sabato 31 ottobre 2009

Romina docet


Dopo aver letto il post di Romina ho deciso di fare la seguente dichiarazione: di Halloween non potrebbe fregarmene di meno.
Adoro le zucche da un punto di vista estetico ma non quelle vuote.

venerdì 30 ottobre 2009

settimana bianca


Per dieci giorni, fino al 9 novembre prossimo, la Camera dei Deputati sospende i lavori.
Nella conferenza dei capigruppo il Presidente della Camera ha detto che: “Una delle ragioni per le quali non è possibile calendarizzare in Aula progetti di legge di iniziativa parlamentare deriva dal fatto che questi non possono essere licenziati dalle commissioni per mancanza di copertura finanziaria".
Questi giorni di sospensione verranno considerati settimana bianca, cioè una di quelle in cui, secondo il regolamento della Camera, altre attività, legate al mandato parlamentare, potranno essere svolte dai Parlamentari. Questi riscuoteranno comunque la loro diaria.



mercoledì 28 ottobre 2009

sul leggere/tre



"L'accusa di evasione rivolta alla lettura va rimandata al mittente. L'evasione dal mondo-prigione è il primo tratto di radicalità e di alterità della pratica di lettura. Contro l'invasione sprezzante e costante delle nostre vite, l'evasione è il minimo che possiamo fare"
Fernando Pessoa

Per me che "non odo mai la parola evasione senza che il sangue più rapido scorra" il connotato negativo assunto da questa bellissima parola è cruccio grande.
Chi la usa in un' accezione spregiativa -film di evasione, libro di evasione ecc- intendendo dire con questo che il film o il libro in oggetto non vale il tempo speso, fa torto a questa parola e insieme, paradossalmente, fa un regalo immeritato al film o al libro in oggetto. Perché evadere è bello.
Evadere resta per me un'attività umana cruciale, il segno di un desiderio di superamento della propria realtà. E lo straordinario, per me, consiste nel fatto che questo slancio verso l'oltre può pungerci anche se siamo felici, allegri, soddisfatti.
Chi poi contrappone la pratica della lettura a quella della vita vera -come a frotte gli altri, i non-lettori, fanno- sembra credere che il lettore sia un individuo infelice, cupo e disamorato della sua esistenza, che si rivolge alla lettura per sottrarsi a dolore e disperazione.
E pensare che "nel racconto di molti depressi ricorre spesso questa frase: "sono troppo depresso per leggere"! (Alberto Manguel)

"Per un lettore, anche modesto, il disamore alla lettura costituisce un sintomo. "Non ho nemmeno più voglia di leggere" significa che si è toccato il fondo della depressione, della stanchezza, del dolore."(Annie Francois)

Io intendo qui fare una doppia difesa. Quella della parola evasione, che indica non solo il diritto di sottrarsi alla oscenità dell'imprigionamento da parte del prigioniero, ma anche lo slancio verso un di più, un più vasto, un più profondo, un più vero da parte di tutti gli altri.
E insieme intendo difendere la pratica della lettura da questa antica, vieta identificazione: lettore/trice uguale uomo/donna che non vive davvero.
Molte volte ho pensato che coloro che, vivissimi, impiegano il loro tempo in attività extra libros, sprecano parti sostanziali del proprio tempo e del proprio spirito, per inseguire un luogo comune eretto a difesa delle proprie paure: essere attivo, fare...
E ho spesso pensato che il vero evasore (nel senso in cui i detrattori di questa parola la usano) -dalla riflessione, dalla pensosità, dalle mille voci dell'universo- è proprio colui che crede di vivere intensamente agitandosi sulla superficie della terra in mille attività diverse, come se non potesse sostenere l'immagine del mondo che gli scrittori gli inviano dalle pagine dei loro libri.
Con questo non voglio, simmetricamente, contrapporre il lettore-vivo al non lettore-morto ma solo dire che i modi di essere vivi sono tanti. E anche quelli di essere morti.

In quanto alla paura, sì il lettore fa paura.

"Naturalmente tutti i governi totalitari hanno paura della lettura. Ma non sono i soli.
I lettori sono malvisti nei cortili delle scuole e nelle stanze chiuse quanto negli uffici statali e nelle prigioni. Quasi ovunque, la comunità dei lettori gode di un'ambigua reputazione, che le deriva dall'autorità acquisita e dalla percezione del suo potere. Colui che legge è riconosciuto come un sapiente, ma il suo rapporto col libro è considerato anche sdegnosamete esclusivo ed escludente, forse perché l'immagine di una persona raggomitolata in un angolo, visibilmente dimentica delle seccature del mondo, suggerisce l'idea di una riservatezza impenetrabile, di un furtivo egocentrismo..
Vai fuori a vivere! mi diceva mia madre quando mi vedeva leggere, come se la mia silenziosa attività contraddicesse la sua concezione di ciò che significava essere vivo.
Il timore popolare di ciò che può fare un lettore tra le pagine di un libro è analogo all'eterna paura maschile di ciò che possono fare le donne nei punti segreti del loro corpo, e dei malefici che possono compiere streghe e alchimisti nelle tenebre.
"

Inoltre "..l'inattività sembra ozio, un peccato contro la gioia di vivere...Pigro, debole, pretenzioso, pedante, snob: sono solo alcuni degli epiteti di cui si vede gratificato il lettore accanito, il "topo di biblioteca"... ancora oggi è vivo il pregiudizio contro il lettore visto come un'astratta testa d'uovo, un fuggiasco dal mondo reale, un occhialuto sognatore che si reclude fra i libri."


Di questo trinomio infamante -lettura= evasione= non vita - i lettori se la ridono.
Continuano a leggere e a cercare significati tra le pagine dei libri. Questi, sperabilmente, debbono esserne ricchi.
Dice Kafka: "Un libro dev'essere l'ascia che spezza il mare ghiacciato che è dentro di noi. Questo è ciò che credo io."
Ma anche se un libro non è l'ascia cercata da Kafka "Non v'ha libro così cattivo onde cavar non si possano salutari avvertimenti, siccome non nasce erba così velenosa, onde non si possa comporre qualche giovevole antidoto. Basta saper usare gli uni e le altre..."

Per ora basta, ma non finisce qui.



nostalgie

I grandi platani hanno già ceduto parte delle loro foglie alla strada e il sole disegna sul marciapiede un trama più larga e leggera. Mentre risalgo il viale rifletto sull' alternarsi delle stagioni. Malgrado il "non ci sono più le mezze stagioni, signora mia" lo srotolarsi del tempo si può ancora leggere nella città. Mi piace l'alternarsi delle stagioni. Non piaceva invece al giovane brasiliano, amico di corso alla Sorbona. Quasi piangeva per la nostalgia della sempre-estate di casa sua! La moglie del console svedese, invece, rimpiangeva l'aria pulita di Stoccolma e l'olandesina ridanciana -quando rideva sosteneva con entrambe le mani i grandi seni, senza nessun imbarazzo- l'olandesina rimpiangeva l'Atlantico. Io invece rimpiangevo il cielo della mia città- sostituito a Parigi da un pesante cartone grigio posato subito sopra la testa- e il senso del tempo che sempre vi si respira. A Parigi tutti rimpiangono qualche cosa. Si direbbe la città dei rimpianti. Eppure tutti vi imparano un tipo nuovo di savoir vivre: questa lunga pratica con lo spirito libero. Quando mi imbattevo in uno qualsiasi degli atteggiamenti insopportabili dei parigini, ricordavo a me stessa: hanno fatto la Rivoluzione, questa bêtise puoi anche passargliela. E in nome della Rivoluzione Francese gliela passavo. Anche se non sempre..
Di Parigi mi è venuta una grande nostalgia. Siamo sempre nostalgici di un altrove?






Aux Champs Elysées

Je m'baladais sur l'Avenue
le coeur ouvert à l'inconnu.
J'avais envie de dire bonjour
à n'importe qui,
n'importe qui ce fut toi,
je t'ai dit n'importe quoi.
Il suffisait de te parler,
pour t'apprivoiser.

(refrain)
Aux Champs-Élysées,
aux Champs-Élysées
au soleil, sous la pluie,
à midi ou à minuit
il y a tout ce que vous voulez
aux Champs-Élysées.

Tu m'as dit : J'ai rendez-vous
dans un sous-sol avec des fous
qui vivent la guitare à la main
du soir au matin
Alors, je t'ai accompagnée,
on a chanté, on a dansé,
et l'on n'a meme pas pensé
à s'embrasser.

(refrain)
Aux Champs-Élysées...

Hier soir deux inconnus,
et ce matin sur l'Avenue,
deux amoureux tout étourdis
par la longue nuit.
Et de l'Étoile à la Concorde
un orchestre à mille cordes :
tous les oiseaux du point du jour
chantent l'amour.

(refrain)
Aux Champs-Élysées ...

martedì 27 ottobre 2009

mosca bianca con dignità


Sul taxi dove salgo per tornare a casa la radio va. Musica italiana. Poi parte il giornale radio. Prima notizia le novità sul caso Marrazzo. Il tassista ha uno scatto e spegne la radio bofonchiando qualcosa. Io resto impassibile dato che dire tassisti romani equivale a dire destra.
Je dispiace? mi chiede.
Assolutamente no, rispondo fredda.
Io se potessi lo pisterei, fa lui.
Allora mi interesso al discorso: Mi chiami, faccio io.
Ci guardiamo nello specchietto e ci capiamo. E' giovane, barbetta, occhialetti da sole, jeans e giubbotto.
Lei capisce in che situazione c' ha messo? mi fa.
Altro che, se lo capisco, dico io.
Ha visto che calo alle primarie qui nel Lazio? mi chiede.
Io, che ancora non ho letto i giornali, apprendo da lui che nel Lazio l'effetto Marrazzo sull'affluenza al voto delle primarie del PD è stato micidiale.
Io non ne posso più, dice lui; tra i colleghi io so peggio de 'na mosca bianca; so due giorni che mi tormentano co 'sto fatto che so' tutti uguali!
Lo immagino, dico comprensiva.
No, non lo pò immaginà quello che dicono.
E si trattiene dal darmi particolari dell'eloquio tassinaro sulla questione.
Più per incoraggiarlo che per intima convinzione gli dico:
Beh, può sempre rispondergli che almeno Marrazzo si è dimesso.
Macché dimesso a signò, quello sapeva tutto da luglio, l'ha avvisato Berlusconi, si rende conto?Altro particolare che ignoravo.
E manco se voleva dimette!
Mi rendo conto, altroché.
Comunque io zitto nun ce posso sta'.
E che gli dice?
Je dico, saranno uguali loro ma nun semo uguali noi! je dico. Perché io me vergogno de Marrazzo e voi de Berlusconi no!
Giusto! faccio io galvanizzata. Bravo! Splendida risposta!
Intanto siamo arrivati, ci diamo solidali la mano e guardandomi sopra gli occhialetti alla Beatles, proprio prima che scendo, molto serio mi fa:
Tanto signò c'è rimasta una sola dignità da salvà, la nostra.
Resto ferma sul marciapiede, folgorata.

lunedì 26 ottobre 2009

appello ai romani


Aiutatemi. Ieri mi si è improvvisamente aperto un baratro sotto i piedi e un terribile dubbio mi ha attanagliata. A quanto sta oggi la pijotta?
Una volta era la moneta da cento lire.
Poi è venuto l'euro.
Oggi una pijotta quanto vale?


domenica 25 ottobre 2009

uno, cento, mille Marrazzo!

