterei tutte le figure pubbliche, quelle che creano il clima culturale di un paese per la loro visibilità, direi anzi per la loro invadenza nella nostra vita. I media arrivano con prepotenza e con una grande potenza di fuoco nelle vite dei nostri giovani. E che modelli propongono? Che storie raccontano? La parola d'ordine è poi che la televisione non deve essere educativa e meno che mai lo stato nelle sue articolazioni. Per carità, lo stato  etico! (così con un voluto fraintendimento si è risposto ad ogni appello, ad ogni richiesta di eticità nella sfera pubblica).  Nessuno poi chiederebbe mai e poi mai alla classe politica (lasciamo perdere la sua degenerazione ché la radice è molto più lontana) di essere guida del sentimento collettivo e NON di seguirlo, blandirlo, lisciargli il pelo per ottenerne il favore. Una volta i partiti incanalavano la più disordinata e meno razionale vitalità (rabbia, voglia di prevalere, autoaffermazione egoistica, rancori di classe ecc) in forme che erano sì rappresentative (nel senso proprio letterale) ma prima ancora rielaborative, e trasformative, formative in direzioni più meditate e si assumevano anche- perché no, voglio dire la parola oscena- una funzione pedagogica. 
E poi ci siamo tutti noi; che non siamo insegnanti, non siamo politici, non siamo intellettuali, non siamo commentatori e polemisti. Che conduciamo le nostre vite indifferenti. E se un giovane si stravacca sul sedile dell'autobus mentre la donna incinta o un vecchio si difende nella calca, non sentiamo mai il dovere civile di dirgli, ragazzino smetti di messaggiare o ascoltare musica e alzati. Come le volte in cui di fronte alla barzelletta derisoria della omosessualità che ci arriva all’orecchio ci limitiamo a scuotere la testa senza intervenire. Questi sono esempi minuscoli, forse ridicoli ma le situazioni in cui ogni adulto sarebbe chiamato a svolgere la sua piccola ma doverosa parte educativa possono essere moltiplicati per mille.
Io penso e da sempre, che è la società tutta -che poi significa uomini e donne in carne ed ossa nelle loro normali quotidiane vite- abbia il compito educativo, nessuno escluso.
Questo non significa-vorrei eliminare ogni equivoco- che considero tutti gli insegnanti, eccezioni miracolose. Ce ne sono di buoni, di cattivi, di pessimi. Ma respingo categoricamente l’idea, ormai acquisita, che la colpa dei più minuti o macroscopici comportamenti di eccesso o autodistruzione dei giovani sia della scuola e dei suoi insegnanti. Ti dirò di più, questa idea mi fa incazzare, come potrebbe testimoniare parecchia gente che mi conosce.
Forse questo discorso lo avrei dovuto scrivere ieri. Ma provavo rabbia, dolore, indignazione e tanti altri sentimenti confusi e ho scritto così  di getto, senza spiegare il mio pensiero. Evidentemente ho scritto male se ho potuto generare in te un equivoco così grosso.
Però se mi rileggo debbo almeno riconoscere di non aver tradito me stessa: non solo non ho mai scritto la parola insegnante ma ho parlato di di società e sempre alla prima persona plurale. NOI abbiamo fatto tanto soffrire quel ragazzino, NOI lo abbiamo lasciato solo, NOI non lo abbiamo capito, accettato, accolto, sostenuto, difeso: NOI lo abbiamo perso. E fra un mese, se non una settimana NOI lo avremo dimenticato.

P:S: In aggiunta, così una osservazione rivolta  A TUTTI NOI: Non è vero che mentre guardiamo con simpatia le folle che sfilano per le strade per il rinnovo del contratto di lavoro, invece osserviamo un po’ indifferenti, un po’ a disagio sfilare il corteo di omo e trans? E certo non ci uniamo a loro. Come per tante altre cose non sono i grandi principi che trasformano la realtà ma i piccoli quotidiani diffusi comportamenti.
Sono stanca, magari possiamo continuare a parlarne un’altra volta
Con simpatia, marina

venerdì 23 novembre 2012

uccidersi a 15 anni


"Mi consolo un poco tentando di dirmi che sono un uomo cattivo, e che gli altri, i buoni, i veri, non sono così: questo mi rialza un po' il morale, perché ho soprattutto il bisogno di credere nell'umanità."
Romain Gary


