lunedì 7 dicembre 2009

tempo e Tempo

Quando si entra in quella fase della vita che non chiamerò né terza né quarta né ordinerò in base a nessun ordinale (giacché la vita è un continuum le cui eventuali scansioni sono squisitamente individuali e niente hanno a che fare con i decenni); quando si entra in quella fase in cui non si sale ma, nel corpo almeno, ci si sente in discesa, la nostra idea del tempo cambia radicalmente.
Non parlo qui dell'idea del Tempo, della riflessione cioè su concetti filosofici ed esistenziali di portata insieme sottile e pesante che pure occupa gran parte della nostra mente, ma della considerazione in cui teniamo il nostro piccolo tempo quotidiano, del modo in cui ne usiamo, del senso che ore, minuti e secondi acquistano per noi.
Quella considerazione diventa affatto nuova e porta con sé grosse trasformazioni.
La nuova valutazione che facciamo del tempo entra nelle nostre azioni quotidiane, si fa gesti, atti, decisioni minute. Spesso in aperta contraddizione le une con le altre.
Potrei darne moltissimi esempi (e certo mi capiterà di darne) per ora ne segnalo solo uno che attiene agli scambi verbali che ho con gli altri.

Il nuovo senso del tempo che cogliamo alla mia età ci rende più franchi. O almeno tale mi ha resa. Non certo per effetto di un miglioramento morale che non riscontro in me, ma per effetto di una nuova impazienza che si è insinuata in me fibra per fibra. Questa nuova franchezza sfiora la brutalità e, in ogni caso, mostra il piglio infastidito dell'impazienza.
(La pazienza, del resto, non è mai stata una mia virtù e ho sempre dovuto compiere grossi sforzi per servirmi della capacità di attesa rispetto alle maturazioni altrui. E rispetto alle mie stesse. E per accogliere i comportamenti degli altri con senno e senza tempestare.
In qualche modo, sia pure con grande, grandissima fatica, nel corso della mia vita io sono riuscita a dispensare intorno a me quel tanto di pazienza senza la quale la maggior parte dei rapporti umani stridono pericolosamente. E talvolta irrimediabilmente si incrinano.)
Ma la mia attuale impazienza relativa alle conversazioni non è di quelle che si addomestichino. Essa nasce dalla nuova considerazione che do al tempo. E da una nuova scelta radicale. Molto sinteticamente questa è riassumibile così: non ho tempo da perdere in diplomatici accomodamenti del mio parlare.
Questo imprime alle mie conversazioni una franchezza del tutto nuovo. Una franchezza cioè nuda, scarna e priva di ammorbidenti e ammortizzatori. Questo, ripeto, per effetto di una scelta, lucida e convinta.
Non sono cioè diventata più impaziente e quindi più franca perché non riesco più a tenere a freno la mia innata impazienza, ma perché non voglio.
La diplomazia, che mai è stato un mio punto forte, non si addice alla mia età. Questo ho deciso. Non voglio impiegare il mio tempo in schermaglie, in giri di parole, nella ricerca dell'espressione meno urticante, di quella più gentile, nell'attesa che la prolissità altrui si dipani e venga al dunque.
Così taglio i ragionamenti altrui anticipandoli decisamente, replico preventivamente a lunghe considerazioni che percepisco come del tutto inutili, tronco complicate e minuziose argomentazioni, rispondo in due parole a esposizioni complesse che, a mio parere, si sarebbero potute esprimere in una sola frase.
Ho sempre trovato i miei simili eccessivamente prolissi, lo confesso; ho sempre pensato che la maggior parte delle persone ama indulgere in lunghe spiegazioni inutili, e ritornarci e svolgerle e riavvolgerle e trattarle come il famoso tema in classe in cui la traccia ci forniva un assunto e noi dovevamo ripeterlo, con altre parole, per tre facciate di foglio protocollo; esercizio noioso e che non mi sembra abbia dato buoni frutti. Infatti i miei connazionali brillano per retorica ma difettano di rigore consequenziale. In linea generale, naturalmente.


Ebbene, se fino ad oggi, pazientemente (cioè con apparente pazienza ma interno fremito di impazienza) attendevo che il mio interlocutore portasse avanti il suo discorso con tutte le sue proposizioni implicite ben incapsulate una dentro l'altra, come le matrioske russe, e le sue appendici ed i suoi commi e sottocommi, adesso, zac, gli taglio la parola in bocca, enuncio io in una sola frase il pensiero che sta appena abbozzando e detto fatto gli do la mia risposta, replica o considerazione del caso.
Il poveretto resta lì con il suo discorso in sospeso come una pipì cui non si sia potuto dar sfogo e di certo è per metà disorientato e per metà offeso.
Beh, vi dirò, me ne infischio.
Non ho più tempo per questo continuo menar il cane per l'aia, i secondi del mio tempo sono preziosi. Tre secondi qui, otto secondi lì, altri quattro persi con questo e nove persi con quello, alla fine della giornata mi porterebbero via uno o persino due minuti o forse addirittura cinque!
E che sarà mai! direbbe un giovane. Beh, vi posso garantire che cinque minuti hanno, alla mia età, un grandissimo valore. Cinque minuti tolti a me stessa, allo sfogliare un libro, al pasticciare con delle lane, ad affacciarmi alla finestra, sono un furto che non intendo sopportare.

