lunedì 31 agosto 2009

vergogna quotidiana


Che ne è stato della civiltà di questo popolo? Della famosa umanità degli italiani? Del senso dell'ospitalità della gente del sud, così decantata? Della bonarietà e generosità di quella del nord, così notoria? E del còre romano e del còre napoletano, incensati in mille canzonette? Che ne è stato degli italiani brava gente? Perché noi italiani assistiamo muti e indifferenti mentre esseri umani disperati e spinti dalla più impellente necessità di salvezza nei nostri mari vengono rifocillati con qualche bottiglia di acqua e qualche coperta e poi ops, a bordo e riportati indietro là da dove erano fuggiti, nelle guerre, nelle persecuzioni, nelle torture, nella fame e nella disperazione?
Che cosa ci è successo? Perché non sentiamo il bisogno urgente di dire basta? Tra gli italiani che hanno scelto questo governo, non c'è davvero nessuno capace di alzarsi e gridare: Non nel mio nome?
Quale maledizione ha colpito questo popolo?

E si dicono credenti in un Dio di misericordia, la maggioranza dei cittadini di questo paese così come i governanti che si sono scelti!
Quanto a me, se io fossi credente in un Dio di giustizia lo invocherei come folgore sul loro capo.

Intanto sul capo di Gheddafi e del nostro Presidente del Consiglio s'intrecciano i voli mirabili delle nostre Frecce tricolori.

domenica 30 agosto 2009

entusiasmo


Poche, pochissime parole perché debbo assolutamente tornare a leggere. Ho scoperto Cormac McCarty. Lo so, sono in grave ritardo, tenendo conto che è uno dei più grandi scrittori americani di questo secolo, ma meglio tardi che mai. Sto leggendo Cavalli selvaggi e sono in quello stato che ci prende quando leggiamo un libro che ci conquista: divisa a metà tra il desiderio di leggerne sempre più e la paura di finirlo. Per fortuna fa parte di una trilogia e così ho altri due libri che mi aspettano. Per ora posso dirvi solo che nel modo di parlare della natura (e della nostra appartenenza profonda all'universo mondo) da parte di McCarty c'è una identificazione, una penetrazione quasi religiosa e che ha la capacità di immergerci totalmente nei suoi paesaggi. Io non sono mai stata una patita del mondo western, un mondo troppo esclusivamente maschile per me, ma questo libro è stato capace di farmene intuire l'anima. E la scrittura è semplicemente superba. Che darei per poterlo leggere in lingua originale! Ed ora perdonate ma torno a Cavalli selvaggi.
una buona giornata a tutti.

sabato 29 agosto 2009

l'ultima lavatrice

L'ultima lavatrice, proprio prima di venir via, per lasciare tutto in ordine e pulito.

Gli oggetti esistono e parlano. Vivono e muoiono. Vorrei che li disprezzassimo meno, che li noncurassimo meno. Parlo per me.
Non è la foto che nobilita l'oggetto ripreso. Che gli dà senso e vita. L'oggetto ce l'ha di suo.
Non dubito che la tovaglia a girasoli si sentisse triste la mattina della mia partenza assieme ai canovacci multicolori. Si tenevano aggrappati al filo e aspettavano il loro destino di reclusione.
Dodici mesi senza l'aria vivificante, senza il contatto con le mani frettolose e vivaci, senza il bagno nell'acqua schiumeggiante. Dodici mesi nel cassetto dell'armadio senza neanche un'ultima stiratura affettuosa! Vi chiedo pubblicamente scusa, andavo di fretta.

venerdì 28 agosto 2009

vacanza? viaggio?

Eccomi qui nella mia postazione romana. Mi sono svegliata prestissimo, tra l'aurora e l'alba. E ho provveduto alla mia piccola verifica del tempo astronomico. E' un'osservazione molto empirica, la compio dalla finestra della mia cucina che punta dritta ad est. Ed ecco la conferma: il chiarore tarda ad apparire, il primo raggio di sole si fa attendere: il tempo scivola di nuovo verso giornate più brevi. Non che la comunità scientifica avesse bisogno di questo personale crisma ufficiale. Ma io ristabilisco visivamente i confini della mia giornata, do il mio benvenuto alla stagione nuova che, ignorata dalle moltitudini vacanziere, è già in atto e mi metto l'anima in pace. A questo serve la mia verifica, solo a questo.
Meno sole meno vita. Semplicemente. Questa è la mia equazione. Ma la città è infuocata, protesta mio marito. Io me ne compiaccio e già penso con tremore al primo brivido di freddo.
Siamo ancora ad agosto ma settembre già mi alita sul collo.

Non considerate questo il primo post della nuova stagione. Per varie ragioni non so bene come sarà la nuova stagione. Ci debbo riflettere. Intanto, però, mi sparo tutti insieme gli ultimi post programmati su Vacanza & viaggio.
Che seguono.


vacanza & viaggio/ventotto

"E possa il tuo ritorno sembrare una partenza."

Il mese di settembre è sempre stato per me una partenza.
Tornare dalle vacanze segnava un nuovo inizio. L'effervescenza dell'aria e il rianimarsi della città mi trasmetteva un'energia nuova, una curiosità, un'aspettativa del futuro che rendeva davvero il ritorno simile a una partenza. Non si trattava tanto dei buoni propositi per la nuova stagione quanto della consapevolezza che il cambiamento, così importante per me, agisce in entrambe le direzioni e il venire è molto simile all'andare.

vacanza & viaggio/ventinove

"Ci si aspetta una storia da chi torna"
Andrea Bocconi

Poiché, come ha detto non ricordo più chi "in campagna non si va, si sta" è a voi che siete partiti che spetta raccontare una storia.

vacanza & viaggio/ventisette

"C’è chi non concepisce la vita se non come movimento: non si sta bene che altrove."

da: Andrea Bocconi- Viaggiare e non partire

vacanza & viaggio/trenta

Giunti al termine di questo, incompletissimo, repertorio sul tema del viaggio, credo che la parola definitiva l'abbia detta Achille Campanile.

"Nell’andar nelle inospiti lande, ricordati le mutande, ricordati le mutande
e non scordar di avere con te il termos del caffè, il termos del caffè..."

giovedì 27 agosto 2009

vacanza & viaggio/ventisei

"Cosma Indicopleuste, cosmografo d'Egitto, che attraversò l'Asia nel VI secolo, rientrato nel proprio paese, si fece monaco. Sarebbe bene che tutti i viaggaiatori seguissero il suo esempio, se non entrando negli ordini, facendo, al ritorno, l'esame di coscienza."
Paul Morand

Già, l'esame di coscienza. Personalmente ne sono stufa. Esamina oggi ed esamina domani ti sembra di avere la coscienza più nera della galassia. E intorno a te, felicemente, gli altri se ne strafottono. Quando non si dedicano ad esaminare la tua.
Comunque, benché io non sappia chi sia Cosma Indicopleuste, mi applicherò a seguire il suo consiglio. Ma, vi avverto, sarà l'ultima volta.

mercoledì 26 agosto 2009

vacanza & viaggio/venticinque

In fondo in ogni viaggiatore c’è la speranza di svegliarsi una mattina ed essere perfettamente felici di quello che si ha, di quello che si vede, senza sentire più quella pulce inquieta che gli inglesi chiamano travel bug.

martedì 25 agosto 2009

vacanza & viaggio/ventiquattro

Viaggiatori celebri raccontati da Paul Morand


Che meravigliosa guida Casanova, sempre vagante, sempre espulso. "Gli si consiglia di assentarsi" dappertutto.

E Goethe, o il viaggiatore sempre in anticipo: -"Mi credono ancora a Weimar, e sono già a Erfurt."

lunedì 24 agosto 2009

vacanza & viaggio/ventitre


"Caminante no hay camino, el camino se hace al andar" Antonio Machado

vacanza & viaggio/ventidue

Il tema del viaggio radicalizza le opinioni. Voci totalmente contrastanti si levano.

Dice Lao Tzu nel Tao Te King “Senza uscire dalla porta conoscere il mondo! Senza guardare dalla finestra vedere la Via del cielo. Più lontano si va meno si conosce. Perciò il Santo conosce senza viaggiare; egli nomina le cose senza vederle; egli compie senza azione.”