Come credere oggi nell'umanità? Oggi viene da credere nel peggio dell'umanità. Ci troviamo di fronte ad un campione di esseri umani che per voglia di  ferire, per arretratezza culturale o per indifferenza fanno sentire il peso di una condizione -di un modo di essere o di sentirsi semplicemente diverso- come un peso intollerabile che non consente altro che l'annientamento di se stesso. A 15 anni. 
Non sappiamo con esattezza quale davvero fosse la condizione divenuta intollerabile di questo giovane adolescente, quasi ancora un bambino; ci sono voci e spiegazioni diverse: una omosessualità che tentava di affermarsi eppure aveva paura, apparentemente sfrontata ma invece fragile; oppure no, forse pura e semplice originalità, voglia di épater les bourgeois. O ancora il mettere la testa fuori, guardare il mondo e nel mondo cercare di capire quale posto prendervi. Allungare le mani e tastare, buttare lì gesti e parole solo per chiarire a se stesso la propria natura. E, nel fondo di questa natura, un residuo di mistero che sempre sfiora il suicidio. Un atto sempre da trattare con la delicatezza con cui si prende in mano la fragilità e la bellezza di un vetro.
Qualunque siano state le cause generali o specifiche esse sono fiorite in una società che, nelle sue figure di riferimento per un giovane, non hanno saputo capire, accettare, accogliere, sostenere.
Resta che lo abbiamo fatto tanto soffrire, che lo abbiamo lasciato solo, che gli abbiamo fatto perdere ogni speranza e lo abbiamo perso.

giovedì 22 novembre 2012

a tempo perso


Ha scritto Tommaso Landolfi: Perdere tempo è come perdere sangue.

Non ci ha consegnato però la sua idea di tempo perso e di tempo ben impiegato, non ci dice qual è quella perdita di tempo che come un’emorragia impoverisce la nostra vita e la rende pallida, esangue. Io sono personalmente certa che il tempo fruttuoso è anche moltiplicatore allunga, cioè dilata, la nostra vita ed il suo stesso senso. Ognuno di noi ha una sua idea del tempo ben speso e nessuno dovrebbe indicare ad un altro in che modo spendere il suo, perché, sia chiaro, il tempo è la vita stessa e cosa farne è una insindacabile decisione individuale. Nella pratica però ognuno di noi ha molto da dire sul modo altrui di spendere il tempo. Personalmente mi capita di osservare esseri umani e di non capacitarmi del fatto che passino il loro tempo, che so, seduti in un salotto televisivo, sera dopo sera, commentando con passione insignificanti accadimenti o anche accadimenti di pregnante significato che loro stessi rendono trascurabili. E mi chiedo: ma la sera, quando si struccano o si tolgono la cravatta, come si sentono? Cosa pensano di se stessi e della loro giornata?
Questo è solo un esempio. Sono infatti molti i casi in cui l’uso che fanno del tempo i miei simili mi lascia non indignata, no, ma attonita, priva del più piccolo barlume di comprensione; sono tanti i comportamenti altrui che suscitano in me questa paralisi del giudizio, questa incapacità persino di dire: ma che cavolo di modo è questo di passare il proprio tempo! Sono usi del tempo che  mi travalicano e mi proiettano in  universi mentali imperscrutabili, di fronte ai quali non so che sgranare gli occhi e ammutolirmi. Eppure anche questa specie di sospensione del giudizio non è virtuosa, lo so: è come quando su un tabellone dei giudizi — scolastici o sportivi o di diverse nature concorsuali — accanto ad un nome si traccia la scritta “Non classificato”. C’è un giudizio più severo del dire a qualcuno che non è neanche stato giudicato? Beh, non so a voi, ma a me capita. Considerate questa una confessione.

Ah, voglio aggiungere che spesso è proprio il tempo perso il più fruttuoso dei tempi.
Io sono una sostenitrice del mio tempo perso.


domenica 18 novembre 2012

Scrittura immateriale


Quando entro nella notte senza il riparo del sonno so benissimo di non essere sola. Siamo in tanti ad entrarvi e ad assaggiare il sonno come una piccola tartina, un aperitivo cui non segue nessuna pietanza. E qualche volta mi chiedo cosa stiano facendo i miei insonni compagni nelle loro case.