E poi, come il citatissimo Wittgenstein ha definitivamente scritto: tutto quello che si può dire si può dire chiaramente.
Dunque io sforbicio le ramificazioni del discorso altrui, quegli avviluppamenti di oscurità in cui spesso amano gingillarsi. E lo faccio senza rimorsi.
Ognuno si tenga per avvertito.


(La manifesta ripetitività di concetti di questo mio discorso è intenzionale e usata come esempio del mio assunto).

13 commenti:

  1. ciao Marina, l'avvertimento finale fa tremare di paura però in generale sono d'accordo con te sull'importanza persino di 5 minuti...non sono però convinta che sia in relazione con l'età che avanza quanto con la consapevolezza soggettiva del valore del tempo. Un po' contorto (perdona) ma il mio pensiero è questo

    RispondiElimina
  2. ciao marina, avresti cinque minuti?....
    potrò dirlo ancora?
    simona

    RispondiElimina
  3. marina noi siamo in quella fase della vita che si potrebbe definire una "giovinezza avanzata ma non trascorsa"...
    per il resto condivido tutto

    RispondiElimina
  4. @Guernica: ti seguiremo fedeli! hai tutta la mia comprensione di incompetente...

    La mia non è una difficda ma un'amichevole spiegazione...

    RispondiElimina
  5. Il problema è come fare con le zie anziane! Quelle ti raccontano e ti raccontano vicende e accadimenti già ascoltati mille volte, e poi tutti i loro problemi di salute, e poi l'ultimo ritrovato per i reumatismi, e addirittura il medicinale che prende la badante, e quello del marito della badante!
    L'altra sera mi sono sorbita tutta l'operazione al femore appunto del detto coniuge di badante! Avvertivo un tremore, un prurito, una frenesia, una vertigine, fino alle lacrime!
    Che fare in questi casi?
    Loro hanno ancora meno tempo di noi, se la Natura non è matrigna!

    RispondiElimina
  6. Ho il tuo medesimo sentire.
    Aggiungo: non ho tempo da passare inconsapevole di quello che sento, di quello che sono.
    Posso anche dubitare sapendo che lì sono io, nel dubbio.
    Devo essere esattamente lì dove sento di essere (l'unico luogo dove mi sento vivo).
    Anche nel compromesso, non importa, se lì è dove io sono.
    Non so se mi spiego.
    Giorgio

    RispondiElimina
  7. Non c'è che dire, come sempre maneggi con maestria il vocabolario. Per me comunque ciò che chiami impazienza, in verità io la chiamerei intolleranza. Poichè però non ho il feticcio della tolleranza, diciamo anche che un po' di intolleranza ci può stare, purchè non si esageri però.
    La nostra età potrebbe tuttavia portarci anche quel briciolo di saggezza che ci possa fare apprezzare quello che gli altri fanno e dicono, non come mero strumento specificamente finalizzato, ma piuttosto come una manifestazione vitale. Diciamo che se si ama qualcuno, o anche l'umanità nel suo complesso, non si ritiene tempo sprecato quello trascorso ad osservarlo.
    Narcisismo e intolleranza direi, che tra l'altro personalmente condivido, ma non teorizzando chissà cosa su questi aspetti: mie debolezze umane con cui convivo benissimo.

    RispondiElimina
  8. Sei fortunata che non vivi in Francia...Dove la comunicazione si fa a colpi di fioretto. I giri di frase, sono d'obbligo. E una affermazione non condita da dubbio o sfumatura è considerata volgarità estrema.
    ciao

    RispondiElimina
  9. Mi hai aperto gli occhi.Ecco cos'è! E' l'età

    RispondiElimina
  10. Non so se sono del tutto d'accordo cara Marina. Credo che dipenda molto dalle persone che hai davanti, se sono quelle che amano ascoltarsi parlare, allora taglio di netto, anzi giro proprio alla larga. Ma a volte ci sono persone che faticano a parlare, a dire quello che pensano e a volte sentono: allora con quelle no, credo che la pazienza sia anche una delle virtù che appartengono alla nostra età. La pazienza non è dei giovani in modo naturale. La pazienza non la si ha, la si esercita se davanti a noi c'è qualcuno che ha bisogno di essere ascoltato. Mi aveva colpito l'affermazione di una giovane donna che una volta mi aveva detto: io sono una di quelle che parla in fretta, che a volte scavalca anche l'altro per parlare, per paura che non mi si ascolti e ci si stufi in fretta.
    Quindi non so. Dipende.
    Poi uno può scegliere ciò che ritiene meglio per sè e questo mi sembra molto giusto.
    Un abbraccio

    RispondiElimina
  11. Insomma viva la sintesi! Sono d'accordo, io amo la sintesi e cerco sempre di essere sintetica, ma non sopporto quando mi anticipano la fine del mio discorso.
    Avvertita!

    RispondiElimina
  12. @betta: c'è un limite. E l'operazione del marito della badante della zia secondo me è ben oltre il limite!
    marina

    RispondiElimina
  13. Mi rendo conto che la mia impazienza risulta sgradevole. Né voglio giustificarmi. Ma non ha niente a che vedere con la in-tolleranza. O con il rispettare lo sforzo che fanno tante persone per esprimere il loro pensiero.
    Io non ho questa visione totalmete positiva della vecchiezza, come portatrice di buoni sentimenti: pazienza, comprensione e saggezza! Intorno a me il mondo è pieno di vecchi o quasi tali divenuti veri mostri. resi tali dalla vita, sì, ma pur sempre mostri. Forse io mi avvio ad esserlo.
    marina

    RispondiElimina

Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo