domenica 20 settembre 2009

pensieri distaccatisi da una poesia

Ted Hughes-
da: Lettere di compleanno, la raccolta di poesie in cui il poeta racconta, dopo trenta anni, la storia del suo amore e del suo matrimonio con Sylvia Plath.


Il tappeto di treccia

Ne avevi ammirato uno fatto da non so chi.
E cominciasti a fare il tuo tappeto di treccia.
Avevi bisogno di quel lavoro. Abusata dai fulmini,
avevi bisogno di una terra. Forse. Oppure bisogno
di estrarre qualcosa da dentro di te-
un qualche verme solitario della psiche. Quanto a me,
ero felice di guardare l'audacia delle tue forbici
mentre tagliavi a strisce i tuoi vecchi vestiti di lana,
gli abiti smessi, un tempo tanto costosi,
facendone bende. Scuro sangue venoso,
giallo narciso. Le intrecciasti
in una corda. Le massaggiasti
e prese vita una vipera multicolore
che sgusciò fuori dalla tomba
del tuo armadio. Come la fasciatura sepolta
di antichi non-io mummie. Ti chinavi
come un vasaio
sul perno del tuo sgargiante tappeto di treccia
che allargava la ruota,
scoprendo il perimetro di una musica-
le lingue dei capi liberi guizzavano nell'aria,
sgorgando come una fuga dalle volute
dei tuoi polpastrelli. Ti calmava
creare il serpente che si avvolgeva in spire
diventando tappeto. E il tappeto,
girando e rigirando su se stesso, ci portava via
da quella stanza cremisi dei nostri giorni cardiaci.
Mi liberava. Ti liberava
per fare qualcosa che sembrava quasi nulla.
..............

Più tardi (non molto)
il tuo diario confidò a chiunque
di quali furie insanguinasti quel tappeto.
Quasi te lo fossi estratto a forza, come viscere,
dall'ombelico...."


Sono ammirevoli i lavori femminili. Sono fantastici, ricchi, esorbitanti di vita. Sono bellissimi, preziosi, delicati, sapienti. E insanguinati. Tutti.
Dalle mani delle donne escono capolavori che incanteranno il mondo intorno a loro.
Ma il mondo non lo chiamerà lavoro intellettuale.
Eppure lo è.
Ogni donna, io credo -anche se non ne ha mai fatto uno- ha fatto uscire dalle sue mani un "tappeto di treccia". Comunque si chiamasse e qualunque aspetto prendesse.
Lavori a maglia, crochet, tappeti, ricami, trine, maglioni morbidi, golfini setosi, tende sontuose,
coperte iridate e le presine, le piccole, modeste presine, ridicole nel loro spasimo di vita.
Dove va la mente di una donna quando conta i punti, quando sceglie una matassa, quando accosta due colori? Quando guasta? Quando torna con tenacia, le labbra strette, sulla stessa maglia caduta? Quando è china, forbici tra le mani, sulla pezza che scivola dal tavolo?
Quanta filosofia, poesia, scienza fluisce da quelle mani sotto forma di un tappeto di treccia?
Quanti continenti non sono stati esplorati perché alzasse contro la finestra quella tenda filet?
Quanti romanzi, quanti dipinti non hanno mai visto la luce?


Dunque tutte Newton, tutte Flaubert, tutte Matisse? tutte Kant, tutte Bach, tutte Churchill? O solo il trenta per cento? o il venti? o il cinque? o lo zero virgola uno?
Ha importanza? Questa aritmetica è offensiva e violenta. E priva di ogni significato.
Dove c'è desiderio là dev'esserci spazio e tempo. Dove c'è energia là non può esserci costrizione, impedimento.
Dove c'è bisogno là dev'esserci semplice possibilità.
Semplice possibilità. Non piango su capolavori inespressi ma su semplici schegge di creatività, ognuna degna del suo piccolo spazio di tempo, della sua piccola occasione.

Mia madre -le sue mani- hanno espresso in tutta la sua vita una creatività, un bisogno di uscire da se stessa e dai confini della sua vita, che tengo sempre a mente -sempre- quando misuro, senza indulgenze, l'urto di quella donna inespressa ma ricchissima di sostanza su di me, su sua figlia. Chi era veramente mia madre? Per essere chi, che cosa, era nata mia madre? Non medica, ma porta chiarezza questo pensiero. E giustizia. Non assolve, ma dà ragione. Molto spesso trovare la ragione scioglie nodi tormentosi, mordenti, devastanti. O anche no, non scioglie niente ma spiega la nostra storia e restituisce ordine e comprensibilità al mondo. Come sempre accade -non fatevi ingannare da linguaggi fantasiosi e aggrovigliati- quando la nostra mente razionale trova un filo e una consequenzialità. Il semplice buon rapporto tra causa ed effetto, la sana, modesta e dignitosa ricostruzione storica. Che può spingersi molto lontano nel tempo -generazioni di donne- e nello spazio -la società.
Senza mai perdere di vista la nostra essenza più misteriosa, organismo e anima, spirito e neuroni.
Qualche volta guardare i "tappeti di treccia" di nostra madre -la loro straordinaria ricchezza, bellezza, varietà- ci dice di noi, della nostra vita, molto più che lunghe sedute di autocoscienza, davanti allo specchio dei nostri malesseri.