Io di notte leggo e talvolta scrivo; tengo un bloc notes e una matita accanto a me sul letto. Ma se la mente è vigile, anche troppo vigile, il corpo invece è stanco e vuole stare disteso, le braccia abbandonate, il capo affondato nel cuscino: e così scrivo a mente.
Non formulo pensieri appoggiati al nulla, in disordinato svolgersi come razzi nella notte che vanno, ognuno per conto suo, in direzioni diverse: metto invece punti virgole maiuscole; la mia testa insomma è un blocco di appunti e io vado regolarmente a capo quando sento di aver percorso una riga.
Al mattino può succedere che io ricordi tutto distintamente, punti virgole a capo e maiuscole e metta tutto su carta. Altre volte tutto è svanito come se durante la notte qualcuno mi avesse rubato il bloc notes.
Qualche volta penso che il vero libro prodotto nella mia vita sia proprio questo romanzo di avanguardia, molto più futuribile di qualsiasi e-book.

sabato 17 novembre 2012

Preparate gli elicotteri

Ricevo quotidianamente gli articoli del quotidiano on-line AlfaPiù+ che propone temi e voci varie, interessanti e originali.
Ne prendo questo articolo e ringrazio.


EVENTI NATALI

di Augusto Illuminati*

Accade raramente nella vita di essere testimone diretto di un nuovo inizio, di una rottura della routine politica o, più banalmente, di vedere un po’ di gente che si tira fuori dalla palude. Come sempre in questi casi, i protagonisti non ci badano, perché sembra a loro (che sono vivi) un fatto del tutto naturale. Come sempre in questi casi, gli zombies, che non si ricordano più di quando erano vivi, non se ne accorgono, continuano a litigare fra loro barcollando e schiaffeggiandosi, magari esecrando la violenza con cui i vivi si ribellano al morto, “oscurano” od “opacizzano” la loro causa. Lo storico, il testimone a metà fra passato e futuro, a volte ha la fortuna di afferrare allo stato nascente una frattura fra il vecchio e il nuovo e il genuino scaturire di un'azione politica, che in un attimo rende desueta tutta la scena precedente e riduce a stato larvale gli antichi protagonisti.

Non sto commentando Arendt** o Rancière***, faccio la cronaca di una manifestazione romana[mercoledì 14 novembre], vista con i miei occhi (fortuna che non si è abusato in lacrimogeni), di 50.000 giovanissimi studenti e non solo (e di altri 200.000 nel resto d’Italia, e di tanti altri a Lisbona, Atene e Madrid) che hanno marcato la loro estraneità a un mondo politico ridotto, non allegoricamente, a police, con le consuete prestazioni (“circolate”, “identificatevi”, e giù botte). Nessuno li ha capiti prima (vedere i quotidiani di mercoledì), nessuno li ha capiti dopo (vedere i quotidiani di giovedì).

Ma non ci lamentiamo dell’incomprensione. Chi dovrebbe preoccuparsi è il governo, i partiti, i quotidiani. Un’intera generazione non capisce più il governo e le forze parlamentari e forse bisognerebbe dire che l’Italia reale, anche i non più adolescenti minatori del Sulcis, gli esodati, i pensionati al minimo, i cassintegrati non capiscono più, che gran parte dell’Europa non ci sta più. Un solo elicottero è bastato per esfiltrare i ministri da Carbonia, novella Saigon. Quanti ne serviranno domani?

*Augusto Illuminati Professore di Filosofia politica
**Jaques Rancière Professore di Filosofia e filosofo
***Hanna Arendt Filosofa e storica

www.alfabeta2.it/alfapiù

venerdì 16 novembre 2012

il vocabolario impossibile

"...chi troverà questo mio diario, avrà un sicuro vantaggio su di me: d'una lingua scritta è sempre possibile desumere un vocabolario e una grammatica, isolare le frasi, trascriverle o parafrasarle in un'altra lingua, mentre io sto cercando di leggere nella successione delle cose che mi si presentano ogni giorno le intenzioni del mondo nei miei riguardi e vado a tentoni, sapendo che non può esistere alcun vocabolario che traduca in parole il peso di oscure allusioni che incombe nelle cose."

Italo Calvino "Se una notte d'inverno un viaggiatore"


Non è notte, non è inverno, non sono un viaggiatore, ma anche per me non esiste vocabolario...

giovedì 15 novembre 2012

chi? cosa? dove?

