mercoledì 28 ottobre 2009

sul leggere/tre



"L'accusa di evasione rivolta alla lettura va rimandata al mittente. L'evasione dal mondo-prigione è il primo tratto di radicalità e di alterità della pratica di lettura. Contro l'invasione sprezzante e costante delle nostre vite, l'evasione è il minimo che possiamo fare"
Fernando Pessoa

Per me che "non odo mai la parola evasione senza che il sangue più rapido scorra" il connotato negativo assunto da questa bellissima parola è cruccio grande.
Chi la usa in un' accezione spregiativa -film di evasione, libro di evasione ecc- intendendo dire con questo che il film o il libro in oggetto non vale il tempo speso, fa torto a questa parola e insieme, paradossalmente, fa un regalo immeritato al film o al libro in oggetto. Perché evadere è bello.
Evadere resta per me un'attività umana cruciale, il segno di un desiderio di superamento della propria realtà. E lo straordinario, per me, consiste nel fatto che questo slancio verso l'oltre può pungerci anche se siamo felici, allegri, soddisfatti.
Chi poi contrappone la pratica della lettura a quella della vita vera -come a frotte gli altri, i non-lettori, fanno- sembra credere che il lettore sia un individuo infelice, cupo e disamorato della sua esistenza, che si rivolge alla lettura per sottrarsi a dolore e disperazione.
E pensare che "nel racconto di molti depressi ricorre spesso questa frase: "sono troppo depresso per leggere"! (Alberto Manguel)

"Per un lettore, anche modesto, il disamore alla lettura costituisce un sintomo. "Non ho nemmeno più voglia di leggere" significa che si è toccato il fondo della depressione, della stanchezza, del dolore."(Annie Francois)

Io intendo qui fare una doppia difesa. Quella della parola evasione, che indica non solo il diritto di sottrarsi alla oscenità dell'imprigionamento da parte del prigioniero, ma anche lo slancio verso un di più, un più vasto, un più profondo, un più vero da parte di tutti gli altri.
E insieme intendo difendere la pratica della lettura da questa antica, vieta identificazione: lettore/trice uguale uomo/donna che non vive davvero.
Molte volte ho pensato che coloro che, vivissimi, impiegano il loro tempo in attività extra libros, sprecano parti sostanziali del proprio tempo e del proprio spirito, per inseguire un luogo comune eretto a difesa delle proprie paure: essere attivo, fare...
E ho spesso pensato che il vero evasore (nel senso in cui i detrattori di questa parola la usano) -dalla riflessione, dalla pensosità, dalle mille voci dell'universo- è proprio colui che crede di vivere intensamente agitandosi sulla superficie della terra in mille attività diverse, come se non potesse sostenere l'immagine del mondo che gli scrittori gli inviano dalle pagine dei loro libri.
Con questo non voglio, simmetricamente, contrapporre il lettore-vivo al non lettore-morto ma solo dire che i modi di essere vivi sono tanti. E anche quelli di essere morti.

In quanto alla paura, sì il lettore fa paura.

"Naturalmente tutti i governi totalitari hanno paura della lettura. Ma non sono i soli.
I lettori sono malvisti nei cortili delle scuole e nelle stanze chiuse quanto negli uffici statali e nelle prigioni. Quasi ovunque, la comunità dei lettori gode di un'ambigua reputazione, che le deriva dall'autorità acquisita e dalla percezione del suo potere. Colui che legge è riconosciuto come un sapiente, ma il suo rapporto col libro è considerato anche sdegnosamete esclusivo ed escludente, forse perché l'immagine di una persona raggomitolata in un angolo, visibilmente dimentica delle seccature del mondo, suggerisce l'idea di una riservatezza impenetrabile, di un furtivo egocentrismo..
Vai fuori a vivere! mi diceva mia madre quando mi vedeva leggere, come se la mia silenziosa attività contraddicesse la sua concezione di ciò che significava essere vivo.
Il timore popolare di ciò che può fare un lettore tra le pagine di un libro è analogo all'eterna paura maschile di ciò che possono fare le donne nei punti segreti del loro corpo, e dei malefici che possono compiere streghe e alchimisti nelle tenebre.
"

Inoltre "..l'inattività sembra ozio, un peccato contro la gioia di vivere...Pigro, debole, pretenzioso, pedante, snob: sono solo alcuni degli epiteti di cui si vede gratificato il lettore accanito, il "topo di biblioteca"... ancora oggi è vivo il pregiudizio contro il lettore visto come un'astratta testa d'uovo, un fuggiasco dal mondo reale, un occhialuto sognatore che si reclude fra i libri."


Di questo trinomio infamante -lettura= evasione= non vita - i lettori se la ridono.
Continuano a leggere e a cercare significati tra le pagine dei libri. Questi, sperabilmente, debbono esserne ricchi.
Dice Kafka: "Un libro dev'essere l'ascia che spezza il mare ghiacciato che è dentro di noi. Questo è ciò che credo io."
Ma anche se un libro non è l'ascia cercata da Kafka "Non v'ha libro così cattivo onde cavar non si possano salutari avvertimenti, siccome non nasce erba così velenosa, onde non si possa comporre qualche giovevole antidoto. Basta saper usare gli uni e le altre..."

Per ora basta, ma non finisce qui.



6 commenti:

  1. e chi legge per incontrare persone e non solo personaggi ?

    è una minaccia ?

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  2. @ Giardigno65: infatti, cerchiamo persone o personaggi che sono persone
    é una minaccia o una promessa, dipende dal lettore
    ;-)

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  3. jimenez diceva: libri, ansia di stare ovunque, per me è un po' così, leggere un libro è andare altrove con la testa, è immergermi in un'altra realtà, per mia fortuna leggo sia quando sono allegra che quando sono depressa,

    mi sembra di capire che anche tu sei una lettrice "accanita" per curiosità ti faccio una domanda: hai letto di quella tipa che si è messa in testa di leggere un libro al giorno (lei dice per esorcizzare la morte della sorella che era una lettrice) e ora ne scrivono come una detentrice di record e/o mosca bianca, se hai letto la notizia, hai provato il mio stesso senso di fastidio????

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  4. @zefirina: non l'ho letta ma inorridisco: trasformare un piacere in un dovere! bella la citazione di Jimenez me la scrivo subito! grazie marina

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  5. Sottoscrivo tutto il post. Tante volte ho sperimentato personalmente quello che hai scritto: sono stata spesso definita "strana" a causa del mio amore per la lettura e la scrittura.
    Sì, perché anche scrivere molto è spesso considerato segno di una personalità sofferente o in vario modo disturbata. C'è sempre qualche soggetto che, se si accorge che hai la passione per la scrittura, comincia a pensare o che hai dolori e sofferenze immani e quindi le trasfiguri su carta (come se tutte le persone addolorate esistenti al mondo amassero scrivere), oppure che non hai amicizie e non fai la cosiddetta "vita sociale".

    Anni fa mi capitò purtroppo di andare a cena con un ragazzo, un ingegnere. Avendo saputo che mi piace leggere e scrivere, mi disse: "Bisogna vivere e fare esperienze vere, non farle sui libri".
    Quasi superfluo aggiungere che con costui non uscii mai più. :P

    Saluti

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  6. @romina: mi congratulo con te per la tua saggia decisione :-))

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