Sapete che vi dico? A me lo stile Marrazzo piace. Lo trovo frizzantino.
Mi piace la sua libertà di pensiero, il suo anticonformismo, la sua apertura mentale. E fisica. Ma sì, non come quei pudibondi, moralisti e bacchettoni che si scandalizzano contro omo, bi e transessuali e consumano il sesso solo nelle loro banali camere da letto, sempre con le banalissime, scontatissime donne e magari- addirittura! con la moglie o l'amante. No, Marrazzo ama la trasgressione, l'avventura, accetta la diversità, è pronto a nuove esperienze. Questo è il progresso, questo è l'uomo di sinistra. E nello stesso tempo è capace, persino, di seguire disciplinatamente la linea del partito: Sìrcana ha detto transessuali? Bene, transessuali saranno.
E poi, diciamolo, non è uno di quei micragnosi che si pagano una prostituta da raccordo anulare a trenta miserabili euro! No, lui è un vero signore, è generoso, non sta lì a contare il soldo e per la serata, ma senza farlo pesare, posa sul tavolino tremila euro.

Ma nello stesso tempo, questo è formidabile, nello stesso tempo è democratico e non classista: non si fa venire in casa le escort come un satrapo altezzoso, no, lui si mischia alla gente comune, va nel modesto condominio, sfiora piccoli impiegati, costeggia massaie stanche, va a puttane, lui: si mischia al popolo. Sì, è uno di noi, inequivocabilmente uno di noi.

C'è chi trova da obiettare sul fatto che per recarsi a casa della signora Natalì, la sua trans brasiliana, abbia usato la macchina di servizio. Beh, questa è malafede! Lo ha fatto per fare prima! Per tornare prima al suo tavolo di lavoro, ad occuparsi del suo compito istituzionale!

Perché lui le rispetta le Istituzioni. Tanto è vero che di fronte ai Carabinieri sente la deferenza dovuta all'Arma, si mette sull'attenti, benché nudo, e paga.
Dice: ma perché non ha denunciato il fatto alla Procura della Repubblica? Oddio, ma vi devo proprio spiegare tutto! Non è mica un forcaiolo, diamine! o un giustizialista! non è tutto law and order. E non accetta che i giudici si sostituiscano alla politica. Inoltre è un vero uomo, un adulto responsabile: affronta da solo i suoi nemici, non delega, usa il suo libretto di banca, lui!

Dice: ma negare, perché poi ha negato?
Ma come? Non lo capite? Marrazzo voleva proteggere la sua famiglia: la moglie adorata e le figlie, -ah, le figlie!- amate più di ogni altra cosa, tanto che per loro è disposto a qualunque sacrificio, anche a mentire. Se non capite questo vi manca l'abc della grammatica dei sentimenti.

Ma soprattutto Marrazzo mi piace quando infine -infine!- si toglie dai coglioni e lo fa come un vero uomo nuovo, quello sognato dalle femministe d'antan. Lo fa con le lacrime agli occhi, mostrando apertamente i suoi sentimenti perché è così che noi, sue elettrici, lo vogliamo: commosso, tenero, fragile.

Come far capire ad un elettore di destra quanto noi di sinistra siamo orgogliosi di Marrazzo, di questo uomo e di questo politico?
Non lo capiranno mai. Ci pensano abbattuti, vergognosi, avviliti. O addirittura infuriati. Ma quando mai! Noi siamo fieri. Fieri di averlo votato, grati al partito di averlo scelto per noi, e ci auguriamo che per la prossima scadenza elettorale, in mancanza ahimé di Marrazzo, ci propongano qualcuno come lui, degno di lui e quindi di noi.
Anzi io voglio esserne sicura. Per questo mi impegno qui, fin da ora, a mandare un telegramma al prossimo candidato alla regione con una sola -non dieci, macchè!-una solissima domanda: Caro candidato, dimmi: ci vai tu a trans? Altrimenti non se ne fa niente.

una musica, un rumore e un simbolo: la poesia secondo Borges


Arte poetica

Guardare il fiume fatto di tempo e acqua
e ricordare che il tempo è un altro fiume,
sapere che ci perdiamo come il fiume
e che i visi passano come l'acqua.

Sentire che la veglia è un altro sonno
che sogna di non sognare e che la morte
che teme la nostra carne è quella morte
di ogni notte, che si chiama sonno.

Vedere nel giorno o nell'anno un simbolo
dei giorni dell'uomo e dei suoi anni,
convertire l'oltraggio degli anni
in una musica, un rumore e un simbolo.

Vedere nella morte il sonno, nel tramonto
un triste oro, tale è la poesia
che è immortale e povera. La poesia
ritorna come l'aurora e il tramonto.

A volte nelle sere una faccia
ci guarda da fondo di uno specchio;
l'arte dev'essere come quello specchio
che ci rivela la nostra propria faccia.

Raccontano che Ulisse, stanco di prodigi,
pianse di amore quando scorse la sua Itaca
verde e umile. L'arte è quell'Itaca
di verde eternità, non di prodigi.

E' anche come il fiume interminabile
che passa e resta ed è specchio di uno stesso
Eraclito incostante che è lo stesso
ed è un altro, come il fiume interminabile.




Arte poètica


Mirar el río hecho de tiempo y agua
y recordar que el tiempo es otro río,
saber que nos perdemos como el río
y que los rostros pasan como el agua.

Sentir que la vigilia es otro sueño
que sueña no soñar y que la muerte
que teme nuestra carne es esa muerte
de cada noche, que se llama sueño.

Ver en el día o en el año un símbolo
de los días del hombre y de sus años,
convertir el ultraje de los años
en una música, un rumor y un símbolo,

ver en la muerte el sueño, en el ocaso
un triste oro, tal es la poesía
que es inmortal y pobre. La poesía
vuelve como la aurora y el ocaso.

A veces en las tardes una cara
nos mira desde el fondo de un espejo;
el arte debe ser como ese espejo
que nos revela nuestra propia cara.

Cuentan que Ulises, harto de prodigios,
lloró de amor al divisar su Itaca
verde y humilde. El arte es esa Itaca
de verde eternidad, no de prodigios.

También es como el río interminable
que pasa y queda y es cristal de un mismo
Heráclito inconstante, que es el mismo
y es otro, como el río interminable.

(La traduzione è di Livio Bacchi Wikcock)

sabato 24 ottobre 2009

rimanere a se stesso



Camillo Sbarbaro

Sempre assorto in me stesso e nel mio mondo
come in sonno tra gli uomini mi muovo.
Di chi m'urta col braccio non m'accorgo,
e se ogni cosa guardo acutamente
quasi sempre non vedo ciò che guardo.
Stizza mi prende contro chi mi toglie
a me stesso. Ogni voce m'importuna.
Amo solo la voce delle cose.
M'irrita tutto ciò che è necessario
e consueto, tutto ciò che è vita,
com'irrita il fuscello la lumaca
e com'essa in me stesso mi ritiro.

Ché la vita che basta agli altri uomini
non basterebbe a me.
E veramente
se un altro mondo non avessi, mio,
nel quale dalla vita rifugiarmi,
se oltre le miserie e le tristezze
e le necessità e le consuetudini
a me stesso non rimanessi io stesso,
oh come non esistere vorrei!
Ma un'impressione strana m'accompagna
sempre in ogni mio passo e mi conforta:
mi pare di passar come per caso
da questo mondo...

volpi e galline



Qualcuno di voi ha guardato ieri sera Otto e mezzo sulla 7?
Erano rappresentate le tre mozioni candidate alla Segreteria del PD. Debora Serracchiani per Franceschini, Livia Turco per Bersani e Marino per se stesso.
La novità più vistosa erano le ciglia finte di Livia Turco.
La famosa Serracchiani, il volto nuovo del partito, parla un politichese spinto: ha giustificato il suo doppio e forse triplo incarico dicendo che li rivendica perché rappresentano un valore aggiunto. Lo credo, ma per lei!
Marino ha imparato a parlare a raffica: riuscire a dire più cose possibili nel minor tempo possibile sembrava essere il suo solo scopo. Le cose di fondo erano giuste, per carità, ma quante volte ho sentito dire a chi già sa di non poter vincere e si appresta a fare l'ago della bilancia "dopo l'elezione presenteremo al vincitore i nostri tre, quattro punti irrinunciabili e appoggeremo chi ci dirà di sì"? Non discuto l'onestà personale dei tre candidati. Dico solo che
mi sembrano del tutto inadeguati a fare del PD un partito con una identità precisa, capace di affrontare il momento storico che stiamo vivendo e di pensare il futuro della sinistra.

Ho assistito ad uno spettacolo di vecchie volpi politiche. Non sarò la loro gallina.


venerdì 23 ottobre 2009

l'ultima lezione


Giuliano Vassalli l'ho incontrato per l'ultima volta qui e sapevo che era una fortuna poterlo ancora ascoltare e potergli dire grazie di persona.
Era curvo su se stesso e si muoveva con impressionante lentezza. Ma aveva una voce limpida che ci rinfrancò tutti. Tenne una vera lezione, "accademica" per la sua compiutezza, ma con l'atteggiamento affettuoso di un maestro. Grande esattezza giuridica ma partecipazione ed emozione. Si disse "turbato".