Sono mancata parecchio tempo dalla blogosfera e mi chiedo quali voci nuove l'abbiano arricchita.
Avete qualche blog interessante da segnalarmi?

sempre o mai?

'Always' and 'never' are two words you should always remember never to use. —Dr. Wendell Johnson

Sempre e mai sono due parole che dovresti ricordare sempre di non pronunciare mai.

Essendosi occupato per tutta la vita di semantica e psicologia è probabile che Dr. Wendell Johnson abbia centrato con la sua ironia una antinomica realtà. 
I categorici "sempre" e gli altrettanto categorici "mai" che pronunciamo sono tanto iperbolici quanto inevitabili.  E se ci capita di constatare di aver ruotato, talvolta fino a 180 °, rispetto ad una nostra convinzione, ci capita anche di farcene una nuova ancora più stringente e ancora più categorica. 
Ma c'è sempre, io credo, qualche nostro sentimento o convinzione o rifiuto o adesione che non ci lascia mai
Da parte mia nessuno mai mi convincerà che i carciofi romaneschi non siano i migliori di sempre.

Tralasciando i grandi valori, e scendendo nel più modesto quotidiano, è probabile che anche voi potreste citare qualche vostro "sempre" e qualche vostro "mai".
È un invito.

martedì 13 novembre 2012

tema che torna



In quel momento della sua vita un unico bisogno dominava su tutti gli altri e regolava la sua esistenza: starsene assorbita in se stessa, occupata dalla sua sola interiorità, qualunque cosa questo significasse. E anche se alla fine si fosse scoperto che non significava proprio niente.
2008

                                       ------------------------------------------


 I


D'improvviso sulla lavagna del cielo
le appare una scritta
- tondi caratteri incisi per presa d'atto-
Il passo affaticato si porta avanti
-ma è questo ora il mio passo?
Come può essere questo il mio passo?-
La scritta
- caratteri piani scolpiti per constatazione-
dice
Sono sempre stata distolta dalla mia interiorità da qualche cosa d'altro
Non colpe o responsabilità da dividere
La responsabilità è cosa sua
Non chiuse la porta
Non varcò la soglia

Nessuna scritta compare a dire
è troppo tardi
ma lei lo sa
forse è sempre stato troppo tardi



 II

Il suo corpo è pieno di oggetti
Sassi pesanti nel centro:
La mancanza di lui
Forchette rugginose aguzze ovunque:
La solitudine da lui
Vetri nella bocca:
Il silenzio con lui
E stracci intrisi di benzina e zolfanelli
e il corpo non esplode mai
la combustione è lenta
non si decide a consumarlo
Questo, rende il passo lento e pesante
-il mio passo, l’unica cosa che amassi di me!-
e la scritta non è mai raggiunta, mai superata:
Sono sempre stata distolta dalla mia interiorità da qualche cosa d'altro
risibile affrancarla ora  
la giovane, doveva far saltare il tavolo

Forse era un' interiorità che non valeva la pena
non meritava scudo
-il mio passo, ora è questo il mio passo-

m.p. 2009
m.p. 2012

martedì 6 novembre 2012

il treno di Artemisia

Sto rileggendo Joseph Roth -no, non per la civetteria del rileggere, ma per un uso più sobrio ed economico sia del tempo che del danaro. E avendo una cospicua biblioteca posso scegliere ed anche contare sulla varietà. (Anche Luciano Comida, il nostro Idefix, ci raccontò di aver preso una decisione analoga. Poi ci lasciò e io lo ricordo con rimpianto. Ma ho scoperto che sua moglie Tatjana ancora tiene vivo il blog).

Rileggendo si fanno tante e inaspettate scoperte. Anche su noi stessi. E se vecchie letture possono oggi deluderci si scoprono in compenso tesori passati quasi inosservati.
È pur vero che qualunque parola scritta è là, scritta per sempre, mentre il nostro sentire si modifica continuamente e dunque cambia continuamente l'eco con cui quella parola scritta può risuonare dentro di noi.
Ma torniamo a Joseph Roth, letto nei primi anni '80. Non avrei detto che la sua opera, così localizzata temporalmente, così specifica di un tempo e anzi di un'epoca, potesse oggi essermi a tratti così vicina. Sottovalutazione, certo. O, più probabilmente, incomprensione e temporanea ma sciocca dimenticanza del fatto che lo sguardo di un grande scrittore iperscruta noi esseri umani nel sempre.