Ma:" Chi sarà tanto insensato da morire senza aver fatto almeno il giro della propria prigione..."
Marguerite Yourcenar- L'opera in nero

E ancora: "E' l'animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi" - " Seneca

Oppure: "Perché ti meravigli che non ti giovino i viaggi? Tu porti in ogni luogo te stesso, ti incalza cioè sempre lo stesso male che ti ha spinto fuori" Socrate

Però:
We shall not cease from exploration
And the end of all our exploring
Will be to arrive where we started
And know the place for the first time."
Thomas Sterne Eliot

e Maupassant: " "ho bisogno di non vedere più la Tour Eiffel"

domenica 23 agosto 2009

pensieri tarquiniensi/quattro

La casa si vuota in un amen. Il primo a partire è il Primo cognato. Sparisce sabato nell’ora della siesta, quando scendo trovo solo i suoi saluti. Più tardi partono Bibi e Tommasino; invece di un bacio lui mi dà una leccatina. Questa mattina è la volta del Terzo cognato e della Terza Sorella. Prima che parta le faccio l’ennesima iniezione. Poi parte la Prima Sorella, con il cane Bingo, in uno stato di forsennata eccitazione, e Belèm, la cameriera della prima Sorella.
Alle 9 e un quarto resta solo il silenzio, tutte quelle voci familiari si spengono, ma ne resta, nella mia testa, una piccola eco. Il silenzio, sul principio, sembra un balsamo. Poi subentra un senso di solitudine, perdita, abbandono, addirittura. Con il vuotarsi della casa sembra aver termine anche l’estate. Questi grandi spazi vuoti sembrano spingermi via, “parti!” mi dicono, “questa casa vuota non è più una casa”. Mio marito è al suo computer, a scrivere di stelle e di alghe. Non so leggere nella sua espressione ma è facile supporre che provi un senso di sollievo. Quanto meno per la partenza del cane Bingo che nelle ore dei pasti ci contende persino il cibo sul piatto. E poi la confusione lo stanca molto. Qualche cosa mi grava sul petto. Forse un senso di fallimento. Malgrado la buona volontà anche quest’anno si è consumato un piccolo dramma sororale. Protagoniste, come sempre, la Prima Sorella ed io. Tra di noi ci sono solo due anni di differenza, ma siamo state cresciute sempre come coetanee. In nessun momento della nostra vita io sono stata considerata più piccola. Anzi, in un certo senso, da quando ho memoria, ero io la più grande. Perché mi si attribuiva una forza e un coraggio che davvero, col tempo, ho sviluppati. Necessità fa virtù. Fra la Prima Sorella e me c’è da sempre competizione. Io la riconosco senza difficoltà. Lei la nega con violenza. Quanto sinceramente non lo so. La Prima Sorella preferisce, in molti casi, la costruzione di una realtà edulcorata al riconoscimento di una realtà difficile, intricata. Non io. Ma portarla ad ammettere la complessità e contraddittorietà del nostro rapporto è impossibile. Quando eravamo piccole lei compensava la frustrazione del confronto con una me più curiosa, vitale, attiva –con i suoi piccoli successi di scolara- accentuando il suo bottino di amore e attenzione materni; io mi sentivo sempre più spinta verso l’esterno. Lei sempre di più verso la gratificante ripetizione del modello materno. La Prima Sorella ed io ci vogliamo molto bene. Non è un modo di dire o un contentino ipocrita. Da bambine abbiamo diviso tutte le difficoltà dell’essere figlie di quei due personaggi immensi e faticosi –eufemismo- che sono stati mia Madre e mio padre. Ci siamo strette l’una all’altra in tutte le burrasche. Ho una quantità di ricordi di lei e me, le teste accostate dietro una porta, mentre al di là, quei due recitavano la loro commedia. Qualche volta ne parliamo insieme. Tu non piangevi, dice lei. Tu volevi sempre ascoltare, dico io. Infatti io tentavo di difendere la mia infanzia e la mia inconsapevolezza mentre mia sorella, per non sentirsi sola, mi sollecitava a spiare, e mi spiegava quello che non capivo. Non gliene voglio. Era piccola anche lei e anche lei si difendeva. Sono altre le cose che ogni tanto ci fanno ergere l’una contro l’altra.
Lei prova talvolta il desiderio di ferirmi. Mia sorella ha la battuta pronta e salace e capita che affondi. Lo fa attaccando i miei affetti: mio marito o mia figlia. Ogni tanto io provo invece il desiderio di costringerla a vedere cose che non vuole vedere della sua vita. E’ un modo di ferire anche questo. Il problema è che io sono, per il mio stato di salute psichica, molto più vulnerabile di lei. Quella che era la figlia buona e debole, sempre bisognosa di protezione, è diventata nel tempo molto più rocciosa di me -io, la figlia forte e spavalda, l’indomabile che meritava le botte per la sua caparbietà. E non piangeva. Come la mettiamo? Vorrei dire a mia Madre. Ma lei se n’è andata, dopo essere diventata, negli ultimi tre anni di vita, una debole, tenera, spaventata bambina, che mi guardava con occhi amorosi e fiduciosi. Si fidava di me più che delle altre figlie. Non ero più la figlia “cattiva”, come sempre mi aveva detto.
Posso dirlo? Questo fatto che il captivus, il prigioniero, non solo era prigioniero ma in più, invece che compatito, veniva esecrato, mi ha sempre indignata. La lingua sembra essersi dimenticata che oltre ai prigionieri che si sono macchiati di colpe esistono i prigionieri innocenti. L’etimologia non ha sempre ragione.
Comunque anche quest’anno la Prima Sorella ha portato il suo colpo. Le ho offerto la mia spiegazione di questo suo desiderio di colpirmi. C’è qualche cosa di me che lei non sopporta, come mia Madre non lo sopportava: la mia diversità. Lei si è offesa. Non sopporta sentirsi dire che siamo diverse, per lei equivale a dirle che io sono migliore di lei. In genere è alla terza settimana che le nostre differenze scoppiano in piccoli drammi. Anche quest’anno è stato così.
Da tutto ciò la Terza Sorella si tiene sempre fuori. Per noi è sempre stata e resta la piccola. Nessuna competizione con la piccola. Quanto a lei, per carattere, cura soprattutto la sua tranquillità. Quest’anno poi un suo problema di salute ha fatto sì che tutti ci sforzassimo di evitarle la più piccola tensione. Ma la Prima Sorella ed io non ce l’abbiamo fatta del tutto.
Credo sia questo che mi dà il senso di fallimento. Ho dato io fuoco alle polveri. Non sono stata capace di tacere e ho fatto le mie rimostranze alla Prima Sorella di fronte alla Terza. Le ho rimproverato le sue piccole malignità. Lei ha manifestato ancora una volta la sua convinzione che io sono “fuori”, e mi arrabbio con lei per preconcetto e perché sono "esagerata". Esagerata lo ha detto anche la Terza Sorella, ora che ci penso. Del resto la Prima Sorella, quando vuole stigmatizzare qualcuno, dice che “è da psichiatra”. Le è scappato anche sere fa’, parlando di una sua cognata. Io so che lo dice, magari senza sensibilità, ma senza cattiveria; però sentirglielo dire non mi piace. Ancora una volta ho avuto modo di constatare che è vero che gli episodi più sono banali più possono deflagare. Questo è stato banalissimo. Non vale neanche la pena di raccontarlo. Perché l’atmosfera ridiventasse scansonata e affettuosa ci sono volute ventiquattro ore. Ma io so che c’è troppo non detto tra noi due e che il prossimo anno, verso la terza settimana di convivenza, ci sarà una nuova crisi diplomatica. Sono però impotente. La Prima Sorella non vuole, anzi non può, affrontare le ragioni profonde dei nostri dissidi e oppone ad ogni mio tentativo una testarda, inamovibile resistenza. Tant’è, lo scontro era nel conto quest’anno e lo sarà nel prossimo. Non ricordo se ve lo avessi anticipato. So però che avevo anticipato la buona volontà. Beh, lo confesso, la buona volontà non è bastata.



vacanza & viaggio/ventuno

"E' un cattivo ragionamento, scrive Rousseau, concludere che i viaggi sono inutili per il fatto che viaggiamo male. Ai suoi tempi una cosa del genere era ancora scusabile. Ma oggi c'è una tecnica del viaggio moderno, del grande percorso internazionale. Anche le gru, per partire, si mettono in fila. Un viaggio dev'essere preparato con metodo. Non passiamo sotto silenzio questa fase, questa genesi dei nostri amori con lo spazio, poiché, insieme al ritorno, la partenza è certamente ciò che vi è di più delizioso; come in amore dove nulla, a detta di de Ligne, vale quanto gli inzizi."