Lo ricordo rispettosa, grata, commossa.

appello da l'Aquila

APPELLO DALLE ULTIME TENDOPOLI
Nelle tendopoli che dovevano essere chiuse il 30 settembre ci sono ancora più di quattromila persone. Questo l'appello che gli ultimi abitanti di queste città di tela rivolgono agli italiani. La mail per contattarli è la seguente: emergenzaottobre2009 all'Aquila è emergenza umanitaria
Facciamo appello a tutti coloro che in Italia hanno dimostrato sensibilità a quanto qui è successo e continua ad accadere.

A chi ha mantenuto alta l'attenzione sul dramma che ha colpito il nostro territorio e sulla gestione del post sisma.

In questi giorni all'Aquila fa freddo. Siamo nella fase più drammatica, la notte già si sono sfiorati i -5°C ed andiamo incontro all'inverno, un inverno che sappiamo essere spietato.

Le soluzioni abitative, promesse per l'inizio dell'autunno, non ci sono. Quasi cinquemila persone sono ancora nelle tende.

Meno di 2000 persone sono finora entrate negli alloggi del piano C. A. S. E o nei M. A. P.

La maggior parte degli aquilani sono sfollati altrove in attesa da mesi di rientrare. Ora, con lo smantellamento delle tendopoli altre migliaia di persone sono state allontanate dalla città e mandate spesso in posti lontani e difficilmente raggiungibili.

Noi, definiti "irriducibili", siamo in realtà persone che (come tutti gli altri) lavorano in città, i nostri figli frequentano le scuole all'Aquila, molti non sono muniti di un mezzo di trasporto, altri possiedono terreni od animali a cui provvedere. Siamo persone che qui vogliono restare anche per partecipare alla ricostruzione della nostra città.

Da oltre sei mesi viviamo in tenda, sopportando grandi sacrifici, ma con questo freddo rischiamo di non poter più sopravvivere.

Se non accettiamo le destinazioni a cui siamo stati condannati (che sempre più spesso sono lontanissime) minacciano di toglierci acqua, luce, servizi.

Oggi, più di ieri, abbiamo bisogno della vostra solidarietà.

Gli enti locali e la Protezione Civile ci hanno abbandonati. Secondo le ultime notizie che ci giungono i moduli abitativi removibili che stiamo richiedendo a gran voce da maggio, forse (ma forse) arriveranno tra 45 giorni.

Oggi invece abbiamo bisogno di roulotte, camper o container abitabili e stufe per poter assicurare una minima sopravvivenza. Visto che le nostre richieste alla Protezione Civile e al Comune non sono prese in minima considerazione chiediamo a tutti i cittadini italiani un ulteriore sforzo di solidarietà.

E abbiamo anche bisogno di non sentirci soli.

Per questo vi chiediamo di organizzare dei presidi nelle piazze delle città italiane per SABATO 24 OTTOBRE portando nel cuore delle vostre città delle tende per esprimere concretamente solidarietà a noi 6000 persone che viviamo ancora nelle tende ad oltre sei mesi dal sisma.

Un altra emergenza è cominciata oggi. Non dettata da catastrofi naturali ma dalla stessa gestione del post sisma, da chi questa gestione l'ha portata avanti sulla testa e sulla pelle delle popolazioni colpite.

Alcuni abitanti delle tendopoli sotto zero.

(23 ottobre 2009) Repubblica on line

domandina/due

Ho sentito la dichiarazione dell'ineffabile Mastella: "Non mi dimetterò perché ho la coscienza pulita".
Avrei voluto essere lì per chiedergli: Dunque quando si è dimesso dal Governo Prodi la sua coscienza era sporca?

Ma a che pro? Niente può scalfire quell'essere di gomma...

jacques brel, une valse a mille temps

La giacca goffa, la faccia scolpita e quella voce...
entrare nel nuovo giorno a passo di valzer

giovedì 22 ottobre 2009

domandina

Che cosa farà Clemente Mastella, deputato all'Europarlamento nelle file della destra, ora che la Procura di Napoli, nell'ambito dell'inchiesta sulle assunzioni clientelari dell'Agenzia regionale per l'ambiente, ha stabilito per sua moglie, Sandra Lonardo, Presidente della regione Campania, il divieto di dimora in Campania e sei Province limitrofe (Latina, Frosinone, Potenza, Isernia, Campobasso e Foggia)?
Si dimetterà sdegnato?

basta saperlo


Oroscopo del giorno (e di ogni giorno), senza scomodare le stelle...


“Comincia, al mattino, col predire a te stesso: -M’imbatterò in un curioso, in un ingrato, in un insolente, in un imbroglione, in un invidioso, in un misantropo....”
Marc'Aurelio-

mercoledì 21 ottobre 2009

il re è nudo

Sono quasi certa che ne parli anche Seneca nelle Lettere a Lucilio, ma dovrò fare qualche ricerchina: mi riferisco agli occultatori, semplici e composti.
Gli occultatori, io li chiamo così, sono quelle persone che non sanno o non possono o non vogliono sottrarsi alla tentazione di nascondere pezzi sgradevoli della realtà, anche se sono evidenti, plateali, sotto gli occhi di tutti.
Gli occultatori, si badi bene, non hanno niente in comune con i bugiardi, tipi umani molto più semplici e concreti.
Gli occultatori sono gente con una fede incrollabile, la sicurezza cioè che, se sistematicamente negata, la realtà sgradita esiterà, vacillerà e infine si sfalderà, per ricostituirsi poi in una forma più accettabile, addirittura opposta alla sua stessa natura: diventerà cioè un'altra realtà.
Ammetterete che per credere di riuscire a trasformare la realtà semplicemente negandola ci vuole una buona dose di ingenua, addirittura infantile, fiducia.
Quelli che io chiamo occultatori semplici conducono questa operazione solo nei confronti di se stessi. Sono coloro che si raccontano piccole o grandi storie con cui mascherano, mistificano, edulcorano fatti, situazioni, condizioni della propria vita che tutti, ma proprio tutti riescono a vedere perfettamente bene. La donna o l'uomo traditi sotto i loro stessi occhi e convinti di vivere un perfetto, sereno rapporto di coppia potrebbero rappresentare, abbastanza bene, la categoria degli occultatori semplici. Meglio ancora li rappresenta la donna che parla severamente degli uomini delle sue amiche tralasciando di portare alla sua coscienza il modo indegno con cui il suo uomo si comporta con lei. Gli occultatori semplici si fingono felici con se stessi e con gli altri perché non sopportano di doversi dire che non lo sono. Tutti noi ne incontriamo nella nostra vita e, ammettiamolo, sono irritanti. Malgrado la pena che possono suscitare in me io trovo la conversazione intima con un occultatore piuttosto fastidiosa. Essa è fatta di fumo e a discutere di fumo mi annoio e spesso mi irrito. In fondo mi si sta chiedendo di avallare una perfetta non-realtà e si manca anche di rispetto alla mia intelligenza delle cose. Ma, ciononostante, non combatto mai il desiderio dell'occultatore semplice di restare al buio, di nascondere l'aspra realtà: immagino che non abbia abbastanza coraggio o forza per riconoscerla nella sua secca nudità. Il mio sentimento nei suoi confronti è compassionevole, intuisco la sua vulnerabilità e mi taccio. Anche quando mi dicono: ma tu che cosa pensi? Dimmi la verità. E i loro occhi mi implorano: NON mi dire la verità. Nessuno ama che la verità gli venga servita su un vassoio. E, comunque, alla propria verità si deve arrivare con il proprio passo e personalmente. Diciamo che si può ogni tanto gettare lì un amo perché l'occultatore, se vuole, lo afferri con i suoi fragili denti e se ne serva per spezzare la rete di bugie in cui si è volontariamente avvoltolato.
Quelli che invece davvero mi stanno sulle palle sono gli occultatori composti. E, da sempre, io sto sulle palle a loro.
L'occultatore composto conosce la realtà, essa è ben presente ai suoi occhi e non gli importa che la sua ricostruzione fasulla non venga creduta. Quello che conta per lui o per lei è che la realtà si taccia. Che un'altra realtà si affermi e venga dichiarata vera. L'occultatore composto vuole fare degli altri i suoi complici, vuole che mentano assieme a lui. Per questo lo chiamo composto, perché alla sua personale menzogna (che peraltro riconosce perfettamente come tale) vuole aggiungere la mia. Egli ti guarda negli occhi e sorridente ti dice: beh, mi sembra che la riunione sia andata bene; oppure, che la squadra abbia giocato bene; oppure ancora: che le cose nel paese vadano a gonfie vele. (Gli esempi presi non coprono la grande varietà di campi in cui gli occultatori composti possono intervenire con le loro contro-verità ). E intanto con lo sguardo ti sfida. Avanti smentiscimi, fai un passo, nega questa contro-verità. Ne hai il coraggio? E la sua contro-verità la proclama ad alta voce, con sicurezza, e la ripete nel silenzio altrui, certo che, ripetendola a voce alta, essa soppianterà la pura realtà fattuale. E per lo più ci riesce.
Ci riesce perché ti coglie di sorpresa, e, quanto più la sua affermazione è manifestamente sovvertitrice della realtà fattuale, tanto più riduce gli altri, attoniti e imbarazzati, al silenzio. Trasecolano, ma tra sé e sé.
Gli occultatori composti ed io abbiamo sempre fatto scintille. Io appartengo fin da piccolissima alla categoria de "il re è nudo". Cosa che gli adulti intorno a me non sopportavano e che mi ha procurato, sin da piccolissima, l'epiteto di "cattiva". "Cattiva" non significava affatto tutte le solite cose che si attribuiscono ad un bambino per qualificarlo così: disobbedienze varie, piccoli imbrogli, sottrazioni ai propri piccoli doveri ecc. Ma quando mai! Io avevo, e purtroppo ho, un super-io ipertrofico. Il cuore di quel "cattiva" era il fatto che sentivo il bisogno, irrefrenabile, di ristabilire, in chiaro, le realtà che, intorno a me, i grandi si affannavano a mascherare e che, con la straordinaria intelligenza che hanno tutti i bambini, io riconoscevo perfettamente. E non mi piegavo alle loro menzogne che mi offendevano. E, se mio padre sorrideva appena e lasciava cadere, mia madre diventava irosa. Fu lei a fissarmi nel ruolo di "cattiva". A sua giustificazione c'è la mentalità del tempo: i bambini non dovevano sapere e, se intuivano, dovevano fingere.
Ma io ero la "figlia di mezzo" e, stretta tra la noncuranza dell'uno e l'antipatia dell'altra, non avevo altra sponda che la mia intelligenza. Non avrei permesso che vi attentassero; potevano dirmi "cattiva" quanto volevano: non mi avrebbero messa a tacere.
Quelli come me, quelli che proclamano che "il re è nudo" talvolta sono portati in trionfo, come nella favola, ma più spesso sono mal tollerati.
Gli occultatori di professione li odiano per ovvi motivi; ma li odiano anche gli altri, quelli che tacciono e fingono di credere al fulgore dell'abito del re. Confesso che anche per me non è facile oppormi ad un occultatore composto; non riesco quasi mai, sui due piedi, a dire: ma che cazzo vai dicendo? Vengo sempre colta di sorpresa, sopraffatta dall'enormità della falsità dell'affermazione dell'occultatore composto; ma sempre -sempre- ripresami, torno su quell'affermazione e la rettifico. Certo, con il passare degli anni, sono diventata più cauta, forse anche più pavida. Ma trovo sempre il guizzo, quella piccola quota di rispetto per me stessa, che mi induce a riprendere il discorso e a dire semplicemente: no, la riunione NON è andata bene, la squadra NON ha giocato bene, e le cose, nel paese, NON vanno a gonfie vele.
Questi piccoli esempi, nella loro banalità, coprono il fatto che gli occultatori composti possono fare un grande male; nella sfera collettiva ed in quella privata. Sono pericolosi: io sollecito ognuno di noi ad opporsi, sempre, alle loro contro-verità. Facciamo in modo che queste non diventino, mai, senso comune delle cose, e che gli occultatori non trasformino le loro menzogne in verità.