Oggi di nuovo mi sono imbattuta in un' osservazione che Joseph Roth mette in bocca ad un suo personaggio e che mi riguarda. E forse non solo me.

Essa suona così:

".....ci sono le crisi, i momenti culminanti e le cosiddette peripezie, ma noi stessi non ne sappiamo niente, e non riusciamo a distinguere un momento culminante da uno senza importanza.... il riconoscere e il distinguere ci sono negati."
Joseph Roth : Confessione di un assassino.


Questa semplice verità mi ossessiona da qualche  anno. La nostra incapacità di riconoscere i momenti,  le ore, le giornate, anche le settimane che nella nostra vita saranno - e già pongono il seme per essere- decisive. I momenti culminanti, appunto.
Non distinguiamo, non percepiamo, incapaci di discernere, tra i giorni-giorni- la materia un po' indistinta di cui è fatta gran parte della nostra vita- e le giornate, quelle che della nostra vita stanno già segnando la direzione, e persino l'esito che essa avrà quando molto tempo l'avrà consumata; incapaci di distinguere nella massa informe - terra e roccia un po' inerte- che costituisce la nostra vita i sassi compatti dal pietrisco sdrucciolevole, le lastre destinate a frantumarsi dai blocchi persistenti.
Andiamo di fretta, viviamo in modo distratto, se non sconsiderato, come se la vita fosse ovvia. E ovvia non è.

Un'amica blogger -che sono contenta di aver incontrato due volte di persona- mi ha detto qualcosa ormai scolpita nella mia testa e che mi ha aiutata rispetto ad un mio doloroso sentimento.
Viviamo su un treno, ha detto, e fuori del finestrino tutto corre. 
Forse la citazione non è proprio letterale, ma il concetto sì, è proprio questo.
Sicché (uso questa congiunzione in omaggio alla sua fiorentinità) sicché ogni tanto me lo ripeto.
Non possiamo vivere prestando continuamente attenzione al nostro vivere- ricordandoci in ogni momento che un momento dopo potremmo non esserci, o qualcun altro potrebbe non esserci.
L'idea di vivere ogni giorno come se fosse il nostro ultimo giorno o l'ultimo giorno di chi amiamo -seducente e nobile anche- non è realizzabile. Cozza anche con la nostra biologia.
E poi siamo su un treno e il treno va e se anche teniamo gli occhi incollati al finestrino, fuori tutto si muove troppo in fretta, tutto è troppo confuso, tutto corre e in direzione opposta, mentre ancora ci sforziamo di vedere è già alle nostre spalle...

E così grazie a Artemisia e grazie a Joseph

dialogo con un' Anonima Amica.

Ho ricevuto un commento al mio ultimo post in cui parlavo del mio modo di usare Facebook e Twitter secondo i miei bisogno e scrivevo : "In questo senso uso anche le persone con cui interloquisco; ma ognuno di loro usa me per funzioni che lui solo conosce, quindi..."

Un' Anonima Amica ha commentato così:
Scrivo di getto e non freno la rabbia. Non contro di te, Marina, ovviamente, anzi ti abbraccio con affetto.
Quella frase ha fatto crollare la diga ed ecco la valanga: io non ne posso più di essere usata! Mi usano tutti: per i loro scopi, per il loro tornaconto, per i loro fini, per il loro diletto, per i loro sentimenti! Certo, regalo a tutti il beneficio della buona fede, ma l'uso è costante e brucia. Almeno me! Non voglio usare e non voglio essere usata: vagheggio relazioni buone, generose, affettuose. Sogno premure, attenzioni, simpatia. Mi manca l'empatia, l'occuparsi di me, il pensare a come farmi piacere. Tutto è un uso e un utilizzo, quando e come si vuole, denominatore permanente di giornate che corrono e scavalcano la persona, distruggendola.
Non rileggo, anche se so di non essere stata chiara... Mi scuso e mi affido all'interpretazione benevola di chi vorrà dipanare questa complicata matassa.

Questo è quello che mi sento di rispondere:
Essere usati, già. Capisco la tua rabbia, Anonima Amica. In questo momento ne ho anche io: proprio ieri sono stata usata come testa di ariete e per di più da una persona cara. 