Paul Morand

sabato 22 agosto 2009

vacanza & viaggio/venti

"Il vero viaggiatore si sposta perché è più leggero del suo ambiente, viene in superficie come i gas."

e:

"Andarsene è vincere la propria causa contro l'abitudine."
Paul Morand

venerdì 21 agosto 2009

vacanza & viaggio/diciannove

"La conoscenza delle lingue straniere permette, in viaggio, di NON comunicare con i propri compatrioti."

Paul Morand

segnalazioni/Niki Aprile Gatti

Una importante buona notizia sulla storia del nostro Niki: San Marino rivolge all'Italia una rogatoria internazionale. Per ora il Ministro Alfano tace. Bisognerà sturargli le orecchie.
Grazie, Ornella, di tenerci sempre al corrente.



dal blog di Ornella
Oggi 20 Agosto "Liberazione"
riporta con un articolo a firma
di Daniele Nalbone

" E PER LA MORTE IN CELLA DI NIKI ROGATORIA DA SAN MARINO ALL'ITALIA"

"Caso diplomatico fra San Marino e Italia: un Segretario di Stato chiama, un Ministro non risponde.
Ci riferiamo al Guardiasigilli Angelino Alfano e alla sua mancata risposta alla Rogatoria Internazionale presentata dal Tribunale Commissariale della Repubblica di San Marino sulla morte di Niki Aprile Gatti, avvenuta nel carcere di Sollicciano il 24 Giugno 2008.
Evidentemente il Ministro della Giustizia italiano è troppo preoccupato a trovare i due miliardi di euro necessari per la costruzione di diciassette nuovi istituti penitenziari, per rispondere a chi chiede lumi sulla morte dell'allora ventiseienne informatico abruzzese.....
Da Palazzo Piacentini e da Firenze, tribunale italiano di competenza per il caso Aprile Gatti, tutto tace: a nulla sembrano valere tanto l'Interrogazione Parlamentare presentata lo scorso 20 Aprile dall'Onorevole Annapaola Concia, il cui iter risulta tutt'ora in corso, quanto la Rogatoria Internazionale presentata dal Segretario di Stato alla Giustizia di San Marino.
......................... (si parla della conferenza stampa del Governo di San Marino di lunedì scorso) Ma quando a prendere la parola il Segretario di Stato alla Giustizia Augusto Casali, ai giornalisti piu' vigili non può non essere saltato un passaggio chiave, un caso concreto che dovrebbe far gridare allo scandalo: quello relativo al caso di Niki Aprile Gatti.
Dopo gli innumerevoli attacchi dei governi italiani ai Reggenti di San Marino che troppo spesso hanno mancato di rispondere alle rogatorie internazionali, nel caso di Niki le parti si sono rovesciate: a chiedere spiegazioni, in questo caso, è il Governo Sanmarinese. A tacere, quello Italiano.
.......................................................(si ripete la triste storia di Niki dall'arresto alla ....fine)
Ma dopo la conferenza degli Esponenti del Governo Sanmarinese, oltre un anno dopo l'inizio della lotta per la Verità, questa "madre coraggio" ha raggiunto un piccolo ma significativo risultato: le indagini, nonostante la Richiesta del Tribunale di Firenze di archiviazione, stanno continuando. E tutto grazie al'impegno di Ornella e a una sua lettera ai Capitani Reggenti e pubblicata a fine maggio, dal quotidiano "l'Informazione di San Marino".
Da quel giorno sul Monte Titano qualcosa si è mosso: in conferenza stampa il Segretario di Stato alla Giustizia , Augusto Casali, ha portato proprio il caso di Niki, come esempio di mal funzionamento del sistema delle Rogatorie
Internazionali sull'asse San Marino-Italia per cause inerenti al Ministo Alfano e non viceversa.......
Poi si riportano i miei inviti lanciati dal Blog a ROMPERE QUESTO SILENZIO
e altre cose dette da me sempre riprese dall'ultimo post, e poi il commento del Comitato Verità e Giustizia per Niki"è decisamente arrivato il momento di rompere questo assurdo silenzio".
Grazie Daniele Nalbone, un articolo fatto molto bene e .......UNICO!!!

vacanza & viaggio/diciotto

LA MORTE IN VIAGGIO

"Preferirei morire a cavallo che in un letto" Montaigne

Ciò che convince Tolstoj a fuggire da Iasnaia-Poliana è il sentirsi più isolato che se fosse lontano; di qui la famosa lettera alla moglie del 8 giugno 1897: "come gli indù arrivati alla sessantina se ne vanno nella foresta..." Si sa che Tolstoi morì in una stazione ad Astapovo.

Stesso bisogno di evasione finale per Gobineau, grande viaggiatore: muore nell’omnibus dell’albergo Liguria che lo porta alla stazione di Torino.
Arthur de Gobineau

Quanto a Stendhal non potendo morire nella sua cara Milano perché si trovava a Parigi ha scelto di cadere davanti al ministero degli affari esteri.

Supera tutti proprio Paul Morand:

"Vorrei che dopo la mia morte si facesse della mia pelle una valigia"

giovedì 20 agosto 2009

vacanza & viaggio/diciassette

"Nello spaesamento c'è quello scarto che per l'artista è contrasto, ma per l'uomo semplicemente affaticato, è un bagno di giovinezza; viaggia come l'ammalato si rigira nel proprio letto, per cercare di star meglio. "Proviamo altrove..."

Paul Morand


vacanza & viaggio/sedici


"Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini."

Paul Morand

vacanza & viaggio/quindici

Chi viaggia vuole lasciare un segno del suo passaggio: persino V.Hugo cede alla tentazione.

"Sui muri della locanda di Bray, nel 1835, scrive: Al diavolo, locanda immonda, albergo delle cimici/ dove la pelle, al mattino, è coperta di rossori/ dove si dorme scomodi e la cucina maleodora/ dove senti il commesso viaggiatore cantare a squarciagola."

Lasciare un segno, dire la propria, che tipo di ossessione è?

mercoledì 19 agosto 2009

vacanza & viaggio/quattordici

"Come i morti, i viaggiatori lontani, godono sempre di una buona reputazione."

Paul Morand

E' vero. Come tutti ci sembrano migliori quando sono lontani, quando ne proviamo nostalgia. Sembra paradossale ma è guardando le persone da lontano che spesso ne scopriamo i lati migliori. La vicinanza offusca lo sguardo? O lo rende più penetrante?

martedì 18 agosto 2009

vacanza & viaggio/tredici

"I giovani signori inglesi del XVII e del XVIII secolo, che facevano il gran tour vengono sostituiti ai giorni nostri da una generazionec he fa un tour de force."
Paul Morand

lunedì 17 agosto 2009

vacanza & viaggio/ dodici

"Ieri il viaggiatore si agitava in un mondo immobile. ...Oggi, tutto viaggia: le strade sono linee di fuga."

Paul Morand

Le strade sono possibili linee di fuga, non le uniche, certo.
La parola fuga è una di quelle parole che ti si spalancano sotto i piedi e che piace dire sottovoce, guardandosi alle spalle.

Come ha detto Emily Dickinson?
Non odo mai la parola evasione
senza un più rapido fluir del sangue...

domenica 16 agosto 2009

pensieri tarquiniensi/tre

Anche questa estate eccoci qui nella nostra casa di Tarquinia, noi tre sisters e i nostri mariti. Per molti anni ognuno di noi ha passato le sue vacanze in posti diversi del mondo ma da tre anni, per varie ragioni, nel mese di agosto siamo tutti qui.
La casa è grande e consente ampi margini per viverci senza urticarsi troppo.
Ci vuole naturalmente un po’ di duttilità e buona volontà da parte di tutti.

