lunedì 22 febbraio 2010

al parco con Fabrizia

Ho scoperto che qualche volta un principio di vertigini trova giovamento in una passeggiata all'aria aperta. Ho la sensazione che ossigenarmi mi faccia bene. Così mi avvio con la testa eretta e lo sguardo dritto di fronte a me per la mia camminata terapeutica. Evito quei movimenti che accrescono la sensazione di instabilità e di capogiro. Forse i vicini che eventualmente incrocerò ma che neanche vedo mi penseranno altera o incavolata. Pazienza. Cammino al sole, scantonando solo quando incontro gli orrendi cartelloni elettorali montati di recente dal comune. Li aggiro e riprendo il mio cammino. Attraverso il parco assaporando il silenzio dell'ora mattutina, i canti degli uccelli e la solitudine. Il mio quartiere è talmente antico e ne porta così tante testimonianze che passeggiarci equivale a eseguire un ripasso di storia. E io cammino e ripasso. Nel parco, dove una volta si davano da fare i giardinieri di Mecenate, ci sono cani che annusano, gatti che fanno pulizia, un corridore solitario e una coppia che si direbbe clandestina tanto è appassionatamente avvinta.
Il ragazzo nero che lavora al piccolo chiosco-bar comincia a sistemare i tavolini sotto i lecci. Li copre con tovagliette a scacchi bianche e blu e intorno dispone le sedie. I clienti arriveranno più tardi, con i loro giornali domenicali, i tricicli dei bambini, e le tenute sportive.
Per ora beatamente sola, esentata da saluti, sorrisi o chiacchiere, respiro a fondo e vado.
Ma vengo fermata da un vicino, un signore anziano che porta a passeggio il suo grande lupo, "Dove va a quest'ora?" Lo conosco da quarant' anni, si dà del tu con mio marito e mia figlia, ma noi continuiamo a darci del lei. Non so perché. Forse proprio perché ci davamo del lei già quarant'anni fa' e continuiamo per inerzia. Gli spiego la mia terapia antivertigine e ne nasce una conversazione un po' malinconica ma molto solidale sui mali dell'età. Soffre di vertigini da artrosi cervicale anche lui e ci scambiamo i nomi dei nostri farmaci di riferimento. Poi mi chiede: "Che cosa ha U. in questo periodo? Lo vedo un po' teso." U. è mio marito e definirlo un po' teso è da parte sua molto delicato e amichevole. Sintetizzo: "È un'anima in pena." Commentiamo la difficoltà comune a molti maschi della specie, soprattutto se sono stati molto impegnati sul fronte lavorativo, ad accettare il loro invecchiamento e il restringersi del loro ruolo sociale e accenno a quanto questo possa diventare pesante per i conviventi. "Sicché, vertigini a parte, è uscita per prendere una boccata d'aria dal coniuge" scherza lui. Confermo,
possiamo anche metterla così. Intanto il lupone mastica erba ai nostri piedi. Riprendo il cammino prima che se ne liberi sui miei. L'aria fresca comincia a farmi bene e mi sento più stabile anche ruotando il capo. Ricevo una telefonata: A. mi informa che sul Corriere c'è uno scritto di sua sorella Fabrizia Ramondino. Esco dal parco e compro il Corriere, poi torno indietro e mi siedo al piccolo chiosco che intanto è pronto per servirmi il caffè. Sfoglio il giornale e trovo l'articolo di Fabrizia. Sono passi inediti tratti da Taccuino tedesco, che viene rieditato in questi giorni. In Taccuino tedesco Fabrizia Ramondino racconta i suoi anni berlinesi in due periodi della sua vita. Quando andò a studiarvi da ragazza e quando vi tornava per incontrare la figlia danzatrice con Pina Baush. Io lessi Taccuino tedesco alla sua uscita nel 1987, e ritrovo subito quella bella mescolanza di osservazioni politiche e sociali e di privato, i riferimenti alla figlia e ai nipoti, le conversazioni con gli amici insieme alle osservazioni sull'architettura, sulle classi sociali, sulla Shoa. In una di queste conversazioni sulla Germania nazista una sua amica, Hanna, parla della "banalità del bene", intendendo che oltre ai gesti grandi per le loro dimensioni, come quelli di Perlasca e di Schindler, ci sono stati tutti gli infiniti, piccoli gesti di chi ha difeso, protetto, nascosto anche un solo ebreo e che questi meriterebbero di essere sistematicamente ritrovati e segnalati. Mi colpisce l'espressione "banalità del bene" che significa semplicemente riconoscerlo nei gesti piccoli, quotidiani in cui si può esprimere la coscienza morale di ognuno di noi. Ce n'è bisogno anche nei nostri giorni e io sono certa che ne vengono continuamente compiuti intorno a me, senza luci dei riflettori.
Mi commuovono le parole con cui, nell'ultima pagina, datata semplicemente Itri, 2008, Fabrizia sembra affidare alla figlia e ai nipotini il compito di continuare a portare avanti il loro "taccuino tedesco". E l'invito a tornare sempre al Mediterraneo, "alla cui attrazione" dice Fabrizia "io non so resistere". E si chiede perché il mare sia in italiano di genere maschile, in tedesco neutro e solo in francese femminile. "Si sa", osserva, "che il mare dai tempi dei tempi è legato alla madre." Il mare l'ha accolta, proprio come una madre, nel suo ultimo giorno. Fabrizia chiude sognando "una nuova lingua inventata, dove utopia faccia rima con poesia e dove mamme, nonne o nonni, pur continuando a rimare con famiglia, rimino anche con stanze -quelle della poesia più che quelle della casa."
Resto a rifletterci su questa faccenda del genere dei nomi. Le lingue hanno le loro stranezze, e nessuna razionalità le spiegherà mai fino in fondo, perché sono frutto del nostro sforzo per uscire fuori di noi e confrontarci con gli altri. Il lessico di una lingua è un corpo che si divincola dai lacci del silenzio e cerca la via della parola. Non può esserci vera logica. Neanche se stiamo parlando della bella, ordinata e cartesiana lingua francese. Della quale subito mi viene in mente il genere maschile attribuito alla parola arte. La mer, féminin: bene, brava; ma l'art, masculin: perché? Ma le lingue dobbiamo prenderle così come sono o partire in cerca della nuova lingua inventata di cui parla Fabrizia. La sua in questo Taccuino tedesco è pulita, scelta per amore di eleganza e semplicità insieme; in altri libri invece è esuberante, "napoletana" anche nel più rigoroso italiano. Mi sento contenta. La lettura di questa pagina e i pensieri che ha portato con sé -oltre all'immagine di Itri, di quel costone di olivi e ginestre faccia allo stesso mare di Ponza balenatami davanti agli occhi in un attimo- mi ha accudito gentilmente. La vertigine non dà più segno di sé, forse, così rinfrancata, è anche possibile tornare al malmostoso scontento coniugale.