martedì 20 ottobre 2009

i gesti del mattino

I gesti del mattino, i primi gesti del mattino -quelli piccoli, abitudinari, quasi inconsistenti- hanno sempre avuto una grande importanza per me. E costituiscono ancora oggi una specie di riconciliazione con la vita o, nei giorni meno fortunati, un'accettazione. Servono anche a mettere ordine nelle ansie e nelle paure, nelle domande, nei dubbi che, come la lista delle vivande, ci si presentano con il nuovo giorno.
Con i piccoli gesti del mattino, ordinati e ripetitivi, mettiamo argini, incanaliamo, rassicuriamo le nostre incertezze. Ci appoggiamo ai piccoli gesti del mattino per trovare lo slancio che ci permetterà di affrontare la nuova giornata e le incognite che porta con sé.

Sì, ci sono anche di quelle mattine in cui quei piccoli gesti costituiscono il basso continuo della nostra gioia di alzarci e muoverci nel mondo. Allora sono piccoli gesti scalpitanti.

I gesti del mattino conoscono tutte le nostre oscillazioni.

lunedì 19 ottobre 2009

sul leggere/due

Per ora si scherza (non completamente) ma sul leggere vi somministrerò, col tempo, citazioni meno zuzzerellone.


da "Del furore di aver libri" di Gaetano Volpi (XVIII sec.)

CANI: convien bandirli affatto dalle Librerie, atteso il loro istinto d'alzar la gamba nell'orinare; principalmente dove le scanzie sono quasi fino in terra; essendo a' Libri perniciosissima la loro orina."

GATTI: questi infestano le Librerie col natural loro vezzo di aguzzarsi l'ugne principalmete sulle carte godendo di quel fragore che in ciò da esse si forma; graffiandole spesso malamente;

e colla loro pestilente orina; benché da un altro canto, le tengano riguardate da' sorci, d'essi ancor più dannosi.

ODORI: I Libri de' vari paesi odorano, a chi ciò avverte, diversamente. Quei d'Inghilterra hanno un odor grave e tetro, e così, presso a poco, ancor quei di Germania, benché diverso: migliore l'hanno quei di Francia, e d'Ollanda; poco sensibile quei d'Italia. Ciò proverrà forse principalmente dall'acque. Odori buoni o rei contraggono anche i Libri dal sito in cui da lungo tempo sen giacciono, come succede ne' scrigni odorosi; o in luoghi terreni, nitrosi, rinserrati, e di cattiva aria, o vicini a immondezze.

Piccola osservazione: Volpi scrive sempre le parole Libri e Librerie con la maiuscola!

domenica 18 ottobre 2009

l'ira di Fruttero


Carlo Fruttero
Pietro Citati

Testo tratto da un incontro di Pietro Citati con Carlo Fruttero dalla Repubblica del 18 ottobre 2009

.... Qualche giorno fa, (scrive Citati di Fruttero) l´ho trovato diverso: non più mestamente ironico, ma disperato, furibondo, collerico. Non l´avevo mai visto così. E dopo pochi minuti, trascorsi senza che la letteratura placasse e raddolcisse la sua anima, mi ha detto con voce alterata: «Siamo alla fine. Questo è l´otto settembre. Non vedi?».E se io gli obbiettavo che il re e la regina non erano fuggiti a Brindisi, che i generali non avevano abbandonato a loro stessi un milione di soldati, e che non si vedevano ancora i carri armati nazisti, mi rispondeva con una voce sempre più acuta: «Non capisci. Non vedi. Non vuoi vedere. Non vedi che tutto si sta disgregando sotto i nostri occhi? Tutto è a pezzi, in rovina. Camminiamo tra i frantumi e i detriti. Non c´è più nulla che regga. Tutti blaterano. Tutti parlano per dire male. Non c´è pietà né comprensione. Dappertutto c´è rancore, odio, ferocia, senza che, in realtà, nulla distingua le idee degli uni da quelle degli altri. I magistrati calunniano i magistrati, gli uomini di chiesa gli uomini di chiesa. Tutti infieriscono contro tutti». «Se penso ai democristiani di trenta o quaranta anni fa, continuò, mi sembrano dei giganti. Non riuscivo a distinguerli. Rumor era come Colombo, Bisaglia come Piccoli o Forlani. Avevano vissuto tra gli arcivescovadi, le sacrestie, le scuole e le associazioni cattoliche; e della loro esistenza nascosta conservavano una specie di profumo: un profumo di tisane, sonno, sudore, borotalco e marmellata di prugne. Avevano la stessa faccia: un viso molle e un poco informe, il naso annegato tra le guance, i capelli tra il bruno e il biondiccio, gli occhi sbiaditi, un sorriso indeciso sulle labbra. Non ti guardavano negli occhi. Ti stringevano fiaccamente la mano. E, se cominciavano a parlarti, guardavano dall´altra parte».«Non esibivano nessuna verità perentoria: le loro parole si perdevano in un bisbiglio materno e rassicurante. Non amavano la forza: né le costruzioni, i programmi, le decisioni, i progetti. Avevano un´idea passiva della politica. Lasciavano che le cose accadessero, e le assecondavano con una mano molle e paziente.E se qualcuno si levava contro di loro, un istinto profondo li spingeva a non offrire resistenza, ad arretrare e ad abbarbicarsi al suolo. Finché il nemico si estendeva troppo, si spossava, si sfiniva; e allora essi lo avvolgevano, lo penetravano, lo trasformavano a poco a poco in loro stessi, con quell´arte dell´assimilazione in cui erano maestri. Era il metodo con il quale Kutuzov, in Guerra e Pace, sconfigge Napoleone».«Pensa a cosa sono i politici di oggi: a sinistri demagoghi come Umberto Bossi e Antonio Di Pietro. Allora, gli elettori li avrebbero presi a calci. Non avrebbero nemmeno tollerato che si presentassero alle elezioni. Li avrebbero cancellati dalle liste elettorali». «Oggi, in Italia, non esistono più uomini politici. Ne esiste uno: Giorgio Napolitano, che regge da solo sulle spalle l´intero paese. Se non ci fosse lui, tutto crollerebbe. Io non amo la politica, lo sai. Detesto quella mescolanza di forza, segreto, ipocrisia, arte del compromesso, che forma il carattere degli uomini politici. Esecro la loro presunzione di condurre la storia, come se guidassero una carrozza a cavalli. Ma, mai come in questi anni, mi rendo conto che l´arte della politica è necessaria. Ci vuole la durezza, la tensione, la pazienza, il dono del futuro, il giusto orgoglio, la discrezione, il silenzio, che possedevano uomini come De Gasperi. Oggi sono qualità completamente assenti». «Guardali, i politici del 2009. Vogliono soltanto una cosa: apparire, esibirsi, esaltarsi: naturalmente alla televisione. Sono figli della televisione, che li ha completamente contagiati e contaminati. Chiaccherano. Non hanno peso né riserve. Sono irreali, come la televisione. Pensano che il gradimento televisivo sia tutto, mentre non importa nulla. Non sanno fare né preparare. Tra pochissimo, non li vedremo più. All´improvviso scompariranno, insieme al nostro paese: come un corteo di nuvole, come un´accolita di fantasmi».

per il sentiero chiaro di Fabrizia Ramondino

Probabile che la conosciate soprattutto per i suoi romanzi e per i suoi saggi. Ma Fabrizia Ramondino ha scritto anche poesie.
Sono raccolte in un volume Einaudi, "Per un sentiero chiaro". Non si trova più in commercio e ringrazio Annalisa per avermelo prestato.

Ne copio qui alcune.


Ieri
Il secolo è vecchio
decrepito il millennio.
Di se stesso persino giugno, il bel mese, si è stancato.
Nei tram la gente sa di naftalina,
i sandali li calza un monaco soltanto,
i bambini sono tutti infagottati.

Che occhi perplessi!
Ieri appena
giocavano nudi a Mergellina.


La bilancia
Ci arrampichiamo
sui piatti della bilancia commerciale
per vedere se le entrate e le uscite
si pareggiano. Che disastro, un deficit da capogiro.
Spendiamo allegri,
non guadagniamo nulla.

Ma è uscita sulla Gazzetta Ufficiale
una rettifica: dalla bilancia
era caduto Amore.
Nulla
era stato pesato.

Sospensione
Ho imparato ad attendere la sera
senza che nulla accada, a perdere
senza sciuparla la giornata.
C'è un grande abisso sotto la mia casa
come una volta tra me e i desideri.

Che sarò mai nell'orecchio del mare?