La casa è ad ottocento metri dal mare, ma il mare non è un bel mare. Aveva una sua bellezza semplice quarant’anni fa', quando mio padre costruì la casa, -la costa diritta e nuda, le dune con i gigli di mare, la spiaggia grigia e leggera- ma il mare ormai è sporco, le dune impoverite, le case a ridosso.
La campagna però è molto bella -una campagna operosa- e la città di Tarquinia è un gioiello antico. Da anni quando vengo nella nostra casa, al mare non mi ci affaccio neanche.
La considero una casa di campagna arieggiata da aria di mare. Il mare lo guardo da lontano, dall'alto della cittadina -e allora è bello e luminoso come tutti i mari- o dalla terrazza del piccolo cimitero monumentale -e allora diventa addirittura misterioso: in vista di quel mare i morti riposano da qualche migliaio di anni.
Se avrò voglia di mare raggiungerò Capalbio -a pochi chilometri- con spiaggia e mare puliti e per niente affollati o, spingendomi più a nord, Talamone. O mi fermerò ad Ansedonia. Un piccolo tuffo tra i veri ricchi e nell'acqua gelida di quel tratto di mare.
Ma forse resterò campagnola.
La mia intenzione per questo soggiorno a Tarquinia è di leggere, scrivere, pensare, camminare.
Un'atmosfera di pigrizia ci prende tutti appena arriviamo qui e si aggiunge a quella che già caratterizza le mie sorelle.
La Prima Sorella odia ogni tipo di moto; credo di non averla mai vista correre, forse qualche volta avrà affrettato il passo per giungere in tempo ad un appuntamento. Ma non ne sono certa: la puntualità non è una delle sue preoccupazioni.
La sua sistemazione prediletta è su un divano, mollemente distesa, la sigaretta in una mano e una minuscola strisciolina di carta di giornale che arrotola e srotola tra le dita.
Veramente ha allevato un figlio, passando attraverso periodi di floridezza economica ma anche di ristrettezze e quindi le sue corse e i suoi affanni li ha avuti anche lei. Ma, passata la turbolenza economica, riassumeva immediatamente la sua posizione naturale. E se la debbo pensare a distanza io la penso sul suo divano, con la sua sigaretta e il suo "rotolino". Ciò nonostante è ancora attiva, nel commercio, ma, a parte quando lavora, il moto fisico la disgusta.
La sua pigrizia ha le sue eccezioni nei pranzi e nelle cene che le piace organizzare. Pranzi e cene semplicemente perfette, con pietanze di una cucina classica, solenne, che ha sempre resistito agli accoppiamenti di sapori tanto fantasiosi quanto improbabili e privi di armonia che la moda della Nouvelle cusine ha introdotto nella gastronomia italiana.
La tavola che apparecchia a casa sua è sempre talmente bella da intimidirmi un po'. Tutti quei bicchieri brillanti, le posate barocche, i piatti decorati. E la varietà di tovaglie e vasellame. Mia sorella ha un talento speciale per ricevere. Una capacità naturale nel guidare cameriere ed aiutanti con cortesia ma decisione ed ottenere sempre il risultato che si aspetta. Il tutto conservando la sua aria bonaria.
La Terza Sorella ha un tipo diverso di pigrizia che si applica, oltre che al moto fisico, al pronunciare parole, anche durante pranzi e cene. L'eccezione alla sua pigrizia è sempre consistita nel rispondere ai desideri e alle esigenze di Nostra Madre. Il rapporto tra la Terza Sorella e Nostra Madre è sempre stato di infinito amore reciproco. Quando Nostra Madre si è fatta più anziana, la Terza Sorella, in occasione delle feste natalizie, ha messo da parte la sua pigrizia e si è alternata alla Prima Sorella nell'organizzare a casa sua i pranzi e le cene particolarmente laboriosi della nostra tradizione familiare. Io no. Io ho sempre dato il mio contributo lavorando nella mia cucina -agnolotti e cappelletti fatti a mano, preparazione dei fritti, brodi, sughi, paté ecc- trasferendo poi il tutto, con mio grande sollievo, alternativamente nella casa della Prima Sorella o in quella della Terza Sorella. Ci fu una sola eccezione, ricordata come memorabile sia da loro che da me, in occasione di un intervento chirurgico subito dalla Prima Sorella e tenuto nascosto a Nostra Madre. Poiché la Terza Sorella sa organizzare i pranzi ma non sa cucinare, lei assistette la Prima Sorella in clinica e io cucinai e organizzai in casa mia i pranzi e le cene di rigore. Solo dopo Nostra Madre venne a capo di questa assoluta e strabiliante novità. Dalla prova uscii promossa ma psicologicamente sfinita per l'ansia da prestazione, soddisfare le aspettative materne essendo un compito da far tremare "le vene e i polsi".
La Prima Sorella invece ha sempre amato competere con il modello materno, per me inarrivabile, di riunioni familiari. L'amore tra Nostra Madre e la Prima Sorella non era inferiore in tenerezza a quello che la univa alla Terza Sorella, ma conteneva un piccolo filo di reciproco dispetto. La Prima Sorella aveva subito docilmente l'autoritorismo materno in tutta l'infanzia ma, divenuta donna, aveva cominciato a nutrire un po' di rancore, e di voglia di ribellione, anche se attutiti dalla somiglianza dei gusti; Nostra Madre, dal canto suo, che era stata irritata e delusa dalla mancanza di volontà negli studi da parte della Prima Sorella, gliene voleva ancora un po'. Non tanto perché desse una grande importanza agli studi, quanto perché la Prima Sorella si era fatta superare da me. Ma soprattutto Nostra Madre aveva vissuto la relativa emancipazione della Prima Sorella dalla sua volontà, con grande dispetto e come perdita di potere. La Prima Sorella continuava ad essere dentro di lei la figlia dolce e bisognosa di protezione, perciò la sua sopraggiunta capacità di opporlesi la faceva doppiamente arrabbiare. Ma basta di parlare di amore materno: in presenza di più figli non è mai, secondo me, una buona idea. Io penso infatti che l'amore materno -come quello paterno del resto- molto difficilmente possa essere distribuito egualmente.
Se questo fatto mi appare del tutto ragionevole e spiegabile -poiché ogni figlio ha una diversa personalità questa può incontrarsi o scontrarsi con quella dei genitori- penso, non di meno, che tanta obiettività possa essere fatta propria dai figli ormai adulti, ma non possa compensare mai né mai recare sollievo a quello tra i figli che ha ricevuto meno amore.

