venerdì 2 ottobre 2009

mantra fatto in casa

Ravenna- Particolare della volta di Galla Placidia - V secolo



Ognuno, credo, ha un qualche suo mantra privato. Per nulla canonico ma ugualmente efficace.
Intendo quelle parole, o sillabe o frasi brevissime, che ci vengono alle labbra in momenti in cui abbiamo bisogno di soccorso e lanciamo un s.o.s.

Questo ufficio lo fanno spesso alcune brevissime formule o invocazioni religiose, su labbra credenti e non credenti.

Un "Dio, aiutami tu" mormorato o pensato intensamente può scappare al più convinto agnostico. Come pure un "Oddio, oddio, oddio".
Ed anche "Madonna mia!" pronunciata senza ironia ma con accalorato bisogno. Non è una mia ipotesi, io so davvero di persone non credenti cui sfuggono queste invocazioni sotto l'urto dell'angoscia.
Mentre i devoti alzano l'invocazione al Santo preferito, ne ripetono più volte il nome, sperando di depositare per un po' il peso della loro angoscia sulle spalle di San Gennaro o di Santa Rita o di San Giuseppe e così via.

Spesso sono retaggi infantili, che riaffiorano in momenti particolarmente difficili.
Infatti, nell'angoscia e nel dolore, si torna bambini, desiderosi di affidarci a qualcuno che si prenda cura di noi. Qualcuno di potente.
E chi c'è per un bambino di più potente di un genitore?
Così spesso, malati, feriti o morenti, invocano "mamma". L'estrema protezione, sopra la quale non ce n'è un'altra.
L'invocazione "mamma" può sorgere anche in situazioni meno estreme, eppure angosciose, dolorose, di smarrimento.
Ripetute, queste invocazioni, fungono da mantra. Da un lato ci inducono la sensazione di avere un alleato da qualche parte, qualcuno cui possiamo appellarci, qualcuno che farà un po' della nostra fatica, sopporterà un po' della nostra paura e del nostro dolore e ci aiuterà ad andare avanti. Dall'altro funzionano tecnicamente, proprio per effetto della ripetizione.
Certo non funzionano nel senso che Iddio o San Gennaro o mamma o la Madonna distoglieranno il loro sguardo dalle loro faccende per occuparsi di noi, e risolvere il nostro problema, - o che noi lo crediamo realmente- ma nel senso che l'affidarsi, sia pure per attimi, contribuirà ad allentare l'angoscia, a spazzare via dalla nostra mente lo sgomento e ci restituirà un po' più stabili e fiduciosi di noi, più disposti a batterci per superare la prova. Insomma dal nostro mantra attingeremo insieme sollievo e incoraggiamento.
Il mantra viene ripetuto più volte, certo non nella forma canonica di un tibetano o di un indiano, ma comunque ripetuto più volte, forse nel traffico, con lo sguardo un po' fisso e rivolto al nostro interno, o stando seduti nella sala d'attesa di un aeroporto o sdraiati, occhi al soffitto.
Io so per certo che, oltre a quelle citate, abbastanza comuni, molte persone hanno piccole frasi, quasi formule, con cui si incoraggiano e cui si affidano. Un tempo avevo preso a raccogliere quelle che sorprendevo sulle labbra di amici e conoscenti. Un mio mitissimo amico, se sconvolto, ripeteva come in trance: "tirami su, tirami su, tirami su" finché davvero si risollevava. Non ha mai voluto dirmi a chi chiedeva di tirarlo su.
Questi mantra personali sono spesso diretti a qualcuno che rappresenta o ha rappresentato un sostegno nella nostra vita. Ma possono essere, e spessissimo sono, brevi esortazioni a noi stessi, che ci ripetiamo, più e più volte, fino a sentircele penetrare dentro placandoci o irrobustendoci.

Tecnicamente non sono preghiere -la preghiera è un auspicio, dicono i linguisti che si occupano dell'analisi del linguaggio; è invece proprio un esercizio di reiterazione, con il quale proviamo ad addormentare la nostra ansia, ad allentare la morsa dell'angoscia o della paura o del dolore. Per questo ripetiamo la nostra formula, perché la ripetizione -dello stesso movimento o della stessa frase- ha, da sola, un effetto calmante. Fin da quando eravamo bambini e ci mormoravano piccole frasi consolatorie o ci accarezzavano ritmicamente un braccio o la fronte. La ripetizione ritmica, instillando la certezza che quella frase tornerà al nostro orecchio, quella mano ripasserà sullo stesso punto del nostro corpo, invariabilmente, ci dà sicurezza, ci rassicura, ci induce calma e, nel bambino, il sonno. Inoltre ci prende dentro un andare ritmico che agisce come ipnotico.
La ripetizione di una piccola frase, tutta nostra, ha lo stesso effetto.

Nel tempo io ho avuto diversi mantra. Ne avevo da bambina -sono stata una bambina molto bisognosa di mantra- e poi da adolescente -sono stata un'adolescente e dico tutto- e lungo la mia vita da adulta ne ho trovati altri dentro di me.
E sono pronta a scommettere che anche voi li abbiate. Pensate a quelle esclamazioni che vi vengono da dentro spontaneamente e che ripetete a fior di labbra, tra di voi. Quello è il vostro mantra.

Se poi di mantra non ne avete, procuratevene uno, date retta a me.
Uno fatto in casa, non occorre andare molto lontano: la maggioranza delle nostre risorse sta dentro di noi, non nelle valli tibetane.


7 commenti:

  1. La risposta è dentro di te e però è sbagliata (Quelo)

    Scusa ho prfanato un post serio...

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  2. @calamar: Quelo, il mio filosofo preferito! grazie per la profanazione

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  3. Mi impressionò, e ricordo bene, un anziano corpulento signore, almeno settant'anni, che usciva dall'anestesia, dopo un intervento chirurgico, gridando: mamma! mamma! mamma!

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  4. E se il mantra fosse qualcosa di più profondo?
    E se il mantra fosse la connessione con il nostro più intimo essere?
    E se il mantra fosse la porta che apre ad altri mondi?


    Rino, ...

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  5. Se libero la mente dai pensieri, rimango un uomo solo.
    Un saluto per te
    Ciao Marina.

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  6. E' perchè abbiamo la profondità delle valli tibetane che andiamo poi a viverle...

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  7. @amatamari: a volte è vero anche il contrario. Se manca il contatto col proprio Sè e lo si proietta all'esterno, può capitare di identificare il nostro centro con qualcosa che è fuori di noi. Se io sono in contatto col mio centro, posso anche non avere desiderio o bisogno di andare nelle valli tibetane: ce le ho già dentro di me!
    Giorgio

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