Ma mi chiedo: chi di noi non lo fa? chi è davvero kantiano? Chi riesce a considerare sempre l'altro come fine e non come mezzo? Siamo tutti antikantiani, tutti; magari senza rendercene conto, ma lo siamo. Un bisogno, forse urgente, una debolezza, un desiderio, una paura e la spinta a raggiungere il nostro fine: qualcuno è davanti a noi ed ecco che quel qualcuno lo useremo per il soddisfacimento del nostro bisogno, per quello che chiamerò genericamente "sollievo".
Lasciamo da parte i cinici, gli strumentalizzatori di professione, gli inveterati opportunisti. Se ci imbattiamo in costoro non c'è che la rabbia e lo sconforto. Ma se abbiamo di fronte un qualunque essere umano, che ci sia un utilizzo è inevitabile. Talvolta è reciproco, talvolta a senso unico, ahi ahi...Ma se è sempre a senso unico è anche una nostra responsabilità; spesso ci lasciamo usare, per nostri problemi personali. Ad esempio, se si fa leva sulla mia facilità a sentirmi in colpa per qualsiasi cosa, chiunque può usarmi. Rappresento, in questo senso, una grande tentazione. Sono un boccone facile e irresistibile.

Non credo poi che si tratti di non voler usare e farsi usare, quanto di essere capaci di non usare e di non farsi usare. Èd è difficile, molto.
E chi di noi non vagheggia relazioni buone, generose, affettuose? Forse sono un'ottimista o una ingenua ma penso che ognuno di noi ne abbia alcune come queste: relazioni soddisfacenti in cui ci si migliora a vicenda proprio perché ci si tratta con generosità, per puro affetto, senza aspettarsi niente dall'altro. Io ne ho. Certo, rispetto al numero delle altre, sono poche, ma ho imparato a farmele bastare, a non aspettarmi le premure, le attenzioni, la simpatia invece del disinteresse, anzi del proprio personale interesse: pratico o psicologico che sia. Spesso mi basterebbe il rispetto, senza premure, di me e delle mie caratteristiche, debolezze e fragilità comprese. Chi di noi non vorrebbe l'empatia, l'occuparsi di noi, il pensare come farci piacere? Scusami, ma queste richieste o aspettative, secondo me  possiamo averle solo rispetto ad alcune persone, non come regola nei rapporti. Il mondo non è come noi lo vorremmo, perché noi umani non siamo così; cerchiamo tutti il soddisfacimento dei nostri bisogni e ci rivolgiamo qui e là e annaspiamo attaccandoci ad ogni àncora possibile. Nel far questo ci usiamo sì, reciprocamente. Oppure tu usi A, io uso B, B usa te con vari e diversi intrecci. È brutto? Lo è, ma prima che brutto è inevitabile, almeno secondo me. E, scusami ancora, sta a noi non farci distruggere. Forse  la mia accettazione, rispetto alla tua ribellione è il segno di una differenza di età (io non conosco la tua) o forse dipende da un tuo atteggiamento più idealistico, o più ingenuo, o più pretenzioso; o forse più generoso, moralmente migliore. Non lo so, ma giunta a questo momento della mia vita, scelgo solo relazioni in cui non mi sento usata. Essere usati fa male, ti capisco benissimo. Aggiungo che succede anche che qualcuno sia generoso, affettuoso, abbia attenzioni, e nel contempo ci stia usando: per qualche ragione in noi trova il soddisfacimento di suoi bisogni. Conosco persone di straordinaria generosità, volontarie in un campo difficilissimo, quasi impossibile, che si fanno carico del dolore altrui; loro stessi, se richiesti: come fate? rispondono che anche nella loro generosità c'è il soddisfacimento di un loro egoistico bisogno. Noi che veniamo soccorsi ci serviamo di loro e loro si servono di noi. Sono loro stessi a dirlo. E non mi meraviglia. Dal loro usarci esce del bene per noi. Ma la regola generale è che più spesso, quando ci usano, esce del male.
Sono cinica? Io credo di essere solo realista, ma questo non posso giudicarlo io.
Però, per non finire nell'amarezza, io credo anche che ognuno di noi possa un pochino migliorarsi, che possiamo fare degli sforzi, ottenere piccoli risultati. Sono quindi una realista ottimista? Non lo so.

