giovedì 6 agosto 2009

gratitudine

La gratitudine è un sentimento forte e delicato. E’ forte perché è impossibile respingerlo persino nel caso in cui non lo volessimo provare, in cui improvvisamente si affacciasse in noi nei confronti di un “nemico”; è delicato perché si solleva dal nostro cuore come una marea notturna, lo gonfia dolcemente, teneramente.
La gratitudine, più di ogni altro sentimento, chiede di essere dichiarata. Solo l’amore ha questa stessa impellenza di dirsi, di comunicarsi.
La gratitudine va dichiarata e lo sa. Ma non sempre la dichiariamo. E questo è forse da addebitare alle nostre trascuratezze, agli orgogli, alla mancanza di umiltà, alla illusione che ci sarà sempre tempo per farlo.
Io mi sento di ammonirvi: dichiarate la vostra gratitudine senza esitazioni.


Ora che il Professore non c’è più la mia sola consolazione –ma consolazione non è la parola giusta e la parola giusta non la so- risiede nell’avergli dichiarato la mia gratitudine.
Questo non lenisce il dolore, e neanche scalfisce il senso di perdita. E’ piuttosto un senso di sollievo, un sospiro quasi con cui mi dico: gliel’ho detto, l’ho scritto, nero su bianco e lui lo ha letto.
E immagino persino il sorriso con cui il Professore lo ha letto.
Immaginiamo sempre tante cose delle persone che ci rinsegnano a vivere. Ma alcune, più che immaginarle, le sappiamo. Quel sorriso io lo so.

In questi giorni sui giornali molte persone, più o meno qualificate, hanno scritto il loro ricordo e la loro testimonianza per Giovanni Jervis. E in molti di quegli articoli io l' ho riconosciuto. Ma ho sentito che mancava una voce che parlasse per me e che veniva taciuto di lui qualche cosa di molto significativo, di decisivo anzi: il suo modo di essere “medico”. Questa parola, svilita da una mala pratica diffusa, è, alla sua radice, una parola bellissima e particolarmente significativa. Anche il Professore l’amava e sapeva realizzarla nel suo senso più umano e più nobile: sapeva "medicare".
In questi giorni ho pensato molto ai suoi pazienti, ai miei colleghi in malattia che, fortunati nella sfortuna di star male, hanno incontrato lui sulla loro strada di sofferenza e oggi sento che potrei piangerlo solo con uno di loro. Con qualcuno che, come me, lo abbia conosciuto nel colloquio terapeutico che con lui era, innanzitutto, incontro umano. Un incontro sostenuto da una intelligenza vivissima, da una chiarezza di pensiero straordinarie, e da una cultura così vasta e profonda che arricchiva per semplice “esposizione”. Ma un incontro le cui principali qualità erano l’intensità della sua partecipazione e la delicatezza del tratto, la distanza esatta tra la “com-passione” e la lucidità, qualche cosa di non scomponibile il cui risultato era che ci si sentiva una persona anche quando non si credeva più di esserlo.
Io vorrei che questa sua capacità, umana e professionale insieme, e che il Professore non chiamerebbe MAI arte, trovasse pubblico riconoscimento e in questi giorni dolorosi mi chiedo che cosa potrei fare perché questo accada senza mancare in alcun modo alla sua lezione di riservatezza.
Il professore era infatti un uomo riservato e discreto; non compariva sui teleschermi, né diceva la sua sui giornali ad ogni stormir di foglia o di fatto di cronaca. Ebbi occasione di ringraziarlo per questo e lui mi confessò che, di fronte ai ripetuti inviti ad intervenire in dibattiti televisivi, si era posto l’interrogativo sull’effetto che questo potesse fare ai suoi pazienti e fu contento di sentire dalla mia voce che la sua scelta così controcorrente era stata giusta.
Vorrei aggiungere qualche osservazione critica su di lui. Il Professore se l' aspetterebbe, l’esigerebbe anzi, perché il dubbio, a partire da se stesso, era l’essenza del suo “ragionamento”. Ma mi scuserà, e mi scuserà chi mi legge, se di lui non so, non posso, dire altro che bene.
Non addebitatelo al mio affetto né alla mia gratitudine, che pure sono grandi, ma accreditatelo solo alla sua qualità umana.
Grazie ancora, Professore.

9 commenti:

  1. E' sempre una grande consolazione aver "chiuso i conti", qualunque essi siano, prima che una persona non ci sia più.
    Avrei voluto farlo con mio padre...

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  3. Cara Marina,
    quello che dici è verissimo,
    sapessi quanto sono grata e lo dichiaro a tutte quelle persone che mi sono vicine!!
    Infatti sono grata anche a te!!
    Grazie
    Ornella

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  4. Carissima Marina,
    sovente trovo nei tuoi post le parole giuste, che io non saprei mai trovare, per esprimere sentimenti comuni o anche solo affini...e per questo...ti sono estremamente grata y...
    ¡te quiero mucho!
    Stefi

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  6. una bella espressione di gratitudine, il tuo post.
    baci

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  8. Grazie per aver condiviso questo tuo sentire.

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  9. E' importante per noi stessi quanto per chi le riceve, donare giuste parole di gratitudine a chi davvero ha saputo starci accanto in momenti difficili.

    Grazie per questo post che mette tutti noi di fronte al bisogno di guardarsi dentro e chiedersi a chi dobbiamo dire un GRAZIE.

    Io uno lo devo dire qui pubblicamente a te per come sei, per quello che scrivi e per come hai sempre saputo impegnarti concretamente su fatti che richiedevano azione e non solo parole.

    Grazie.
    Daniele

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