La personalità di noi tre sorelle è molto diversa e solo il grande affetto che ci ha sempre legate ci ha consentito di conservare il nostro rapporto senza grossi conflitti anche dopo la perdita dei nostri genitori.
A onore di tutte e tre bisogna dire che nessun conflitto è nato per questioni materiali o di interesse. In questo abbiamo appreso la lezione familiare, che ci indicava i beni materiali decisamente e definitivamente insignificanti rispetto agli affetti.
Se qualche conflitto c'è stato ha riguardato piuttosto il confronto di volontà e mentalità e la differenza di approccio ai vari problemi, oltre alla rivendicazione di piccoli oggetti, di valore puramente simbolico: il "mattarello" con cui Nostra Madre stendeva la sfoglia di pasta all'uovo, già appartenuto a sua Madre, mia nonna Agnese; la cornice in cuoio con la foto di Nostra Madre fatta da un famoso studio fotografico dell'epoca. (Aveva ventisei anni ed era di una grande bellezza. Forse volevamo impadronirci della bellezza materna che nessuna di noi aveva ereditata fino in fondo?); i taccuini di nostro padre con i suoi turni di volo; i suoi gemelli militari bruniti, con l'aquila ad ali spiegate ed altre cose di analogo valore puramente affettivo.
Quando, sia pure frenate dal desiderio comune di conservare il nostro accordo, sono nate delle discussioni tra di noi, quello che stavamo contendendoci, a mio parere, era l'amore dei nostri genitori. Del tutto irrazionalmente io pensavo di aver diritto ad un risarcimento e avrei voluto che le mie sorelle lo ammettessero; ma, del tutto logicamente, le mie sorelle non mi riconoscevano questo diritto. Il tirare a sorte comunque mi ha consegnato la cornice in cuoio con il ritratto di Nostra Madre e i gemelli bruniti di mio padre e io mi ritengo soddisfatta.
Penso di aver avuto dalla sorte molto più di quello che mi sarebbe stato attribuito in vita da mia madre. Lo dico come pura constatazione.
Mi accorgo di aver appena scritto "mia madre", mentre mi ero data l'obbligo di scrivere ogni volta "Nostra Madre". Il fatto è che quando i figli sono più di uno, secondo me, ad ognuno tocca una madre diversa e questo pensiero, benché io lo respinga per amore di serenità, riaffiora continuamente. Nel mio caso specifico, mia madre non è la stessa Madre delle mie sorelle. I nostri ricordi sono diversi, spesso non combaciano o addirittura si contraddicono a vicenda. Quando le mie sorelle parlano di Nostra Madre io non la riconosco e le ascolto sempre con un senso di meraviglia e di incanto.
Come pure, quando parlano di mio padre, io le ascolto con un senso di fastidio e di ribellione. Immagino che accada in molte altre famiglie. Noi abbiamo avuto la fortuna e la sfortuna di avere due genitori straordinari -fuori dell'ordinario, letteralmente- per molti aspetti. Alcuni positivi, altri, molti altri, negativi.
Fa parte della loro straordinarietà il fatto di essere stati così diversi nel loro comportamento con noi tre figlie? Io non credo. Credo anzi che in questo siano stati perfettamente ordinari. Ma sono pochi i figli capaci di riconoscere ed ammettere questa disparità così dolorosa e, in quanto ai genitori, nessuno di loro è disposto a farlo. Ciò non di meno la letteratura e la psicologia testimoniano e riconoscono ampiamente questo "accidente" della natura umana.
Adesso noi tre sorelle, le sisters, ci troviamo a convivere per un po' di tempo.
So già che cosa comporterà questo. Ognuna di noi riprenderà il suo ruolo solito, quello da sempre attribuitole in famiglia ed ognuna delle dinamiche sperimentate nella fanciullezza, adolescenza e giovinezza si riprodurrà senza variazioni.
Intanto le figure dei tre mariti si faranno sempre più pallide e sbiadite agli occhi delle rispettive mogli, prese dalla rappresentazione del loro passato e torneranno a farsi visibili ai loro occhi solo quando il trio tornerà a dividersi.
Io metterò in atto la mia forma di pigrizia che consiste nell'ignorare qualunque esigenza alimentare per dedicare la mia attenzione ed il mio tempo alla lettura e alla scrittura. Ed opporrò il mio diniego ad ogni invito, per quanto allettante, ad impegnarmi in pranzi elaborati. Per non pesare sugli altri giurerò di vivere di caffellatte-panini-frutta-caffellatte.
Il Primo Cognato invece, grande cuoco e grande gaudente, si dedicherà alla cucina in forma compulsiva, con la collaborazione di mio marito sotto forma di aiutante per le attività più banalmente esecutive: triterà prezzemolo, sbuccerà pomodori, laverà cozze e spellerà peperoni, pronto ad ogni bassa manovalanza per il piacere di banchettare grazie alla iniziativa culinaria del Primo Cognato. Il Terzo Cognato, dal canto suo, farà la spesa quotidiana, quella di acquisti di routine e in fondo facili, lasciando a mio marito l'onore e l'onere delle scelte delle materie prime più delicate.
Si verificherà insomma quel miracolo per cui tre uomini normalmente poco inclini ad assumersi responsabilità in cucina, trovandosi insieme formeranno una squadra perfettamente efficiente di cuochi, che ci solleverà di ogni problema in merito. Questo sfoggio di alacrità non durerà più di una settimana, dopo di che i mariti ridiventeranno pelandroni.
Intanto però la Prima Sorella, gelosa del suo ruolo di Signora Cuoca, entrerà in violenta contrapposizione con il Primo Cognato, tentando di coinvolgermi in sfide di superiore arte culinaria.
Non ottenendo, a causa della mia pigrizia, il mio contributo, rinuncerà a competere ma criticherà aspramente le pietanze cucinate dal marito, pur mangiandole di gusto.
La Terza Sorella si farà gli affari suoi, parlando poco, osservando molto, leggendo e tentando di sottrarsi alle iniziative ricreative del Terzo Cognato.
Il Terzo Cognato infatti è un'anima inquieta, bisognoso di distrarsi continuamente. Possibilmente frequentando i grandi consorzi agricoli del posto, le affascinanti ferramenta e i mercatini locali. Per il resto del tempo solleciterà discussioni di politica, cui tutti gli altri tenteranno di sottrarsi. Grazie al cielo non ci sono conflitti politici tra di noi. Infatti, se il Primo Cognato in quanto figlio di generale dell'Arma, consevatore, maschilista ed imprenditore ha votato Berlusconi, considera però la politica un argomento di discussione privo di interesse e non raccoglie le provocazioni del Terzo Cognato. Io l'ho già avvertito che non intendo farmi rovinare l'estate dalla polemica politica e che se mi si avvicinerà sventolando l'Unità o il Manifesto e prorompendo in squillanti
"Guarda qua!" metà furiosi e metà disperati, mi alzerò e me ne andrò. Tornerò però ad unirmi a lui in occasione delle visite ai negozi di ferramenta che esercitano un fascino irresistibile anche su di me.
Le cose, più o meno, potrebbero andare così.
Ma la vostra cronista è pronta a rettifiche e smentite.

vacanza & viaggio/undici

Antoine Bibesco, l'amico di Proust, parlando dei suoi grandi domini, diceva con fierezza: - "L'Orient Express ci mette tre quarti d'ora ad attraversarmi."

Questa storia ce la racconta sempre Paul Morand e rende più favoloso Bibesco che l'Orient Express. Ciò non toglie che dei suoi domini io farei degli appezzamenti di media misura da affidare alle mani capaci di moderni agricoltori. E poi l'Orient Express ci metta pure quanto vuole...


sabato 15 agosto 2009

vacanza & viaggio/dieci

Paul Morand era meno cinico e superficiale di quanto si possa credere; in quegli anni già pensava agli immigrati.

"Chi si mette in viaggio per primo, se non i più intelligenti, i più dotati di immaginazione, i più coraggiosi, i più disperati, i più avidi?." Dove avido non è una parolaccia (n. d. r.)

e ancora:

"I meticci sono ricordi di viaggio."

L'idea dei meticci, tutti i meticci del mondo, come ricordi degli spostamenti dell'umanità sulla terra a me sembra bellissima. Continuiamo a meticciarci!

venerdì 14 agosto 2009

vacanza & viaggio/nove

"Ci furono un tempo gli itinerari delle idee... Ad esempio “Sur les traces des troubadours" o gli itinerari della fede, ( a Delfi, La Mecca, a Compostela); esistono ai giorni nostri gli itinerari del Gusto, o meglio, dell'ingozzamento."

"C’è chi ha il gusto della caccia? Nessun problema.
Volete uccidere un caribù in Alaska, un alce in Canada, un'otarda in Andalusia, un'anatra selvatica nell'Albufera di Valencia?"


Paul Morand

giovedì 13 agosto 2009

vacanza & viaggio/otto



Con Paul Morand, diplomatico, scrittore, grande viaggiatore, passiamo a parlare della vacanza non stanziale, cioè del viaggio.
Premetto che la nostra civiltà egli la chiama “la civiltà della carovana”.

Uno spirito elitario come il suo non poteva che detestare l’approdo delle masse al viaggio. E’ certo che avrebbe preferito che la democrazia e il progresso non si spingessero a tanto!
Ecco che cosa scriveva negli anni '50.

"Il viaggio fu, all'inizio, collettivo: migrazioni, guerre, pellegrinaggi, crociate, esodi, deportazioni, ecc... Eccolo ritornare alle origini, lo spostamento in massa."

"Non ci sono che viaggiatori; i sedentari sono diventati degli originali. Tutti gli uomini sono in marcia".

"Viviamo in un mondo senza punti d'appoggio"..."l'habitat perde i suoi abitanti."