Il tempo
La campana meccanica
scandisce forte l'ora
e appena tintinna al quarto d'ora.
Diventa insistente all'alba - tempo di lavoro
e alla domenica - tempo di funzioni.
E sempre quando ci sono
battesimi morti matrimoni
e ogni anno le resurrezioni.
Prediligo la sua insistenza a sera
quando chiama le vecchie alla funzione
che non sanno dove andare da sole
mentre giù al bar i maschi
giocano a carte o guardano
dritto in faccia chi vogliono
o nessuno.
Mi chiedo perché ora
anche per me scandisce l'ora.
Non sarà ch'io
del tempo a me destinato
ho sempre cercato
di scansare
ogni scansione?


Natura morta
Perché
nella casa deserta di amori
ho bisogno di una fruttiera con frutti
di una fioriera con fiori?
Nature morte, gambi recisi.
Non sarà che la porta dei sensi
che mi dava un accesso alla vita
per un colpo di vento si è chiusa?


Dimenticare
Ogni notte viaggio
fra persone note o ignote
in luoghi noti o ignoti
sempre strani
disorientata.
Al risveglio mi chiedo:
dove mai, con chi sno stata?
Ma non rimugino
né voglio ricordare.
Sopporterò
la nuova nottata
perché ho sopportato
la vecchia giornata.


Cara terra
Va bene,
tutto scorre.
Ma chi regge gli argini
del fiume?
Non mi sono di aiuto
filosofia teologia psichiatria
ma forse solo tu
stupida cara terra
cui vorrei tornare
perché da te sono nata.
Ma chissà...S'io volessi
vorresti anche tu?

Restiamo nel dubbio,
da sposi separati in casa.

L'acqua allarga o restringe
gli argini.
In mezzo, si dice, c'è il letto del fiume.

Se vuoi,
torniamo a dormire insieme.


Le stagioni
Mi sono stancata della vita.
Lei non ancora di me.
Ad altri succede il contrario.
Perché?
Succede: la foglia grande è ancora verde
la piccola ingiallita.

Ma ci hanno insegnayo: noi uomini
dobbiamo darci uno scopo alla vita.
Per esempio: mettere la naftalina negli armadi,
aprirli all'aria quando viene maggio.

Intanto la vite vergine
insinua le sue foglie tra gli infissi
rinverdita.

Proprio in casa mia
ha scelto di fare una gita.




sabato 17 ottobre 2009

chi l'ha visto?

Scoperto nella notte divertente giochetto!
Costruire identikit!
Ecco qui l'Inquietante e la Incavolata, mie prime creature.

Se già non lo conoscete il sito è questo: pimp the face E' gratuito.




venerdì 16 ottobre 2009

chi l'ha letta?



Leggerò Il paese delle prugne verdi di Herta Muller la scrittrice Premio Nobel per la Letteratura del 2009.
Non la conosco e sono curiosa di incontrarla sulle pagine del romanzo che viene considerato la sua opera più importante.
Intanto mi piace la sua faccia espressiva: affilata, un naso importante, sopracciglia disegnate e bocca decisamente tinta di rosso.

il Bel Paese

L'antefatto è costituito dall'intervista fatta dal Corriere della Sera Magazine al Capo della Squadra Mobile di Napoli, Pisani, in cui questi si è dichiarato contrario all'assegnazione della scorta allo scrittore Roberto Saviano come misura non necessaria.

da La Repubblica di oggi 16 ottobre 2009
Io, la mia scorta
e il senso di solitudine
di ROBERTO SAVIANO

"LO VEDI, stanno iniziando ad abbandonarci. Lo sapevo". Così il mio caposcorta mi ha salutato ieri mattina. Il dolore per la protezione che cercano di farmi pesare, di farci pesare, era inevitabile. La sensazione di solitudine dei sette uomini che da tre anni mi proteggono mi ha commosso. Dopo le dichiarazioni del capo della mobile di Napoli che gettano discredito sul loro sacrificio, che mettono in dubbio le indagini della Dda di Napoli e dei Carabinieri, la sensazione che nella lotta ai clan si sia prodotta una frattura è forte.

Non credo sia salutare spaccare in due o in più parti un fronte che dovrebbe mostrarsi, e soprattutto sentirsi, coeso. Società civile, forze dell'ordine, magistratura. Ognuno con i suoi ruoli e compiti. Ma uniti. Purtroppo riscontro che non è così. So bene che non è lo Stato nel suo complesso, né le figure istituzionali che stanno al suo vertice a voler far mancare tale impegno unitario. Sono grato a chi mi ha difeso in questi anni: all'arma dei Carabinieri che in questi giorni ha mantenuto il silenzio per rispetto istituzionale ma mi ha fatto sentire un calore enorme dicendomi "noi ci saremo sempre".

Mi ha difeso l'Antimafia napoletana attraverso le dichiarazioni dei pm Federico Cafiero De Raho, Franco Roberti, Raffaele Cantone. Mi ha difeso il capo della Polizia Antonio Manganelli con le sue rassicurazioni e la netta smentita di ciò che era stato detto da un funzionario. Mi ha difeso il mio giornale. Mi hanno difeso i miei lettori.

Ma uno sgretolamento di questa compattezza è malgrado tutto avvenuto e un grande quotidiano se ne è fatto portavoce. Ciò che dico e scrivo è il risultato spesso di diversi soggetti, di cui le mie parole si fanno portavoce. Ma si cerca di rompere questa nostra alleanza, insinuando "tanti lavorano nell'ombra senza riconoscimento mentre tu invece...". Chi fa questo discorso ha un unico scopo, cercare di isolare, di interrompere il rapporto che ha permesso in questi anni di portare alla ribalta nazionale e internazionale molte inchieste e realtà costrette solo alla cronaca locale.

Sento di essere antipatico ad una parte di Napoli e ad una parte del Paese, per ciò che dico per come lo dico per lo spazio mediatico che cerco di ottenere. Sono fiero di essere antipatico a questa parte di campani, a questa parte di italiani e a molta parte dei loro politici di riferimento. Sono fiero di star antipatico a chi in questi giorni ha chiamato le radio, ha scritto sui social forum "finalmente qualcuno che sputa su questo buffone". Sono fiero di star antipatico a queste persone, sono fiero di sentire in loro bruciare lo stomaco quando mi vedono e ascoltano, quando si sentono messi in ombra. Non cercherò mai i loro favori, né la loro approvazione. Sono sempre stato fiero di essere antipatico a chi dice che la lotta alla criminalità è una storia che riguarda solo pochi gendarmi e qualche giudice, spesso lasciandoli soli.

Sono sempre stato fiero di essere antipatico a quella Napoli che si nasconde dietro i musei, i quadri, la musica in piazza, per far precipitare il decantato rinascimento napoletano in un medioevo napoletano saturo di monnezza e in mano alle imprenditorie criminali più spietate. Sono sempre stato antipatico a quella parte di Napoli che vota politici corrotti fingendo di credere che siano innocui simpaticoni che parlano in dialetto. Sono sempre stato fiero di risultare antipatico a chi dice: "Si uccidono tra di loro", perché contiamo troppe vittime innocenti per poter continuare a ripetere questa vuota cantilena.

Perché così permettiamo all'Italia e al resto del mondo di chiamarci razzisti e vigliacchi se non prestiamo soccorso a chi tragicamente intercetta proiettili non destinati a lui. Come è accaduto a Petru Birladeanu, il musicista ucciso il 26 maggio scorso nella stazione della metropolitana di Montesanto che non è stato soccorso non per vigliaccheria, ma per paura.
Sono sempre stato fiero di risultare antipatico a chi mal sopporta che vada in televisione o sulle copertine dei giornali, perché ho l'ambizione di credere che le mie parole possano cambiare le cose se arrivano a molti.

E serve l'attenzione per aggregare persone. Sarò sempre fiero di avere questo genere di avversari. I più disparati, uniti però dal desiderio che nulla cambi, che chi alza la testa e la voce resti isolato e venga spazzato via com'è successo già troppe volte. Che chi "opera" sulle vicende legate alla criminalità organizzata e all'illegalità in generale, continui a farlo, ma in silenzio, concedendo giusto quell'attenzione momentanea che sappia sempre un po' di folklore. E se percorriamo a ritroso gli ultimi trent'anni del nostro Paese, come non ricordare che Peppino Impastato, Giuseppe Fava e Giancarlo Siani - esposti molto più di me e che prima di me hanno detto verità ora alla portata di tutti - hanno pagato con la vita la loro solitudine. E la volontà di volerli ridurre, in vita, al silenzio.

Sono sempre stato fiero, invece, di essere stato vicino a un'altra parte di Napoli e del Sud. Quella che in questi anni ha approfittato della notorietà di qualcuno emerso dalle sue fila per dar voce al proprio malessere, al proprio impegno, alle proprie speranze. Molti di loro mi hanno accolto con diffidenza, una diffidenza che a volte ha lasciato il posto a stima, altre a critiche, ma leali e costruttive. Sono fiero che a starmi vicino siano stati i padri gesuiti che mi hanno accolto, le associazioni che operano sul territorio con cui abbiamo fatto fronte comune e tante, tantissime persone singole.

Sono fiero che a starmi vicino sia soprattutto chi, ferocemente deluso dal quindicennio bassoliniano, cerca risposte altrove, sapendo che dalla politica campana di entrambe le parti c'è poco da aspettarsi. Sono sempre stato fiero che vicino a me ci siano tutti quei campani che non ne possono più di morire di cancro e vedere che a governare siano arrivati politici che negli anni hanno sempre spartito i propri affari con le cosche. Facendo, loro sì, soldi e carriera con i rifiuti e col cemento, creando intorno a sé un consenso acquistato con biglietti da cento euro.

È stato doloroso vedere infrangersi un fronte unico, costruito in questi anni di costante impegno, che aveva permesso di mantenere alta l'attenzione sui fatti di camorra. È stato sconcertante vedere persone del tutto estranee alla mia vicenda esprimere giudizi sulla legittimità della mia scorta. La protezione si basa su notizie note e riservate che, deontologia vuole, non vengano rese pubbliche. Sono stato costretto a mostrare le ferite, a chiedere a chi ha indagato di poter rendere pubblico un documento in cui si parla esplicitamente di "condanna a morte". Cose che a un uomo non dovrebbero mai essere chieste.

