sabato 24 luglio 2010

ripescando

Ora solare (o anche "Il fiato")

Sotto il cielo celeste con piccole nuvole bianche appese qua e là Lei respira la fragranza della sua terrazza. Intanto dà corda ai pensieri colmando di coscienza fluttuante quell'ora che le è stata donata. Ieri sera, dallo schermo legislatore la voce ha detto: mettete indietro gli orologi di un'ora, e lei ha eseguito. Non c'è da compiacersi in festeggiamenti: tra qualche giorno il nuovo ritmo diventerà routine e il tempo tornerà a stringersi su di lei. La tenaglia inciderà ancora le sue tacche nella carne della sua vita. Ma quest'oggi c'è davvero un'ora in più. Lei la consegna al ricordo disordinato. La prima ombra a comparire è come sempre quella di Lui. Un gabbiano di città divide il cielo in due con un grido. Al di sopra resta la rarefazione delle speranze, i bisbigli delle illusioni, la parola futuro come sincopato messaggio pubblicitario. Lei li osserva con attenzione. Al di sotto c'è il suo corpo disteso al sole sul lettino verde da stabilimento marittimo e dalla posizione supina lei guarda ai portavasi aerei da cui spiove l'ultima fioritura di petunie. L'ultima fioritura, pensa. La palpebra destra prende a batterle in sussulti veloci segnalando l'incontro con l' improvvisa comprensione di un dato fin lì sfuggitole. Quest'ora in più, estratta dal tempo canonico, sfuggita quasi per miracolo alla quotidiana programmazione, mai scelta, subita piuttosto, l'ha portata a rispondere alla domanda sulla sua vita che non aveva mai tempo di porsi. Così Lei sale sul cornicione e si lancia nel vuoto celeste senza un fiato.

Lui si aggira inquieto nello studio solenne. Gli hanno restituito un'ora ma non sa come sottrarla al vuoto sterile in cui si sente precipitato d'autorità. Da non sa dove scaturiscono ricordi. Lui cerca di riportare nell'ordine, nello spazio apposito dedicato al trascurabile, i pensieri che lo agitano. Ma questi si precipitano incontenibili indietro nel tempo, quando ancora poteva scegliere tra l'ambizione dell'ascesa e lo sforzo di equilibrio con gli affetti. Gli affetti? L'amore. Per la prima volta lo chiama così, come non lo aveva mai chiamato. Questo il trucco che escogitò: non dargli mai nome "amore". Fu facile così troncare senza ripensamenti e incasellare anche Lei nel novero del trascurabile. Ma quella scelta, quella scelta ora morde in quest'ora che gli avanza. Così Lui apre con un'accelerazione cardiaca che lo spaventa quella vecchia agenda -terzo cassetto a destra della bella scrivania di avvocato di successo. Ne sfuggono due lettere che legge con un risorgere di sentimenti in espansione, che gli invadono l'ora e l'anima e le membra tese del corpo. Quest'ora in più sta disordinando la sua vita, liscia fin qui come una coperta ben tesa sul letto, o gliela sta ripresentando come un'alba promettente? Respinta la domanda inutilmente analitica, Lui afferra il telefono e compone quel numero vecchio ma forse non ancora troppo vecchio. Dall'altra parte neanche un fiato.

2 commenti:

  1. Chissà perché questa è (per me almeno) la misura giusta del racconto. Certo è difficile "concentrare" la vicenda in 40 righe: si sorvolano descrizioni (l'ambiente è appena tratteggiato), il profilo dei personaggi è ridotto all'essenziale, anche la trama è solo suggerita. Eppure, come in una miniatura, c'è tutto, basta solo far scorrere l'occhio sulle parole e si è presi dal meccanismo perfetto.
    Ciao Marina

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  2. Esistono davvero persone così, persone che sacrificano ogni cosa per la carriera o la rispettabilità sociale o altri vuoti conformismi.
    Esistono persone che, colme di furore di fronte a sentimenti che avvertono come destabilizzanti, cercano di estirparli da sé in ogni modo, persino diventando crudeli. L'ho visto fare e non è stato uno spettacolo piacevole. Sarebbe meglio non dover vedere mai certe cose.

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