Nei prossimi post sarà ancora Paul Morand a parlarci del viaggio, con atteggiamento multiforme.
Quello che mi piace delle sue riflessioni è proprio la varietà e lo spirito dissacratore: si possono condividere o no ma la loro sapidità si impone.

mercoledì 12 agosto 2009

pensieri tarquiniensi/due

I rumori della notte fanno compagnia alla mia insonnia. Si stagliano su un silenzio compatto e pulito e lo trasformano in materia di sogni.
Cani che ululano o abbaiono lontani; il barbagianni timido che lancia il suo grido; la sua voce non è armoniosa ma rauca - sembra schiarirsi la gola- ma popola la notte di misteriose lontananze; il treno che corre ritmicamente e ogni tanto fischia, un lungo fischio interrogativo: sta correndo con le sue luci ordinate dietro la casa. Non so perché ma mi portano ai miei sedici anni e al mio primo amore.
E io mi rivedo quasi ragazza e sorrido nel buio e non so bene che cosa sia a riportarmi a quei giorni.
Non ricordo se dalla casa dei miei sedici anni nel paese d’Abruzzo dova passavo l’estate si sentisse il fischio del treno, mi sembra improbabile, la stazione era lontana, né saprei dire se il barbagianni sfiorasse quelle notti col suo volo elegante; i cani forse abbaiavano, sì.
Capisco che non sono i rumori che mi riportano a quelle notti di ragazzina innamorata ma il silenzio. Il silenzio di quelle notti in cui i miei erano pensieri giovani e trepidanti. Quel silenzio si legava ai silenzi del mio primo amore contro cui ostinatamente ma inutilmente bussavo. Forse sono questi silenzi che si richiamano l’un l’altro.
Ma mentre il silenzio di queste notti mi placa l’anima quello me la turbava di scontento e di apprensione. Era apprensione per quella storia d’amore perché presagivo che i silenzi di quel ragazzo timido e testardo avrebbero alla fine disperso la nostra storia. Accadde proprio così, anche se non solo così. Ma non dispersero comunque l’amore, perché il primo amore, lo sanno tutti, non si scorda mai.
La genesi, la natura di quell’amore e la fine di quella storia, analizzati una vita più tardi nel lavoro di analisi della mia vita, mi dissero molte cose di me, anche della me degli anni successivi, mi mostrarono come una mia modalità si ripetesse sempre e sempre, perché proveniente da una storia ancora precedente ed infantile: la storia della mia famiglia.
Dovrei forse ringraziare quel ragazzo per avermi aiutato a capire, quando ormai non ci frequentavamo più da 32 anni, molte cose di me.
Ora che sono una vecchia signora avvertita provo un senso di dolore per quel ragazzo innamorato incapace di esprimere i propri sentimenti e per quella ragazza innamorata così bisognosa di sentirseli dichiarare. Mi piacerebbe che, in un’altra dimensione, quella storia d’amore fosse andata avanti e quei due avessero trovato la via per dare e ricevere rassicurazione. E magari incontrarli un giorno in una via e riconoscerli e vederli felici.
Del resto, neanche l’uomo che venne dopo rispose al bisogno di quella ragazza: ci sono bisogni che non soddisfatti nell’infanzia non lo saranno mai più.
Ma in queste ore silenziose, mentre il treno va, e subito il silenzio riveste la notte, i rimpianti sono ormai da tempo dietro le spalle e così pure i rancori. E i sogni non sono più legati alla disponibilità altrui, non dipendono che da noi stessi. Quanta strada per arrivarci!
In questa casa penso spesso a mia madre, qualche volta mi sembra di udirne la voce o di intravederne la figura –alta, elegante, col suo piglio autoritario- ed esito nel compiere un gesto –cambiare di posto a un servizio di piatti, fissare un nuovo filo per stendere i panni- chiedendomi se è corretto, proprio come lei lo avrebbe fatto, e capisco che una casa che è stata la sua casa una volta, lo sarà per sempre. Almeno per me.
La Prima e la Terza Sorella hanno una scioltezza, una “padronanza” della casa del tutto spontanea, mentre io mi ci debbo ogni volta richiamare, compiendo un esercizio di volontà.
Ma la notte la casa è più mia. Mia madre dorme al piano di sotto.

vacanza & viaggio/sette

Breve storia delle vacanze. I sofisticati


Pare incredibile ma, non contenti dei loro privilegi -materiali, culturali, sociali - molti appartenenti al mondo elitario delle arti soffrirono la democratizzazione del concetto di vacanza.
Fu così che un viaggiatore incontenibile quanto originale, Valery Larbaud, (1881-1957, traduttore di Joice e Svevo e scrittore elegantissimo), infastidito dall’arrivo delle masse, inventò le controvacanze.


Con i suoi amici più blasé decise di passare tutte le vacanze sul lato sinistro degli Champs Elysées, il lato dei numeri dispari. All’interno di quel confine ognuno poteva passare il tempo come preferiva a condizione di non scendere mai dal marciapiede.
Snobismo arguto. Molti tardi epigoni inventano oggi vacanze altrettanto snob in cui però la condizione è meno fantasiosa. O si tratta di spendere la cifra più alta o di soffrire le pene più feroci. Vedi le vacanze avventurose e/o alternative.

Malgrado gli sforzi della jet society di oggi, le vere vacanze di elite sono finite. Gli ultimi, fortunati, protagonisti sono stati gli Scott Fitzgerald, gli Hemingway, gli Huxley e i Paul Morand.
Da Paul Morand ci faremo parlare del viaggiare nelle prossime puntate.

martedì 11 agosto 2009

segnalazioni

La mia connessione è abusiva, accidentata, aleatoria e fulminea.
Mi scuso con tutti voi ma posso a malapena postare, non riesco a venirvi a trovare sui vostri blog.

vacanza & viaggio/sei

breve storia delle vacanze: dal Seicento

La prima voce critica verso la vacanza è quella di Goldoni nelle “Smanie per la villeggiatura”. Dopo di lui e fino ai nostri giorni, il tema della critica alla vacanza è usato e abusato, fiacca ripetizione di banalità. Né questo blog aspira a sottrarsi a questa critica.
Pertanto ecco qui un mio personale, anche se non originale, pensiero in merito.
Il discorso delle vacanze lo lego strettamente a quello del lavoro. Se le persone potessero fare un lavoro a loro congeniale, trovarvi, pur nella fatica, un motivo di gratificazione, non viverlo come una condanna -se cioè il lavoro non fosse alienante come spessissimo è - anche la vacanza sarebbe diversa. La vivremmo con meno ansia, vi investiremmo meno aspettative e ne riporteremmo meno delusioni. E forse non diventeremmo quelle belve assetate di sangue come spesso sono i vacanzieri l'uno verso l'altro. Quando la vacanza diventa una questione di vita o di morte e ci aspetta la galera di una vita quotidiana faticosa, stressante e che ci priva di dignità e di identità non sono certo i nostri aspetti migliori che vengono a galla.


C'è un "ma" relativo a questo discorso vacanza/lavoro. Ed è la sorte di tutti coloro che, non avendo un lavoro, non hanno neanche la vacanza. E' la loro vita che è una "vacanza", cioè un buco vuoto in cui consumano energie, vitalità, aspettative, progetti, sogni. Spesso la loro intera giovinezza.
L'organizzazione del lavoro nella nostra civiltà non mi sembra essere andata al passo con il progresso scientifico e culturale. Chissà come mai!

Scusate la venatura marxista.

lunedì 10 agosto 2009

vacanza & viaggio/cinque

Breve storia delle vacanze: Umanesimo e Rinascimento

Erasmo da Rotterdam, tra le sue tante occupazioni, trovò il tempo di abbozzare in forma di dialogo una Guida sui generis per il viaggiatore in terra di Germania. E' la prima guida di viaggio "moderna". Secondo me quel "da Rotterdam" non significa tanto "nato in Rotterdam", quanto "che partì da Rotterdam e non si fermò più". Infatti Erasmo fu veramente "europeo": nacque in Olanda, studiò a Parigi, si laureò a Torino, visse a Roma, a Venezia e a Basilea.
Infine, entrato in rotta di collisione con Lutero su quella questioncella del libero arbitrio, riparò a Friburgo.

Più o meno nello stesso periodo anche Durer scriveva una sui Guida dei Paesi Bassi. La guida tiene conto delle spese quotidiane ma è soprattutto ricca di schizzi del grande maestro.
Poiché non tutti siamo Durer noi scattiamo delle foto. Ottima cosa. Anche questa attività però va svolta con un po' di moderazione.
Ma quello che penso della libidine del fotografare o riprendere tipica dei nostri giorni l'ho già scritto in un altro post.