Ho dovuto esibire le prove dell'inferno in cui vivo. Ho esibito, come richiesto, la giusta causa delle minacce. Sento profondamente incattivito il territorio, incarognito. Gli uni con gli altri pronti a ringhiarsi dietro le spalle. Molti hanno iniziato a esprimere la propria opinione non conoscendo fatti, non sapendo nulla. Vomitando bile, opinioni qualcuno addirittura ha detto "c'è una sentenza del Tribunale che si è espressa contro la scorta". I tribunali non decidono delle scorte, perché tante bugie, idiozie, falsità? Addirittura i sondaggi online che chiedevano se era giusto o meno darmi la scorta.

Quanto piacere hanno avuto i camorristi, il loro mondo, lì ad osservare questo sputare ognuno nel bicchiere dell'altro? Dal momento in cui mi è stata assegnata una protezione, della mia vita ha legittimamente e letteralmente deciso lo Stato Italiano. Non in mio nome, ma nel nome proprio: per difendere se stesso e i suoi principi fondamentali. Tutte le persone che lavorano con la parola e sono scortate in Italia, sono protette per difendere un principio costituzionale: la libertà di parola. Lo Stato impone la difesa a chi lotta quotidianamente in strada contro le organizzazioni criminali. Lo Stato impone la difesa a magistrati perché possano svolgere il loro lavoro sapendo che la loro incolumità fa una grande differenza.

Lo Stato impone la difesa a chi fa inchieste, a chi scrive, a chi racconta perché non può permettere che le organizzazioni criminali facciano censura. In questi anni, attaccarmi come diffamatore della mia terra, cercare di espormi sempre di più parlando della mia sicurezza, è un colpo inferto non a me, ma allo stato di salute della nostra democrazia e a tutte le persone che vivono la mia condizione. Sento questo odio silenzioso che monta intorno a me crea consenso in molte parti
Sta cercando il consenso di certa classe dirigente del Sud che con il solito cinismo bilioso considera qualunque tentativo di voler rendere se non migliore, almeno consapevole la propria terra, una strategia per fare soldi o carriera.

Ma mi viene chiesta anche l'adesione a un "codice deontologico", come ha detto il capo della Mobile di Napoli, il rispetto delle regole. Quali regole? Io non sono un poliziotto, né un carabiniere, né un magistrato. Le mie parole raccontano, non vogliono arrestare, semmai sognano di trasformare. E non avrò mai "bon ton" nei confronti delle organizzazioni criminali, non accetterò mai la vecchia logica del gioco delle parti fra guardie e ladri. I camorristi sanno che alcuni di loro verranno arrestati, le forze dell'ordine sanno in che modo gestire gli arresti che devono fare.

Lo hanno sempre detto a me, ora sono io a ribadirlo: a ognuno il suo ruolo. La battaglia che porto avanti come scrittore è un'altra. È fondata sul cambiamento culturale della percezione del fenomeno, non nel rubricarlo in qualche casellario giudiziario o considerarlo principalmente un problema di ordine pubblico.

Continuare a vivere in una situazione così è difficile, ma diviene impossibile se iniziano a frapporsi persone che tentano di indebolire ciò che sino a ieri era un'alleanza importante, giusta e necessaria. So che è molto difficile vivere la realtà campana, ma c'è qualcuno che ci riesce con tranquillità. Io non ho mai avuto detenuti che mi salutassero dalle celle, né me ne sarei mai vantato, anzi, pur facendo lo scrittore, ho ricevuto solo insulti. Qualcuno dice a Napoli che è riuscito a fare il poliziotto riuscendo a passeggiare liberamente con moglie e figli senza conseguenze. Buon per lui che ci sia riuscito. Io non sono riuscito a fare lo scrittore riuscendo a passeggiare liberamente con la mia famiglia. Un giorno ci riuscirò lo giuro.
© 2009 Roberto Saviano. Published by arrangement
with Roberto Santachiara Literary Agency


Spero che né Roberto Saviano né la Repubblica si risentano se ho dato spazio a questo articolo che sottoscrivo convintamente.

pensiero del mattino

Quando si è fatti -o si è divenuti- di una pasta tenera, facilmente friabile, occorre una cura speciale nello scegliere le persone da frequentare. E bisogna sviluppare un sesto senso rapido che subito ci dica quale persona sia da evitare o da maneggiare con cura.
E mai deflettere -mai- dalla decisione di non aver niente a che fare con lei.
Alzare subito le paratie o i muri antincendio -scegliete voi la metafora che preferite- di fronte a questi possibili aggressori e non indulgere mai nella tentazione di restare senza difese.
A sessantasei anni suonati io ho ancora bisogno di ricordare a me stessa questa semplice avvertenza. E questo mi riempie di dispetto.

domanda

Che cosa fare della crudeltà sguaiata di un giovane? Mostrargliela nella sua natura meschina? Osservarla in silenzio?
Sperare, e magari credere, che la vita gli insegnerà la reciprocità delle ferite e che imparerà a rispettare l'altro e le sue difficoltà?
O c'è da temere che, una volta assaggiato l'odore del sangue della ferita inferta, prenderà piacere alla sua sventata crudeltà?

Un giovane può deludermi molto più di un adulto, perché, da sempre, ho visto nei giovani la più fresca possibilità di cambiamento. Ma sempre più spesso la mia fiducia vacilla.

A H1 N1

L'altra sera si parlava dell'influenza AH1N1 e mi hanno colpito molto le preoccupazioni di una signora circa le nuove disposizioni per chi assiste alla Messa. Sembra che non ci si potrà scambiare la stretta di mano come segno di pace (verrà sostituita da un cenno del capo) né verrà più immessa acqua nell'acquasantiera, e l'ostia verrà consegnata in mano e non posata sulla lingua ai comunicandi. Ho cercato di capire perché questi cambiamenti la sconvolgessero tanto, che cosa cambiasse nella sostanza del suo incontro con il suo Dio.
Ma era chiaro che parlavamo due lingue diverse. Io ipotizzavo che il puro sentimento della sua fede e della sua comunione con il suo Dio potesse essere sufficiente, lei mi ha replicato, un po' scandalizzata, che la fede non è un "fai da te" e che da secoli e secoli l'ostia viene deposta sulla lingua ed è questo che dà davvero il senso della comunione.
Mi sono ritirata in buon ordine. Ma ho riflettuto sulla potenza del rito. E, di converso, sul mio fastidio per i riti stessi.

Non che io ignori l'importanza del rito in tutte le civiltà, ma li sento come gabbie -quello che in un certo senso sono, cioè percorsi obbligati per incanalare sentimenti ed emozioni in momenti cruciali dell'esistenza (ad esempio i funerali). Dei regolatori, quasi, dei nostri spiriti irrazionali, che possono essere depotenziati o accresciuti. Gabbie utilissime, so anche questo. Ma non di meno mi infastidiscono. Però ho lasciato cadere la domanda che avevo sulla punta delle labbra: saresti disposta a prenderti l'influenza per ricevere l'ostia sulla lingua?

giovedì 15 ottobre 2009

dedicato a Bibi.

"I genitori imparano molto dai figli su come affrontare la vita. I figli sono in grado di guastare o migliorare i genitori."

Muriel Spark: I consolatori

Sottoscrivo convintamente.
Da mia figlia ho imparato molto su come affrontare la vita. E molto continuo ad imparare.
Ed è vero che mi ha migliorata. Non solo perché provare amore migliora le persone ma perché lei è una persona... ecco, non so come dire. L'espressione "una bella persona" non mi piace, quella "una brava persona" è terribilmente riduttiva, l'aggettivo "straordinario" non piace a Gugliemo, "speciale" farebbe storcere il naso a lei e lascerebbe scontenta me.
Dirò che lei è una persona e la farò finita qui perché parlare in termini troppo positivi della propria figlia può sembrare una forma di autocompiacimento. E invece non lo sarebbe. Sono e sono sempre stata abbastanza lucida per vedere i difetti delle persone che amavo. Naturalmente continuando ad amarle. Conosco i difetti di mia figlia, non la considero certo perfetta. Ma le sue virtù, altra detestabile parola...diciamo allora "il bello" che c'è in lei è talmente ricco e profondo che i suoi difetti impallidiscono al confronto.
Io sono grata alla vita per avermi dato questa figlia e sono grata a lei per tutto l'aiuto che mi dà e per tutto quello che mi insegna su come affrontare la vita.

Metterei qui una sua foto, ma, qualunque io scegliessi, avrebbe sicuramente da ridire sulla scelta perché mia figlia, questo raro modello di perfezione, è molto vanitosa...

ciuf, ciuf...

Si possono comandare i sogni? Sì, si può. Io può. Non è proprio un'ordinazione à la carte, ma insomma...
Ad esempio, quando sento che il sonno sta arrivando, ripercorro dentro di me un certo libro. In pratica, spenta la luce, mi metto a ripassare mentalmente certi passaggi; soprattutto richiamo alla mente gli ambienti, interni ed esterni, i personaggi, i vestiti, le suppellettili ecc. Spessissimo, molto più spesso di quanto si potrebbe immaginare, quando mi addormento piombo dritta dentro quell'ambiente e incontro quei personaggi.
Naturalmente il mio cervello fa, degli elementi che io gli ho proposto proprio prima di addormentarmi, quel che vuole, ci gioca come se fossero i pezzi di Lego.
Mescola, ingarbuglia, assembla come gli pare, secondo regole sintattiche tutte sue.
Tutto questo sembrerebbe fin troppo ovvio se non fosse che, prima di addormentarmi, io ho fatto una lettura completamente diversa da quella che "ripasso". E mi spiego.

L'ultimo sogno "su misura" è recentissimo. Sto rileggendo La recherche e sono arrivata al V volume, La prigioniera. Ma trovarmi nella casa di Marcel, prigioniera assieme ad Albertine della sua ossessiva gelosia senza amore, non mi diverte, così, spenta la luce, preferisco richiamare alla mente dei passi del IV volume, Sodoma e Gomorra, terminato qualche giorno fa'. (E' il volume dove appaiono le famose "intermittenze del cuore" e tutta una serie di altre intermittenze). Lì è tutto un andare a zonzo sul famoso trenino di Balbec, attraverso paesaggi a mezzacosta e rive marine. E poi c'è una vera collezione di personaggi diversissimi che salgono e scendono dal treno e conversano alle fermate o si scambiano visite nelle carrozze, come se il treno fosse un palcoscenico sul quale si affacciano di volta in volta attori diversi con le loro battute. E' una parte del libro che mi piace particolarmente: i paesaggi cambiano, le conversazioni fioriscono, si intravedono dame in elegantissime toilettes, uomini con sciarpe colorate e sigari di marca, insomma tutto un mondo decadente e in fondo perfettamente inutile, fatto apposta per un sogno. E così, chiusi gli occhi, lo richiamo a me. Beh, potete crederci o no, ma ho passato una notte deliziosa su quel trenino! Sì, alla fine il treno urtava frontalmente contro un delfino grande come una collina, che rideva come un pazzo e sputacchiava tutto intorno inzaccherando l'abito della principessa Sherbatof, ma, a parte questo trascurabile incidente, la gita è stato un vero successo.
Penso che una notte o l'altra riprenderò quel trenino...