Io penso che tutte le "opre femminili" andrebbero bruciate -un grande falò con le fiamme fino al cielo e incandescenze a raggio per miglia e miglia. Ad ogni latitudine dovrebbero vederlo.
E poi, solo poi, andrebbero rifatte. Dopo. In un giorno diverso, quando potranno non essere più "qualche verme solitario della psiche", né i "lavori dell'ergastolano" come ho sentito un uomo chiamarle.
Quando le donne vi torneranno dopo aver esplorato le loro semplici possibilità.
Quando non vi si riverserà più un sangue denso come quello di san Gennaro ma un libero, fresco sangue di vita, la linfa di una scelta felice.
Allora le donne potranno tornare a fare quel "qualcosa che sembra quasi nulla".





Mia madre, in attesa di marina, lavora a maglia.

18 commenti:

  1. Dalla foto sembra proprio una grande mamma :-)

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  2. ...non c'è niente da fare Marina...certe tue pagine danno il piacere di certe opere d'arte. Riflessioni interessanti. La mia generazione è cresciuta contrapponendosi ai lavori manuali femminili, pensati come riduttivi. Forse si è andate a cercare la creatività altrove...La foto è stupenda!Buona giornata :-)

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  3. Davvero uno splendido post, il cui messaggio condivido. Pensare che andare a lavorare in una fabbrica sia una promozione rispetto agli umili, ma creativi lavori domestici, è follia allo stato puro! E' solo una necessità impostaci dagli sviluppi tecnologici nell'ambito del capitalismo.

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  4. ...condivido quello che dici sui "tappeti di treccia", ma non mi piace l'idea del falò.
    Perché tutte quelle "opre femminili", non sono mute, almeno per chi sa ascoltarle.E se il grosso del mondo le ignora, pazienza.

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  5. l'anonimo di sopra è esterhazy

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  6. CIAO MARINA,
    essere donna è portarsi un universo mistero che mai si potrà veramente decifrare se non sfiorandone la dimensione umana percepita.Ci sono sempre due mondi paralleli che viaggiano insieme.Uno comunicabile e facilmente rintracciabile per oggetti,persone, legami dinamiche chiare,logica che ha creato l'immobilità,avvenimenti che hanno portato all'evolversi di un Tempo e poi a concludersi,nel credersi essere o come agli altri appariamo .E c'è quello che non si comunicherà perchè è quello che nel nostro interno sentiamo e che nello stesso modo ci rappresenta.Un mondo che macina gli accadimenti senza dar loro significato e importanza come si fosse spettatori di un'altro sè che mai si risolverà.Nuclei di vita rimasti insoluti e insolventi ben custoditi da "occhiali neri" dietro i quali ci sono ali che sostengono l'innominabile-incomunicabile altra parte di sè (noi) che tutto quell'intero universo forma e contiene.Sappiamo bene che esporre, portare alla luce quella parte sarebbe darsi in pasto a implacabili giudici capaci solo di condannare mai veramente interessati a capire o comunque sia nè ridurrebbero a banalità quello che invece è molecola oscura d'essenza.La nostra essenza.Dietro allora a quegli "occhiali neri" ci sarà sempre un tentativo perennemente frustrato e perennemente rinascente di un RIDEFINIRCI altro e al completo attraverso intuizioni assolutamente NON spartibili giacchè quella è la parte più intima dell'essere che non ammette sbaglio d'analisi o di interpretazione,solo ricerca di un bandolo d'esistenza che diventa ESPERIENZA di sapere di un qualcosa che c'è,vive ed è ACCETTATA perchè inscindibile dall'altro mondo parallelo desideroso solo di grazia assolutoria anche con tributi di " furie insanguinate".Molto profondo toccante vero questo post come toccante vera profonda è la foto che hai postato.Bianca 2007

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  7. grazie Bianca, i "nuclei di vita rimasti insoluti" spesso s'infettano e propagano dolore. Quanto lavoro occorre fare per non trasmettere infezioni alle nostre figlie!
    ti ringrazio per il tuo intervento, marina

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  8. il tuo brano è bellissimo e così denso che le emozioni che mi hanno investita mi terrano impegnata per un pò.
    quando faccio quel "qualcosa che sembra nulla" ho imparato, nel tempo, a cosiderarli "i miei tesori".
    ciao s.