Nel Rinascimento torna la vacanza nelle ville. E che ville! Il soggiorno nella propria tenuta di campagna connota tutta una civiltà tesa alle piacevolezze della vita.
Schiere di servitori di diverso grado e diversa condizione si affaccendano intorno ai signori per rendere il loro soggiorno in villa piacevole. Inutile dire che i servitori, loro, conducono una vita migliore quando i signori se ne stanno in città.
Questa storia andrà avanti parecchio. Ne I Viceré, e siamo nell'Ottocento, i nobili siciliani ancora si spostavano di tenuta in tenuta seguendo il variare dei venti e delle temperature.
Ma, prima o poi, anche i servitori andranno in vacanza.

domenica 9 agosto 2009

vacanza & viaggio/quattro

Breve storia delle vacanze: i barbari (noi?)



Unni, Vandali, Visigoti, Longobardi eccetera come vacanza sceglievano la scorreria e l'invasione. Vacanze dinamiche e avventurose.

Noi ci ispiriamo a loro quando piombiamo in massa su piccoli paesi di mare o di campagna, di lago o di monte e li invadiamo con le nostre scomposte energie. A differenza dei "barbari" classici, che certo non si ponevano il problema, noi siamo convinti di contribuire generosamente all'economia del luogo. Naturalmente c'è del vero. Ma: guardiamo mai al rovescio della medaglia?




E' un post moralista, lo so, ma io sono per il divieto assoluto di recarsi sulle isole con le auto.
Amate le isole? Vi piace quella dimensione di "isolamento"? Siete pronti a mitizzarla? Vi sentite piacevolmente audaci a separarvi dal vostro amato continente? Bene: siate conseguenti e lasciate a casa la vostra vettura. O l'isola non sarà più un'isola, ma diventerà un rigurgitante garage.
I "barbari" almeno arrivavano a cavallo.

pensieri tarquiniensi/uno

Sono la prima ad arrivare nella casa di Tarquinia e tocca a me riaprirla. L’impressione è subito spiacevole. Il prato davanti ha grosse chiazze di erba secca, si vede che non sono stati attivati gli annaffiatoi; il portico è sporco e ingombro di resti di giochi di bambini, adesivi, palle rotte, giornali sfogliati, cuscini lasciati in terra, tappi di bottiglie. C’è anche un materassino di plastica sgonfio. I due divani bianchi del portico, nostra delizia postprandiale, sono grigi e terrosi. Ad un primo giro noto alcuni danni. I vetri di due finestre sono rotti, uno è stato asportato, l’altro è ancora lì, pericolante; una poltrona è rotta in due parti, la seduta e lo schienale; il danno più grave è nella stanza da pranzo: è spezzato in due il pesante cristallo molato del buffet di quella che era la stanza da pranzo dei miei genitori: anni trenta, noce e mogano, linee curve, bellissimo. Scopro altri piccoli danni: una macchinetta del caffè bruciata, una fiamminga in ceramica di Vietri spezzata, rotto l’orologio da muro in cucina. Alcuni mobili sono stati spostati, alcune reti che erano nel garage sono state portate nelle stanze. E’ evidente che la casa è stata abitata da molte più persone delle sei che si erano dichiarate. L’agente che è incaricato di affittarla mi sentirà.
Il prato dietro la casa fa piangere di rabbia. Pieno di pezzi di carta, giocattoli rotti, bicchierini di plastica, tappi. Non so spiegarmi perché il minuscolo lillà che avevo piantato e poi circondato di una retina di protezione sia stato divelto, ma è lì secco in terra. In terra è anche l’ombrellone bianco e i cuscini delle poltroncine di vimini: sono sporchi, coperti di aghi di pino, umidi.
Io odio dover affittare la casa ad estranei e così anche le mie sorelle. E so che mio padre e mia madre disapproverebbero. Ma benché siamo in tre, le mie sorelle ed io, non riusciamo a sostenere le spese della manutenzione di questa grande casa costruita nel 1970 che richiede cure costanti e costose. Così siamo costrette ad affittarla nel mese di luglio mentre ad agosto ne riprendiamo possesso.
La cifra che ne ricaviamo copre le spese consortili e la bolletta dell’acqua di irrigazione. Circa un quarto dei costi di manutenzione di un anno. Ogni anno ci diciamo che l’estate prossima non affitteremo. Poi le spese corrono; ogni tanto ci informano di qualche danno: alla pompa sommersa del garage o al motorino della caldaia, oppure al citofono oppure ancora sono volate le tegole del tetto ed è piovuto in qualche stanza. Qualche volta i problemi sono più grossi: il serbatoio del gasolio non è più a norma e ne va installato uno nuovo o l’impianto elettrico esterno è saltato e le luci sono tutte fuori uso o le persiane di legno cominciano a marcire. Anno dopo anno, con metodo ed oculatezza noi sister, come ci chiama mio marito, provvediamo, tamponando un danno qui e risolvendo un problema là, e sognando una improvvisa ricchezza che ci consentirà di fare in casa tutti i lavori di manutenzione straordinaria necessari e magari anche delle importanti migliorie. Circa le migliorie ci sbizzarriamo: c’è chi vorrebbe mettere l’aria condizionata nelle stanze; io dichiaro che è una spesa superflua e mi rifiuto di finanziarla; tutti sognamo una piscina, la vorremmo a livello del prato con comodi gradini per la discesa; io vorrei l’irrigazione automatica dei due prati, la Terza Sorella un piccolo ripostiglio esterno in legno per sdraie e lettini; i mariti, all’unanimità e saggiamente, rifarebbero tutti gli impianti: idraulico, elettrico, di riscaldamento. Io punto al wi-fi; la Prima Sorella dichiara che non permetterà che un solo soldo venga speso così inutilmente; ma appoggia la mia proposta di una cucina esterna, tutta in maioliche; La Terza Sorella invece la boccia: è inutile che bussiamo a soldi per una seconda cucina, lei non caccerà una lira! Siamo veementi e sognanti insieme, passiamo pomeriggi interi ad accapigliarci su spese fantomatiche che non potremo mai permetterci. Si creano alleanze e baratti.
-Se tu mi fai ritagliare una finestra nel balcone della mia stanza io ti faccio mettere in comunicazione la tua con il bagno accanto, così lo usi solo tu.
-No, il balcone non si tocca, creerebbe un’ asimmetria!
-Ma se il tuo è aperto!
-Sì, ma il mio è nato così.
-Allora il bagno tutto tuo te lo scordi.

Io progetto di coprire il piccolo patio interno con un tetto apribile di vetro e di farne uno studio per me.Tutti mi guardano a bocca aperta. Che idea strabiliante! Entusiasma tutti. Sì, ma perché per te? E discutiamo come se davvero fuori dal cancello ci fosse una ditta pronta a lavorare al patio. La Terza Sorella vuole sostituire la siepe. In effetti ne ha bisogno, ormai i rovi hanno soffocato le vecchie tuje di cui restano essenzialmente rami aggrovigliati. Sul tappeto è ora la scelta delle nuove piante. Oleandri, dice la Terza Sorella. Banali, replica la Prima Sorella. Gelsomini, dico io. Troppo delicati, obietta la Prima Sorella. Allora la Terza Sorella ed io ci guardiamo e: Caprifoglio! dichiariamo in tono definitivo. La Prima Sorella, in minoranza, è costretta al silenzio. Ma la siepe, anche quest’anno, non si farà.
Nel gestire la casa noi sister andiamo molto d’accordo, anche se siamo temperamentose tutte e tre e molto diverse l’una dall’altra. Le grosse decisioni vengono prese all’unanimità, e non c’è neanche bisogno di discutere. Altrimenti funziona la maggioranza. E la perdente non porta rancore. Sa che presto si rifarà, costituendo una nuova maggioranza su qualche altro punto. Ogni tanto però ci piace pensare che la casa sia divisibile per tre e studiamo progetti pazzeschi e rivoluzionari, dividendo la casa in tutti i sensi: prima in quello della larghezza, a grosse fette, poi in quello dell’altezza, a strati. Di fronte alla inattuabilità di tali progetti ci arrendiamo. E poi la casa è troppo bella, non ne toccheremmo un mattone.
E ci rassegnamo ad andare d’accordo ancora un altro anno.

Domani arriveranno la Prima e la Terza Sorella. Vado a fare qualche lavatrice: voglio che trovino i divani e i letti coperti dai bei teli colorati che sono approdati qui, in quarant’anni, dai quattro angoli del mondo. Così sarò io a decidere, insindacabilmente, la loro disposizione!
Le assenti hanno sempre torto: così recita il regolamento.

sabato 8 agosto 2009

una poesia

Margherita Guidacci ha dedicato questa poesia al dottor Y.