Spero di averti risposto senza sbagliare nell'interpretare il tuo pensiero, Anonima Amica. 
Voglio spingere la mia sincerità proprio al suo limite. Nel rispondere a te, rispondo anche ad un'altra persona cui avevo bisogno di dire queste cose. Non credi che, in questo senso, e paradossalmente, anche io ti abbia usata? Eppure non volevo, ho solo approfittato dell'occasione: ho approfittato anche di te? Spero di non aver perso il tuo affetto, marina

P.S. Non riesco a rendere omogenea la dimensione dei caratteri, scusate

domenica 4 novembre 2012

di Facebook, Twitter e Twittbook...

Penso che se uscisse un nuovo social network, che so, un "Twittbook", lo esplorerei. Mi iscriverei, cercherei di imparare ad usarlo e lo bazzicherei. Come sto studiando e bazzicando Facebook e Twitter. Ancora non li so usare. Ma ci provo. È una sfida tra i miei sessantanove anni e questi nuovi mezzi.
(Twitter è una sfida doppia con quella storia dei 140 caratteri).
E poi in questo periodo rappresentano per me il mezzo di comunicazione ideale. Decido io se e quando interloquire. Nessuno può snidarmi, vedermi, sollecitarmi direttamente. Se io non entro nessuno esiste più, scusate la brutalità.
Vincono i miei umori, senza che io debba scusarmene o sentirrmene in colpa. Corrispondenza ideale. Su Facebook il cazzeggio si porta molto di più, ma si trovano anche humor vero, stimoli vari, belle immagini, musica.
Twitter è più internazionale, meno provinciale, meno minestrone e meno impiegatizio anche;  e ci si fa un menu più personalizzato. Non ci si ritrova in casa l'amico dell'amica dell'amico dell'amica per poi scoprire che è totalmente deficiente o volgare o misogino. Da Twitter apprendo notizie da ogni parte del mondo, esco un po' dai confini del nostro paese, imparo espressioni, modi di dire di altre lingue. E poi è tematico. Questo mi piace molto: ritagli la parte di realtà che ti interessa e quel giorno butti a mare tutto il resto. Poi qualche giorno dopo ti rivolgi ad un altro tema e via così. Oggi solo tennis, domani solo Cuba, dopo domani solo politica, e comunque l'eventuale miscellanea  l'ho preventivamente scelta io e non devo passare attraverso le forche caudine di barzellette e sdolcinatezze varie prima di trovare un argomento che mi interessa.
Di Facebook mi piace però quella che chiamo "polemica continua". Se sono nervosa e me la voglio prendere con qualcuno ho solo l'imbarazzo della scelta.

Né Facebook né Twitter hanno niente a che fare con il mondo dei blog. Nei blog non si bara. O, almeno, così è per me. Il blog sono io, il bene e il male sono miei; l'alto e il basso sono miei. E nel blog ho affetti sinceri. Si ha il tempo di creare affetti sinceri, oltre le simpatie o le empatie momentanee.

La ragione addotta, se qualcuno me la chiedesse, di questa mia altelenante frequentazione dei social-network, consisterebbe nel mascheramento. Mi consentono la leggerezza, lo scherzo, la superficialità; momenti di  banalità che, come la vestaglia che s'infila in fretta e furia per andare ad aprire la porta, coprono il disordine, la confusione, lo smarrimento e il turbamento del mio ora.
Mi consentono anche un alleggerimento della pressione dei miei pensieri sulle mie ore.
E rappresentano insieme un esercizio di "normalità".
Quante funzioni per quei due luoghi di pseudo-comunicazione! Comunque io li uso così.
In questo senso uso anche le persone con cui interloquisco; ma ognuno di loro usa me per funzioni che lui solo conosce, quindi...

Comunque questi modi così diversi di propormi  sono anche così contraddittori che suscitano qualche domanda, probabilmente anche in chi mi conosce in più luoghi, magari anche in quelli della vita reale.
Al contraddittorio non ho mai saputo rispondere se non con la constatazione. Esiste. Ci riguarda. Ci attinge.
Forse Walt Withman lo ha constatato meglio di tutti:
"Do I contradict myself? Very well, then I contradict myself" Mi contraddico? Bene, quindi mi contraddico.
O forse meglio ancora lo dice Oscar Wild:
Datemi una maschera e vi dirò la verità.
Ancora meglio perché più ambiguo. Infatti se è vero che da dietro la maschera è possibile dire la verità (la nostra verità), è anche vero che una verità mascherata cessa di essere verità.