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  9. Saper fare un un "tappeto di treccia", saper muovere le mani e creare anche piccole cose, è meraviglioso. Occorrono attenzione, passione, pazienza, creatività, intelligenza, gusto e altro ancora.
    Soltanto le persone superficiali possono svalutare tutta la ricchezza mentale che c'è dietro a queste cose.

    Bellissimo post, molto profondo.
    E bellissima anche la foto di tua madre, particolarmente intensa. :)

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  10. Mi ha colpito moltissimo la somiglianza fra tua madre e te: una somiglianza abissale, tanto è profonda, e bada bene, non solo fisica...
    Poi ho sentito distintamente che quando eri nella pancia di tua mamma sentivi benissimo il suo sferruzzare e già allora ne percepivi il significato profondo. Ti ho immaginato dentro la sua pancia coi tuoi mini-ferrettini da maglia nella sua stessa identica posizione, tenace e vitale.

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  11. Ciao, Marina.
    Ho trovato bellissimo e molto intenso questo tuo post. Vorrei chiederti il permesso di riportarlo integralmente sul mio blog, citando naturalmente la fonte.

    Mi autorizzi?
    Grazie
    Annamaria

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  12. Mi sto chiedendo qual e' il mio tappeto di treccia, visto che con le mie manine inette non ho mai saputo fare niente.

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  13. una bellissima foto, c'è un abbandono nella posa, una resa all'evento, un'attesa placida.

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  14. ciao Annamaria, naturalmente puoi riportare il mio post sul tuo blog. Anzi mi sto già pavoneggiando :-)
    ora visito il tuo
    grazie, marina

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  15. Sono felice di aver potuto condividere, Marina.
    Grazie
    Annamaria

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  16. Un post semplicemente stupendo, se non altro per le considerazioni davvero nuove che muovi intorno a questo aspetto dell'espressione creativa al femminile.
    Nella mia esperienza di irrequieta e smaniosa di vita quei lavori rappresentavano e rappresentano ancor oggi, sia pure in modo meno esasperato, l'antitesi al mio modo di sentire la vita: star ferma a ripetere infinite volte un infinità di piccolissimi gesti legati tra loro.
    Non l'ho mai sentito congeniale al mio spirito, sebbene la creatività mi faccia saltare di gioia: quella dimensione domestica, quieta fino a sfiorare l'immobilità, mi sembrava e mi sembra tuttora un modo per tenere qualcuno in un angolo in disparte affinché riversi nei piccoli movimenti ripetuti tutta l'energia per quanto (tanto) ci sarebbe da fare, rivoluzione compresa (permettimi quest'ironia solo parzialmente auto-referenziale).
    Ecco, con questo forte condizionamento "ideo-(il)-logico", derivato più dal mio carattere che dall'esperienza visto che non sono mai stata spronata a quel tipo di lavori, ho letto il tuo post e mi si sono riaperti capitoli ed enciclopedie di riflessioni, al punto che fatico a riordinarle, al punto che forse ne trarrò un post mentre tu dirai...e te pareva!
    Un bacione

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  17. @Tereza: e te pareva!
    Secondo me i lavori femminili sono insieme espressione della creatività femminile e della costrizione femminile. Valvole di sfogo di interi mondi. La donna che si dava ai "lavori degli ergastolani" sono io, naturalmente. E non posso fare a meno di chiedermi cos'altro potrebbe uscire dalle mani e dalle teste delle donne al posto ed in più dei lavori femminili.
    Che conservano il loro straordinario valore ma, secondo me, macchiato dal sacrificio di tante altre potenzialità.
    Detto proprio in soldoni.
    ti abbraccio, marina

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  18. Cara Marina, con queste righe hai dato forza e vigore ad alcuni miei piccoli ragionamenti.. cose che mi trovo a pensare spesso ma che poi sfumano velocemente..
    La vita di una donna, anche la mia, è ricca di piccoli lavori che passano inosservati.. e molti sono delle vere e proprie "opere d'arte".. Le ho sempre notate, ad esempio, nei ricami che faceva mia madre sui miei vestitini, quand'ero piccola.. e poi dipingeva.. e lo stesso gesto di cucinare, di disporre le pietanze in tavola, aveva un non so che di artistico (mi ricordo sempre che sembrava anche accostare il colore dei vari cibi..cioè non sembrava casuale!!!).. ed ora sono cose che noto in me.. quando scrivo, quando disegno e dipingo.. (i ricami, quelli non ho mai provati a farlo..ma prima o poi..)
    ..insomma.. tutto questo verrà visto da qualcuno?..o da molti?.. io credo di no.. sarebbe impossibile.. sulla terra siamo in troppe.. credo invece, che ogni piccolo lavoretto sia "utile" prima di tutto a noi stesse.. quando dipingo mi sento appagata..provo dei forti sentimenti.. ovviamente mi piace che qualcuno guardi la mia opera..ma la prima persona a cui piace sono io..

    Non importa avere il giudizio d'altri..
    L'opera serve al realizzatore dell'opera..

    Viola

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