PS. Già che ci sono metto qui una piccola citazione da Sodoma e Gomorra dove Proust si limita a ricordarci qualche cosa che, in fondo, ognuno di noi sa benissimo. La mette solo come inciso, tanto gli sembra assodata.

"...di fronte agli estranei -fra i quali bisogna sempre contare quello cui più mentiamo perché è quello da cui più ci sarebbe penoso esser disprezzati: il nostro stesso io..."

E' detto molto bene, no?

martedì 13 ottobre 2009

il prezzo giusto

Mi fermo a prendere un caffè in un bar che è anche panetteria, pasticceria e un fornitissimo emporio alimentare. Risi, farine, spezie, salse, specialità di ogni regione italiana e di molti paesi del mondo. Il bancone è gremito e così gironzolo un po' tra gli scaffali; però non compro niente. Dieci grammi di semi di sesamo costano 2 euro e cinquanta! Il furto è la loro vera specialità. E poi a poca distanza ho il mio fornitore di fiducia di prodotti alimentari di tutto il mondo, fornitore di fiducia anche delle comunità orientali, medio orientali e latino-americane di Roma.
Curiosando tra gli scaffali scopro un prodotto nuovo, mai visto né sentito: molochia, una polvere di spinaci selvatici. Importato dalla Francia che a sua volta lo importa dall'Egitto. Resisto a stento alla tentazione di provarlo. Chiedo permesso ad un signore per accostarmi ad uno scaffale: si fa da parte sorridendo ed esclama: -Lei è la padrona! -Magari! gli rispondo. Infatti il negozio fa soldi a palate. Inizia una conversazione un po' paradossale in cui lui mi descrive tutti gli inconvenienti esistenziali che si patiscono ad essere davvero la padrona di quel negozio: gestire tutto quel personale perennemente incavolato, sorridere al flusso continuo di avventori, far fronte all'invidia dei parenti magnanimamente impiegati nell'esercizio e trattati come schiavi, controllare continuamente che i clienti non si portino via qualche articolo e, "naturalmente" dice "incassare, incassare, incassare tutto quel denaro." -E poi, l'ha vista bene? mi chiede abbassando la voce e indicandomi la proprietaria. La donna ha un grande collo taurino, occhi astuti e sospettosi, capelli di stoppa e l'incedere di un panzer-Altroché- gli rispondo-mi ha fatto avances per anni! -Anche a mia moglie! ride lui. Questo particolare cementa una nascente complicità se non un'amicizia e facilita un'ulteriore confidenza. "Spesso mio marito non paga il caffé, così, per protesta nei confronti dei prezzi" gli confesso. "Oh, ma io non pago MAI il caffé!-esclama orgoglioso. -Lo considero incluso nel prezzo degli altri acquisti. Anzi, ne prende uno? -Volentieri, ero entrata proprio per questo. Beviamo il nostro caffé conversando amabilmente. Abita poco più su, sul grande viale; ex dirigente dell'Eni in pensione ha molto viaggiato e ha il gusto per i sapori orientali; la moglie sta facendo acquisti nel negozio di informatica di fronte: utente Mac, altra complicità. Usciamo disinvoltamente insieme.
Fuori, ai saluti, gli dico: -Grazie per il caffé, anche se non l' ha pagato! -Beh, la prossima volta che c'incontreremo non lo pagherà lei!
Quando racconto l'episodio a mio marito, che rimprovero sempre per i suoi furti alla caffeina, esclama trionfante: Adesso ti sei convinta che il caffè da P. non si paga?

Tornata a casa ho scoperto che la farina di spinaci viene usata in Alto Adige per fare gli spätzle. Forse è per questo che i prezzi sono così alti: gli spinaci altoatesini vanno prima in Egitto, quindi in Francia e poi tornano in Italia!

sabato 10 ottobre 2009

citazioni

"Eh, amico mio, è un fatto che soltanto il male ci spinge a osservare, a imparare, e ci permette di scomporre i meccanismi che altrimenti non potremmo conoscere. L'uomo che ogni sera cade come una massa inerte nel suo letto e non vive più fino al momento di svegliarsi e di alzarsi, come potrà fare, non dico grandi scoperte, ma almeno qualche piccola osservazione sul sonno? E' già molto se sa di dormire. Una certa insonnia non è inutile per apprezzare il sonno e proiettare un poco di luce in questa tenebra." Marcel Proust: Sodoma e Gomorra

Probabilmente Freud soffriva di insonnia...


PS che non c'entra niente. La semi-influenza è stata prontamente debellata ma mi manca il tempo per scrivere.

mercoledì 7 ottobre 2009

martedì 6 ottobre 2009

l'ultima dea

Roma, Foro Olitorio: resti del tempio della Dea Speranza






Philip Roth: Indignazione - Einaudi 2009

"Cerca di essere più grande dei tuoi sentimenti. Non sono io che te lo chiedo, ma la vita. Altrimenti finirai spazzato via dai tuoi sentimenti. Spazzato via senza poter più tornare indietro. I sentimenti possono essere il più grande dei problemi. I sentimenti possono giocare gli scherzi più crudeli." (il corsivo non è mio)

Quando ho incontrato questa frase mi sono fermata. E l'ho riletta. Alzava tanta polvere dentro di me.
Mi sono interrogata: che cosa significa, realmente, essere più grande dei propri sentimenti?

Ho riletto un po' di definizioni su dizionari della lingua e su dizionari di filosofia, psicologia, psicanalisi. Evitando i tecnicismi, filosofi, psicologi e psicanalisti concordano, grosso modo, sul fatto che i sentimenti sono stati affettivi della coscienza, colorano, segnano, danno una particolare tonalità alle nostre sensazioni, ai nostri pensieri, alle nostre idee e alle nostre rappresentazioni. Dunque alle nostre scelte, alle nostre azioni, alle nostre condotte?

Quando si tratta di sentimenti a me piace rileggere il libro Teoria dei sentimenti di Agnes Heller. E' un lavoro di analisi vasto e profondo, che fa appello anche al corpus letterario. Benché sia un libro di trent'anni fa ha ancora moltissimo da insegnare.
Del resto la riflessione teorica sui sentimenti è ancora oggi ferma all'impostazione che ha avuto lungo tutto il secolo XX: ruota cioè intorno al rapporto tra sentimento e pensiero, fra sentimento e razionalità.

Sia che ci si disponga a credere il sentimento un fattore di disturbo dell'agire razionale rispetto allo scopo come in Freud (l'organo del pensiero o dell'agire razionale rispetto allo scopo è l'Io, assalito da due lati, dagli affetti-istinti (Es) da una parte e dalla "cultura morale" (Super-io) dall'altra); sia che, al contrario, sia il pensiero razionale a venir classificato fattore di disturbo come in Jung ("Niente tuttavia disturba tanto il sentimento quanto il pensiero"), sembra che questo nodo non possa essere in nessun modo sciolto. E che ci stringa sempre.

"L'uomo è certamente un'essenza unitaria", dice la Heller, "però la personalità è scissa."
"La personalità unitaria", dice ancora la Heller, "esiste solo come tendenza, e solo come eccezione."

Il nodo dunque riguarda ognuno di noi e ci accompagna nella nostra vita.

In questa contrapposizione il personaggio di Philip Roth (una madre che parla al figlio ventenne) sembra collocarsi sul versante del pensiero.
Ma non ciecamente direi. Non c'è disprezzo nelle sue parole, ma allarme.
La donna non dice al figlio di ignorare i suoi sentimenti, di negarli, di disprezzarli. Ma di stare in guardia. Non esprime una condanna ma un avvertimento. "I sentimenti possono giocare gli scherzi più crudeli".

E usa questa espressione così particolare: cerca di essere più grande dei tuoi sentimenti.

Come si fa ad essere più grandi di un nostro moto interno, forte, pulsante?
Come possiamo accogliere i nostri sentimenti ma non esserne in balia?
Rispettarli ma non farcene accecare?
Guidare noi, cioè il centro del nostro essere, la barca, senza derivare -andare alla deriva?

Ma il centro del nostro essere nella realtà non esiste, dice la Heller. E' solo un'aspirazione, una tendenza, una risultante mai fissata una volta per tutte.

La scissione dunque resta e noi, tirati da forze diverse, con sirene diverse che ci parlano con voci diverse, dobbiamo mantenere una rotta difficile.
Abbiamo uno scopo. Abbiamo di volta in volta molti scopi, ma abbiamo fondamentalmente uno scopo: essere noi e fare nostra la vita. (Non "fare la nostra vita", ché questo è semplicemente inevitabile).

Allora forse -forse- essere più grandi dei nostri sentimenti significa tenere l'occhio fisso allo scopo e dominare quei sentimenti che, malgrado una illusione di soddisfacimento immediato, ci allontanano dal nostro vero scopo: essere noi e fare nostra la vita.

Sì, penso che Philip Roth abbia inteso dire questo.

Ma che cosa accade se per riconoscerci, per sapere come è questo noi e qual è la vita davvero nostra, impieghiamo -e spesso accade- l'intera vita? O gran parte di essa?
In questo lungo, lento processo di chiarimento accade spesso che i sentimenti ci ingannino, ci distolgano dallo scopo o che a farlo siano invece quelle istanze interiorizzate, codici comportamentali e giudizi di valore, che troviamo pronti ad accoglierci alla nostra nascita -sì con papà Freud mi sento più a mio agio, pur con tutti i limiti imposti al suo pensiero da quasi un secolo di critica riflessione e ricerca-

A questo Philip Roth risponde: non potrai più tornare indietro.

