mercoledì 28 luglio 2010

scappare, bisogna scappare...





Ho letto nella notte un piccolo libro che mi ha scossa come un grande libro e continua a turbarmi e com-muovermi. Si tratta di La fuga di Tolstoj di Alberto Cavallari, edito da Skira.
Cinque scarni capitoletti divisi da un gruppo di foto in bianco e nero e preceduti da una cartina geografica dei luoghi, pure in bianco e nero.
Il libro è apparentemente una cronaca -la cronaca dei quattro giorni in cui Tolstoj è in fuga dalla sua casa di Jasnaja Poljana e dalla moglie Sofia- ma è anche il romanzo di un rapporto e una riflessione sulla rivendicazione del proprio io.
Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre del 1910 Tolstoj si accorge che Sofia fruga, come mille altre volte, nelle sue carte, tra i suoi diari e i suoi taccuini di appunti. È solo uno degli atti della guerra logorante che oppone Sofia e Lev dopo 48 anni di un matrimonio passato attraverso la passione, l'odio, la gelosia, la volontà di possesso e di annientamento. Lev ha 82 anni, Sofia 66 e i due si avvelenano reciprocamente la vita. Sofia benché sia la più spietata avvelenatrice è anche la più determinata a mantenere stretto il loro legame. Ma quella notte Lev si rivolta. Si dice che la misura è colma, e forse si chiede: Se non ora, quando? Così, nascostamente, nel cuore della notte, inizia la sua fuga che terminerà dopo quattro giorni nella piccola stazioncina di Astapovo, dove il 7 novembre morirà. Le sue ultime parole saranno: Scappare, bisogna scappare.
Il libro è un piccolo gioiello ma l'effetto che ha avuto su di me va al di là del suo valore letterario. Ha a che fare con me, perché tocca temi che mi agitano e mi si agitano dentro da sempre. Hanno agitato la bambina e l'adolescente, la ragazza e la donna e mai si sono sciolti o placati: il viaggio, la fuga, la libertà, il possesso pieno di sé, lo spazio dovuto alla propria interiorità, il diritto alla salvezza e alla rescissione dei legami; l'egoismo anche e la solitudine come unica patria sicura.
Per questo ho letto il libro in uno stato sempre più ansioso, sentendomi incalzata dagli inseguitori, come il mio amato Tolstoj mentre studiava itinerari, trucchi, strategie, diversivi per sottrarsi alla caccia della moglie e delle autorità del paese coinvolte nella ricerca dello scrittore, icona e mito di tutto un popolo.
Il vecchio che fugge, che sogna la lontananza e gli spazi, che sale sui treni come su un cavallo nervoso, che guarda gli immensi paesaggi gelati scorrere nella notte, che assapora l'aria dell'alba fredda e non riposa e si trascura e si ammala e ancora si spinge in avanti, fino a morire: ognuno leggerà a sua modo questa fuga improvvisa. Per qualcuno sarà un estremo tentativo di sfuggire alla morte, per altri una corsa decisa e convinta verso la morte, per altri ancora solo un episodio di una lunga battaglia coniugale conclusosi male per sventatezza o la rappresentazione ultima che l'artista dà della parabola della vita umana. Legga ognuno la metafora come crede.
Ma Tolstoj che si affanna e si guarda indietro, che cambia improvvisamente direzione del suo viaggio, che cancella dietro di sé le tracce del suo passaggio e si arresta solo quando è ormai febbricitante e stordito di freddo e di fatica è per me l'incarnazione di un bisogno di svincolarsi, che non ho mai soddisfatto ma che fino all'ultimo giorno della vita mi si agiterà dentro. Io ho tremato per Tolstoj in fuga, ho trepidato, ho avuto paura e speranza per lui e con lui mi sono guardata alle spalle. Quando ha pianto, ho pianto. Ma non credo no, che questa mia confusa aspirazione allo scavalcamento della mia vita e della sua strutturazione sia solo mia. Per questo mi sento di consigliare il libro, perché, anche se non con la mia stessa e probabilmente patologica veemenza, ognuno può forse riconoscere nella rivolta di Tolstoj un proprio impeto di rivolta e riconoscere che c'è un bisogno di libertà al fondo di ognuno di noi che può insorgere e farci agire anche al termine della nostra vita: che questo bisogno può maturare e farsi atto anche a 82 anni.
Ognuno può forse riconoscere con Tolstoj che scappare, bisogna scappare.





8 commenti:

  1. Cara Marina, non conoscevo questo libro, ma il tema e la passione con cui hai espresso le tue emozioni mi spingeranno a leggerlo al più presto!
    grazie
    Un abbraccio
    Fabio

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  2. L'oceano non lo ha sospinto indietro, sulla terra dei vincoli. Forse non ha fatto in tempo, chissà.

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  3. Si può sentire di essere prigionieri dei propri figli e responsabilità, delle proprie scelte, o forse della propria incapacità di saper conciliare e non voler rinunciare a niente? O magari della propria incapacità di essere soddisfatti, di apprezzare quello che si ha? O forse è un pezzo di cuore che mantiene questo desiderio e insieme il senso di libertà, di giovinezza, fino in fondo?
    Un saluto Caterina

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  4. Ore 7:30, lettura del tuo post.
    Ore 9:00, mi precipito in libreria per comprarlo.
    Ore 10:20, ritorno nel tuo blog per ringraziarti.

    Buona giornata.
    Rino, riconoscente.

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  5. quoto al 100% il commento di Gaspare Armato. E cosa ci potrebbe essere di più soddisfacente per te di provocare queste improvvise fughe "librarie"?!?

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  6. grazie delle tue parole Marina, e grazie di questa invitante presentazione. Cercherò il libro. Un abbraccio

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  7. ciao marina,
    dopo questo tuo post, non so se il libro potrebbe darmi di più, altrocertamente...ma le domande incalzanti che tu poni mescolate alle tue emozioni su un tema della vita così importante....mi sono sufficienti per un po': Grazie delle tue profondità condivise.

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  8. Esisteva già un libro dal contenuto simile "La fuga di Tolstoj" di Zweig, edito alcuni anni fa nelle edizioni Millelire. Quanto alla fuga, sì , l'anima vuole fuggire. un sensazione che provo sempre più spesso. E con anima non intendo quella immortale destinata alla salvezza o alla perdizione, ma il senso profondo del nostro essere più vero e quasi sempre celato e schiavo di tanti vincoli, che non riesce a VOLARE

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Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo