sabato 11 luglio 2009

appendice a incontri in città

Ero scontenta del modo in cui ho raccontato l'episodio del tassista. Come se ci fosse dentro qualche altra cosa che non ero riuscita a esprimere.
Ma, grazieaddio, la notte veglio e così nello spazio riflessivo del buio, ho capito di che cosa si trattava.

Non mi sono mai identificata con il tassista. Quando ha parlato della bambina portata di notte all'ospedale, io ho pensato/sentito, la bambina, la sua paura, il suo star male senza capire; e ho pensato/sentito la madre, che corre di notte con la bambina in braccio verso l'ospedale. Ma lui, l'uomo, di tutto ciò non mi ha trasmesso niente. Quello che mi ha resa impenetrabile alle sue richieste è stata la sua mancanza di emozioni nel riferire gli episodi. L'ho sentito davvero toccato -delusione e rabbia- quando ha parlato della cugina che gli ha rifiutato i soldi; ma prima, sia quando ha parlato del furto che della bambina che stava male, in lui non c'era emozione. E ricordo perfettamente che quando ho capito che parlava con la moglie ero impaziente di avere notizie della bambina e che ho provato un moto di ostilità nei suoi confronti perché non ne aveva chieste. Mi viene in mente ora che, dall'altra parte, la moglie non ne aveva date. Insomma tra il piano del discorso narrativo e quello delle emozioni necessariamente connesse c'era un solco. La grammatica delle emozioni, all'interno di una stessa cultura, è universale. Di fronte al racconto di un episodio che riguardi un altro noi ci aspettiamo l'apparire di certe emozioni. In quel caso preoccupazione, ansia, dolore, affetto. L'empatia scatta sulla base delle emozioni e non del contenuto narrativo. (Sta qui la differenza tra il cronista di nera e lo scrittore). E' vero che ci sono persone che le nascondono attentamente. Ma, anche in quei casi, nella stessa accuratezza del nascondere, noi riusciamo a leggere l'esistenza di "un qualche cosa" e ci affidiamo alla nostra grammatica delle emozioni per inferire quelle dell'altro.
Credo che il tassista, di cui non saprò mai se aveva davvero una bambina di sedici mesi ricoverata al Bambin Gesù di Palidoro, non sia riuscito a farsi dare i cinquanta o venti o dieci euro perché con lui non è scattata nessuna empatia. L'empatia avviene tra due emozioni, è un riconoscimento, e lì non c'era niente da riconoscere. I cinquanta o venti o dieci euro sono caduti nel solco tra il racconto del fatto e l'assenza di emozioni correlate.

Tutto questo detto solo per capire, non certo a giustificazione di un mancato gesto di aiuto di cui, in tutta sincerità, non mi pento.


5 commenti:

  1. Il tuo taxista, sintetizzo, era un tapino, non certo un genio della truffa...La genialità del truffatore sta tutta nel non chiedere mai, addirittura nel rifiutare l'aiuto, (una prima volta), nel farsi pregare di accettare l'aiuto ed alla fine regalmente cedere...

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  2. io l'avevo capito che tu al tassista gli avresti dato molto di più di quanto chiedeva se ne avessi colto l'autenticità. Molto bella la tua analisi sull'empatia

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  3. l'empatia è una sorta di "effetto speciale" dell'incontro.
    ci sono stati attimi ,nella mia vita, in cui ho sentito delle persone così vicine da poter giocare, sul filo della complicità,tutto di istinto. e nonostante fossero degli estranei ci siamo capiti.
    tutto accade se sei dell'umore giusto al momento giusto.
    l'empatia però può farti sentire anche tutta la distruttività dell'altro, e questo non è piacevole. senti quasi di poter essere contagiato da tal veleno, ma è tutto un non detto...perciò meglio darsela a gambe! e Roth ha ragione, per vivere veramente bisogna sbagliare e, aggiungo io, ricominciare.
    simona

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  4. La mia impressione a pelle (del tutto irrazionale) è che ti avesse raccontato una balla per spillarti i soldi.

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  5. Marina mia bella, mi credi se ti dico che ho lasciato poco fa il commento all'episodio dell'incontro senza aver letto quest'appendice? Posso assicurarti che quello che descrivi qui ora, nell'appendice, è esattamente quello che avevo colto leggendoti? Anche il tuo dispiacere, che traspariva evidente, per non essere riuscita a metterti in contatto emotivo con il tipo, anche quello mi era chiarissimo. Avrei provato anch'io le stesse cose: "distanza" e dispiacere per la distanza.
    Sai, credo che questo genere di sentimento/disagio ce lo ispirino tutti quelli che ci obbligano a fare i conti con una realtà fatta di ambivalenze, di sentimenti negati o perlomeno di sentimenti confinati in fondo alla graduatoria delle necessità.
    Per questo nel commento all'episodio ho usato l'aggettivo orribile, come se mi riferissi a qualcosa di disgustoso, da cui mi viene naturale distogliere lo sguardo con un brivido di nausea nell'anima.

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