Che cosa non darei per incontrare Philip Roth, per discutere per lui quel fenomeno per molti aspetti sorprendente, per cui, qualunque scoperta su di noi, anche se arrivata tardi, anche se dovesse inficiare gran parte del cammino della nostra vita, ci dà un senso di soddisfazione, di arricchimento, di crescita.
Come se di fronte a noi avessimo ancora tutta la vita davanti e le recenti scoperte potessero ancora modellarla e indirizzarla felicemente allo scopo.
O come se il vero rovello della nostra vita, più ancora che il raggiungimento dello scopo, fosse conoscerci, avere di noi stessi una più profonda consapevolezza e della nostra vita trascorsa una più profonda conoscenza.

O forse questo fenomeno si chiama semplicemente speranza. Ed è lei, l'ultima dea, a farcene dono.

lunedì 5 ottobre 2009

ricordare Gino Giugni



Anche questo è un addio triste. Ma è anche un addio grato al padre dello Statuto dei Lavoratori.

dispiaciuta

Cara Annamaria, sono tornata al tuo blog e l'ho trovato chiuso. Desidero solo dirti che mi è dispiaciuto perché era molto bello, ricco di stimoli, suggestioni, pensieri.
Non ho altro modo per mettermi in contatto con te: spero solo che, passando di qui, tu legga il mio saluto.
marina

lingua in transito


Più ancora di un aeroporto -almeno per me - il vero luogo del partire è una stazione ferroviaria.
A dispetto dell'etimologia del suo nome, che indica lo stare, e scende giù dritto come una spada dal verbo latino sto, as, steti, statum, stare il vero luogo del movimento, dell'andare, è una stazione ferroviaria.
Naturalmente può essere anche luogo dello stare (come sanno molti senzatetto), ma transitoriamente, provvisoriamente. Nelle stazioni, più che altrove, siamo tutti transitori.
Tutti gli incontri nelle stazioni sono brevi, frettolosi, ci si saluta mentre già ci si allontana.
Talvolta si beve un caffè insieme e poi si corre ognuno al proprio treno.
Scrittori e cineasti indulgono ad ambientare nelle stazioni soprattutto scene di addii.
Braccia che salutano dai finestrini, rincorse affannose di treni e lacrime mentre il treno fugge, in genere verso una galleria che inghiottirà i sogni, le speranze, gli amori.
(E' vero, da Casablanca in poi, anche negli aeroporti ci si saluta molto bene. Ma, per quanto io mi ricordi, negli aeroporti dei libri e dei film essenzialmente ci si ricongiunge. Grandi corse verso il gate e abbracci catartici all'ultima chiamata. Sembra che l'aeroporto si presti di più al il lieto fine).

Ci sono però nella nostra vita anche stazioni in cui si resta. Persino dopo che le si è lasciate.
Allora diventano luogo in cui ci si trattiene.
Magari a colloquio con i ricordi, con il passato, con il nostro io di altri tempi.
E il caffè si raffredda nella tazzina.

domenica 4 ottobre 2009

noterella

Possibile che nessuno abbia pensato a regalare a Di Pietro una copia della Costituzione della Repubblica Italiana?

Io credo che se il Presidente della Repubblica mi desse ragione ma lo facesse venendo meno al suo mandato di garante della Costituzione -nei modi che la Costituzione stessa gli indica- potrei forse essere lieta della sua decisione ma avrei meno fiducia in lui e mi sentirei meno garantita.


rivoluzione linguistica

Dal "futuro incantato" della poesia di Ted Hughes, con la vostra fattiva collaborazione, sono germogliati i seguenti tempi e modi grammatical-esistenziali:

il passato permanente
il presente complicato
l'imperfetto costante


il condizionale obbligato
l'infinito terrifico
l'imperativo ignorato

il futuro assente
il futuro così così

il presente meditante
il passato infastidente
il futuro balbettante
il congiuntivo vaticinante
il condizionale limitante

l'infinito interrogante
il passato impedente

il futuro trasportante
il presente invocante

il futuro realizzato
il passato rimosso
il presente mistificato
il futuro negato
il futuro breve

l'infinito indeciso
il presente paralizzante
il presente deluso
il futuro incerto


E' tutta farina del vostro sacco, amici.
Oggi io però, in quanto corista, voglio aggiungerne un altro: il presente cantato.
Lo faccio come gesto di fiducia, per me e per tutti voi. Giacché di fiducia, nei tempi presenti, c'è grande bisogno.
in amicizia, marina

sabato 3 ottobre 2009

No all'informazione al guinzaglio

"Un consorzio umano dove non possono avere libera voce le dissidenze e le eresie, dove chi pensa diversamente dagli altri è guardato con sospetto, o non ha mezzo per divulgare le proprie idee, o non trova lavoro, o, se lo ha, rischia di perderlo, dove lentamente il libero cielo è oscurato da una grigia, impalpabile cappa di conformismo (...), non è un consorzio che possa vivere e fiorire nella libertà, pur se rimangono formalmente intatti gli ordinamenti liberali."
Alessandro Galante Garrone - 1961
da La Stampa

venerdì 2 ottobre 2009

mantra fatto in casa

Ravenna- Particolare della volta di Galla Placidia - V secolo



Ognuno, credo, ha un qualche suo mantra privato. Per nulla canonico ma ugualmente efficace.
Intendo quelle parole, o sillabe o frasi brevissime, che ci vengono alle labbra in momenti in cui abbiamo bisogno di soccorso e lanciamo un s.o.s.

Questo ufficio lo fanno spesso alcune brevissime formule o invocazioni religiose, su labbra credenti e non credenti.

Un "Dio, aiutami tu" mormorato o pensato intensamente può scappare al più convinto agnostico. Come pure un "Oddio, oddio, oddio".
Ed anche "Madonna mia!" pronunciata senza ironia ma con accalorato bisogno. Non è una mia ipotesi, io so davvero di persone non credenti cui sfuggono queste invocazioni sotto l'urto dell'angoscia.
Mentre i devoti alzano l'invocazione al Santo preferito, ne ripetono più volte il nome, sperando di depositare per un po' il peso della loro angoscia sulle spalle di San Gennaro o di Santa Rita o di San Giuseppe e così via.

Spesso sono retaggi infantili, che riaffiorano in momenti particolarmente difficili.
Infatti, nell'angoscia e nel dolore, si torna bambini, desiderosi di affidarci a qualcuno che si prenda cura di noi. Qualcuno di potente.
E chi c'è per un bambino di più potente di un genitore?
Così spesso, malati, feriti o morenti, invocano "mamma". L'estrema protezione, sopra la quale non ce n'è un'altra.
L'invocazione "mamma" può sorgere anche in situazioni meno estreme, eppure angosciose, dolorose, di smarrimento.
Ripetute, queste invocazioni, fungono da mantra. Da un lato ci inducono la sensazione di avere un alleato da qualche parte, qualcuno cui possiamo appellarci, qualcuno che farà un po' della nostra fatica, sopporterà un po' della nostra paura e del nostro dolore e ci aiuterà ad andare avanti. Dall'altro funzionano tecnicamente, proprio per effetto della ripetizione.
Certo non funzionano nel senso che Iddio o San Gennaro o mamma o la Madonna distoglieranno il loro sguardo dalle loro faccende per occuparsi di noi, e risolvere il nostro problema, - o che noi lo crediamo realmente- ma nel senso che l'affidarsi, sia pure per attimi, contribuirà ad allentare l'angoscia, a spazzare via dalla nostra mente lo sgomento e ci restituirà un po' più stabili e fiduciosi di noi, più disposti a batterci per superare la prova. Insomma dal nostro mantra attingeremo insieme sollievo e incoraggiamento.
Il mantra viene ripetuto più volte, certo non nella forma canonica di un tibetano o di un indiano, ma comunque ripetuto più volte, forse nel traffico, con lo sguardo un po' fisso e rivolto al nostro interno, o stando seduti nella sala d'attesa di un aeroporto o sdraiati, occhi al soffitto.
Io so per certo che, oltre a quelle citate, abbastanza comuni, molte persone hanno piccole frasi, quasi formule, con cui si incoraggiano e cui si affidano. Un tempo avevo preso a raccogliere quelle che sorprendevo sulle labbra di amici e conoscenti. Un mio mitissimo amico, se sconvolto, ripeteva come in trance: "tirami su, tirami su, tirami su" finché davvero si risollevava. Non ha mai voluto dirmi a chi chiedeva di tirarlo su.
Questi mantra personali sono spesso diretti a qualcuno che rappresenta o ha rappresentato un sostegno nella nostra vita. Ma possono essere, e spessissimo sono, brevi esortazioni a noi stessi, che ci ripetiamo, più e più volte, fino a sentircele penetrare dentro placandoci o irrobustendoci.

Tecnicamente non sono preghiere -la preghiera è un auspicio, dicono i linguisti che si occupano dell'analisi del linguaggio; è invece proprio un esercizio di reiterazione, con il quale proviamo ad addormentare la nostra ansia, ad allentare la morsa dell'angoscia o della paura o del dolore. Per questo ripetiamo la nostra formula, perché la ripetizione -dello stesso movimento o della stessa frase- ha, da sola, un effetto calmante. Fin da quando eravamo bambini e ci mormoravano piccole frasi consolatorie o ci accarezzavano ritmicamente un braccio o la fronte. La ripetizione ritmica, instillando la certezza che quella frase tornerà al nostro orecchio, quella mano ripasserà sullo stesso punto del nostro corpo, invariabilmente, ci dà sicurezza, ci rassicura, ci induce calma e, nel bambino, il sonno. Inoltre ci prende dentro un andare ritmico che agisce come ipnotico.
La ripetizione di una piccola frase, tutta nostra, ha lo stesso effetto.

Nel tempo io ho avuto diversi mantra. Ne avevo da bambina -sono stata una bambina molto bisognosa di mantra- e poi da adolescente -sono stata un'adolescente e dico tutto- e lungo la mia vita da adulta ne ho trovati altri dentro di me.
E sono pronta a scommettere che anche voi li abbiate. Pensate a quelle esclamazioni che vi vengono da dentro spontaneamente e che ripetete a fior di labbra, tra di voi. Quello è il vostro mantra.

Se poi di mantra non ne avete, procuratevene uno, date retta a me.
Uno fatto in casa, non occorre andare molto lontano: la maggioranza delle nostre risorse sta dentro di noi, non nelle valli tibetane.