Sei all'oscuro di tutto come noi.
Tu non puoi ricomporre un disegno spezzato,
rendere a un fiore il suo stelo,
ad una vela la sua barca.

Questi cocci che furono anime
non ti dicono i loro segreti.
Ma sui sentieri ingombri di macerie
tu cammini umilmente

e raccogli ed attendi
senza imporre nessuna conclusione,
dove altri userebbero solo la presunzione
e una scopa antisettica.

giovedì 6 agosto 2009

gratitudine

La gratitudine è un sentimento forte e delicato. E’ forte perché è impossibile respingerlo persino nel caso in cui non lo volessimo provare, in cui improvvisamente si affacciasse in noi nei confronti di un “nemico”; è delicato perché si solleva dal nostro cuore come una marea notturna, lo gonfia dolcemente, teneramente.
La gratitudine, più di ogni altro sentimento, chiede di essere dichiarata. Solo l’amore ha questa stessa impellenza di dirsi, di comunicarsi.
La gratitudine va dichiarata e lo sa. Ma non sempre la dichiariamo. E questo è forse da addebitare alle nostre trascuratezze, agli orgogli, alla mancanza di umiltà, alla illusione che ci sarà sempre tempo per farlo.
Io mi sento di ammonirvi: dichiarate la vostra gratitudine senza esitazioni.


Ora che il Professore non c’è più la mia sola consolazione –ma consolazione non è la parola giusta e la parola giusta non la so- risiede nell’avergli dichiarato la mia gratitudine.
Questo non lenisce il dolore, e neanche scalfisce il senso di perdita. E’ piuttosto un senso di sollievo, un sospiro quasi con cui mi dico: gliel’ho detto, l’ho scritto, nero su bianco e lui lo ha letto.
E immagino persino il sorriso con cui il Professore lo ha letto.
Immaginiamo sempre tante cose delle persone che ci rinsegnano a vivere. Ma alcune, più che immaginarle, le sappiamo. Quel sorriso io lo so.

In questi giorni sui giornali molte persone, più o meno qualificate, hanno scritto il loro ricordo e la loro testimonianza per Giovanni Jervis. E in molti di quegli articoli io l' ho riconosciuto. Ma ho sentito che mancava una voce che parlasse per me e che veniva taciuto di lui qualche cosa di molto significativo, di decisivo anzi: il suo modo di essere “medico”. Questa parola, svilita da una mala pratica diffusa, è, alla sua radice, una parola bellissima e particolarmente significativa. Anche il Professore l’amava e sapeva realizzarla nel suo senso più umano e più nobile: sapeva "medicare".
In questi giorni ho pensato molto ai suoi pazienti, ai miei colleghi in malattia che, fortunati nella sfortuna di star male, hanno incontrato lui sulla loro strada di sofferenza e oggi sento che potrei piangerlo solo con uno di loro. Con qualcuno che, come me, lo abbia conosciuto nel colloquio terapeutico che con lui era, innanzitutto, incontro umano. Un incontro sostenuto da una intelligenza vivissima, da una chiarezza di pensiero straordinarie, e da una cultura così vasta e profonda che arricchiva per semplice “esposizione”. Ma un incontro le cui principali qualità erano l’intensità della sua partecipazione e la delicatezza del tratto, la distanza esatta tra la “com-passione” e la lucidità, qualche cosa di non scomponibile il cui risultato era che ci si sentiva una persona anche quando non si credeva più di esserlo.
Io vorrei che questa sua capacità, umana e professionale insieme, e che il Professore non chiamerebbe MAI arte, trovasse pubblico riconoscimento e in questi giorni dolorosi mi chiedo che cosa potrei fare perché questo accada senza mancare in alcun modo alla sua lezione di riservatezza.
Il professore era infatti un uomo riservato e discreto; non compariva sui teleschermi, né diceva la sua sui giornali ad ogni stormir di foglia o di fatto di cronaca. Ebbi occasione di ringraziarlo per questo e lui mi confessò che, di fronte ai ripetuti inviti ad intervenire in dibattiti televisivi, si era posto l’interrogativo sull’effetto che questo potesse fare ai suoi pazienti e fu contento di sentire dalla mia voce che la sua scelta così controcorrente era stata giusta.
Vorrei aggiungere qualche osservazione critica su di lui. Il Professore se l' aspetterebbe, l’esigerebbe anzi, perché il dubbio, a partire da se stesso, era l’essenza del suo “ragionamento”. Ma mi scuserà, e mi scuserà chi mi legge, se di lui non so, non posso, dire altro che bene.
Non addebitatelo al mio affetto né alla mia gratitudine, che pure sono grandi, ma accreditatelo solo alla sua qualità umana.
Grazie ancora, Professore.

lunedì 3 agosto 2009

non addio




Giovanni Jervis 25 aprile 1933-2 agosto 2009

vacanza & viaggio/tre

breve storia delle vacanze/medio evo





Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio,

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.


Ecco qui il Padre Dante che sogna una piccola crociera tra amici. Tre coppie, discorrere d'amore, e ciascuno contento.
E' lecito sognare ma posso testimoniare che tre coppie su di un vasel possono creare molte turbolenze.

Ma l' Alighieri sognava e viaggiava anche in grande. La Divina Commedia è l'itinerario turistico più ambizioso che sia mai stato progettato. Altro che "Avventure nel mondo" et similia! Basti pensare alla guida: quale viaggiatore oggi può permettersi un Virgilio?

In quegli anni andava in vacanza anche il Boccaccio, villa in collina anche per lui e i suoi amici. E' vero, fuggivano dalla peste. Ma non avete qualche volta anche voi la sensazione di dover fuggire dalla peste? Traffico, rumori, inquinamento, ressa, tutti contro tutti...


domenica 2 agosto 2009

vacanza & viaggio/due

Breve storia delle vacanze/ l'età classica.

E’ con vera soddisfazione che posso affermare che almeno alle vacanze i Greci non ci hanno pensato per primi!
No, sono stati i Romani, con l’invenzione della villa, ad avere l’idea di un soggiorno di riposo in un luogo ameno. La ricetta della vacanza romana comprendeva: bellezze naturali, quiete, buone letture, piacevoli conversazioni. C'era chi inseriva qualche gozzoviglia.
Villa Adriana a Tivoli (foto m.p.)

Le ville romane sorsero al mare e in campagna, sui colli e sulle isole e i romani (i ricchi, naturalmente) vi si recavano per sfuggire al caldo dell’Urbe o allo stress della vita politica e degli affari.
In questo senso, fermo restando che tutte le strade portano a Roma, è vero anche che tutte le strade (delle vacanze) partono da Roma.

Questo mese agostano io tento di ripetere la formula di una vacanza "romana". Gozzoviglia esclusa.

sabato 1 agosto 2009

vacanza & viaggio/uno

Data la stagione ho scelto come tema le vacanze e, più in generale, il viaggio. Sul viaggio ho letto molto e per l'occasione ho rispolverato vecchie letture.

Ma prima parliamo di vacanze e facciamone brevemente una storia liberamente ispirata a Fruttero & Lucentini.

Capitolo primo: il mito
Il primo e inimitabile posto di vacanze è stato l’Eden, luogo e stato insieme, col vantaggio di essere poco frequentato. Ne siamo stati cacciati, dicono, perché non ci siamo comportati bene, come quei turisti volgari e maleducati che imbrattano le tovaglie della sala da pranzo degli alberghi e si fregano i teli da spiaggia. E’ per la nostalgia di quel paradiso perduto che chiamiamo Eden stabilimenti balneari, cinema, ristoranti, alberghi, parchi e agenzie di viaggio? Io rifuggo sistematicamente da locali che portano nome Eden. Non che pretenda sempre l'originale ma questa approssimazione mi sembra eccessiva.

Dopo l’Eden, come prototipo di luogo di vacanze, viene Atlantide. Come meta io la consiglio.Fra i vantaggi di Atlantide c’è il fatto che non si sa esattamente dove sia. Di conseguenza vi saremo irrintracciabili. Esattori, parenti, importuni, se pure ci dovessero un giorno avvistare non faranno in tempo ad interpellarci perché l’isola si inabisserà, felicemente, con noi sopra.


Comunque mi sento quasi sicura che né l'Eden né Atlantide troverebbero, di questi tempi, molti estimatori.
continua...