15 commenti:

  1. Leggerti e avere l'impressione di essere con te a camminare è stato un tutt'uno. Ciao, e grazie!

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  2. come sempre i tuoi pezzi generano contentezza perchè ci si sente arricchiti affettivamente.
    ciao simona

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  3. Se consigli un libro alla settimana non ti sto dietro...Ciao

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  4. La tua descrizione è straordinaria, c'ero anch'io assieme a te passo dopo passo, anche di cose così semplici riesci a fare un post pieno di emozioni.
    Un caro saluto a U. da parte mia.
    Ciao

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  5. Se poi pensi anche ai dialetti il discorso si amplia enormemente, perché se per le lingue si può parlare anche di stratificazioni culturali, per i dialetti è solo la pura e genuina percezione delle cose. Forse l'ho già scritto da qualche parte, ma nel dialetto della mia città, ad esempio, il gatto è sempre di genere femminile (salvo specificazione: una gattu masculu), facile capire per quale motivo. Per quanto riguarda artrosi cervicale e vicini, credo che i miei siano profondamente convinti del mio irriducibile alcolismo... Buona settimana.
    biba

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  6. marinaaaa ma in quel parco lì ci porto lucky, specie il sabato e la domenica e anche io mi ristoro al mitico chioschetto di nunzia...uffa possibile che non ci siamo mai incontrate??? o forse non ci siamo riconosciute!!!

    io mi ricordo la banalità del male, resa così bene anche in quel film "the reader", è scioccante scorpire come persone normali possano fare cose aberrranti

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  7. @biba: l'iimaginazione dei vicini è in genere inarrivabile :-)

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  8. @zefirina: io ho capito da tempo che siamo vicinissime, ora scopro che frequentiamo entrambe il chioschetto di Nunzia! ma come riconoscerci? io ho messo la foto, anche se è ormai vecchia di un anno. Che cane è Lucky?

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  9. marina ti scrivo sulla mail e ti dò il mio numero di cell, il mio lucky è un piccolo bastardino color nocciola, un razzo

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  10. Mia cara, "accudito gentilmente"! Due parole per una chiusa perfetta, morbida e coerente con quanto scritto prima: un'atmosfera serena, il vicino cordiale, il cagnone goloso, e i nostri pensieri...
    Bellissimo!
    L'accenno finale al coniuge imbronciato è un glissato chopiniano: il suono aspro e confuso che era solito fare strisciando sulla tastiera per rompere la magia creata dalla sua musica.........
    La frittata di pasta? Hai ragione, corro a pubblicarla.

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  11. E no, non vale, io sto a 600 km, non posso frequentare lo stesso chioschetto, mannaggia!

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  12. Brava: aria fresca e letture piacevoli. Per quel poco che mi ricordo del tedesco mare si dice anche See che è femminile mi pare.

    PS tu non sei daltonica ma il tuo mac probabilmente sì e non riesce a caricare lo sfondo scuro del blog di Unodicinque. Per questo non leggi il testo (bianco su bianco). Prova o a guardare l'anteprima di stampa o a passarci sopra il mouse per selezionare.

    Baci.

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  13. @Artemisia: GRAZIE!!! come farei senza le tue dritte?
    provvedo subito ad usare l'anteprima di stampa
    marina

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  14. Forse ti sono antipatica ché commenti e saluti tutti e non me?
    :-) :-) :-) :-) :-) :-) :-) :-) :-)
    Eppure il paragone al glissato chopiniano meritava! :-(
    E sì che ti ho persino replicato la frittata!
    Sì, sono una rompipalle!
    :-) :-) :-) :-) :-) :-) :-) :-) :-)

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  15. @BALUGINANDO: ti perdono solo per via delle numerose faccette ridenti, se no ti mozzicavo in testa!
    comunque sì, sei effettivamente una rompipalle :-)
    vado a vedere 'sta famosa frittata

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