giovedì 6 novembre 2008

il segnalibro/uno

Il segnalibro che vedete qui accanto lo acquistai a Recanati qualche anno fa, nel Palazzo Leopardi.
Ne ho fatto un piccolo logo. Servirà a segnalare i miei consigli di lettura. Questi potranno riguardare sia libri di recente edizione, sia vecchi libri che continuano a produrre i loro effetti su di me, sia libri cui sono grata per il piacere che la loro lettura mi ha regalato, sia libri, magari ostici o appena passabilmente scritti, che mi hanno però formata, informata, educata.
Il logo serve perché coloro che non amano ricevere consigli di lettura o coloro che semplicemente non amano leggere, vedendolo, possano tranquillamente passare oltre.

Ah, dimenticavo: il logo segnalerà anche, di tanto in tanto, i miei sconsigli di lettura.






Il primo libro che vi consiglio è:

GILBERTO CORBELLINI - GIOVANNI JERVIS
LA RAZIONALITA NEGATA - PSICHIATRIA E ANTIPSICHIATRIA IN ITALIA
Bollati Boringhieri, Torino - 2008
Euro 12

Il libro si svolge in forma di dialogo tra due studiosi di diversa generazione e formazione. Gilberto Corbellini (Piacenza, 1958) insegna Storia della medicina e Bioetica. Giovanni Jervis (Firenze 1933) medico psichiatra, insegna Psicologia dinamica, ed è psicoanalista di formazione freudiana.

GILBERTO CORBELLINI E GIOVANNI JERVIS

Al centro del loro discorrere c'è la Legge 180 del 1978, la cosiddetta "Legge Basaglia" che dette inizio alla progressiva chiusura dei manicomi e che ha compiuto quest'anno i 30 anni.
Di quella stagione Giovanni Jervis è stato uno dei protagonisti, sia come studioso di psicologia e psichiatria sociale, sia come stretto collaboratore di Basaglia per un periodo, sia come coordinatore di un'esperienza di assistenza ai malati di mente sul territorio (Reggio Emilia). Inoltre i suoi percorsi culturali lo hanno portato in stretto contatto con i più importanti nomi della psichiatria e dell'antispichiatria internazionale. Gilberto Corbellini invece, così si presenta: "ho vissuto sul versante giovanile la seconda metà degli anni settanta, consumando, da studente partecipe della vita extra-parlamentare di quegli anni, la letteratura e le aspirazioni dell'antipsichiatria."
I due studiosi si propongono di applicare uno sguardo scientificamente critico al cammino della assistenza ai malati di mente nel nostro paese, ripercorrendone la storia ben all'indietro rispetto agli anni '70, convinti che " i problemi medico-sanitari non possono essere affrontati senza tener conto delle loro origini e della loro evoluzione sul lungo periodo."
Per questa ragione un capitolo introduce i temi ed i problemi che la psichiatria ha affrontato dalla fine del Settecento, quando il medico e psichiatra francese Philippe Pinel teorizzò e praticò una nosologia delle malattie mentali.
Egli faceva propria l'idea di Locke che le malattie della mente siano "disturbate associazioni di idee o passioni riconducibili a esperienze traumatiche o disordinate." Da Locke in poi, l'aspetto medico del problema psichiatrico si lega più strettamente a quello che allora veniva chiamato "morale" e che oggi definiremmo aspetto psicologico ed esistenziale.
La ricostruzione storica serve anche a far comprendere i ritardi non semplicemente normativi ma essenzialmente culturali con cui l'Italia giunse alla stagione dell'antipsichiatria.
È il terzo capitolo del libro a tentare una ricostruzione delle origini e dei contenuti del movimento antipsichiatrico. Jervis ne rintraccia le origini nelle ideologie controculturali americane degli anni tra il 1950 e il 1966-68, che si incentravano su una "critica al modello dominante di comportamento normale, rifiutando sia le sue norme disciplinari sia le sue pretese di razionalità. Poiché invece rivalutavano, secondo un'ispirazione di schietta radice romantica, il significato delle emozioni e del sentire poetico, gli esponenti della controcultura non potevano che estendere il loro apprezzamento positivo a tutto ciò che viene abitualmente considerato irragionevole.
Diffidenti verso le scienze e ostili alle tecniche "dure", volentieri affascinati dagli spiritualismi, era naturale che attaccassero i presupposti medico-biologici della psichiatria, intesa come disciplina oggettivante e normalizzante, insensibile alla voce dei dissensi e ai diritti della soggettività....da qui "contestazione del concetto di malattia mentale e messa in discussione della separazione fra normalità e anormalità, tentativo di riabilitare "la follia" come variante minoritaria della norma o addirittura come forma di saggezza."
Ma l'antipsichiatria ebbe anche una radice clinico-scientifica relativa ad una serie di orientamenti sviluppatisi negli Stati Uniti. L'antropologia culturale, con la relativizzazione culturalista del concetto di norma (Margareth Mead e soprattutto Ruth Benedict); gli studi sociologici sulla devianza (Edwin Lemert e David Matza); alcune correnti della psicologia dinamica solo indirettamente legate alle idee di Freud e generalmente note come "umanistiche", le quali sostenevano che le vicissitudini della mente potrebbero essere interpretate, anche qualora comportino sofferenza e disordine, come espressione di una ricerca individuale di senso e come un processo di crescita interiore (Maslow, Carl Rodgers); altre correnti psicodinamiche, più decisamente distanti da Freud, le quali sostenevano che i disturbi mentali non sono alterazioni nell'individuo, ma alterazioni dei rapporti tra gli individui (Bateson, Harry Stack Sullivan)." Tutte queste correnti ebbero il merito di mettere a fuoco temi importanti all'interno delle problematiche psicologiche e psichiatriche.
L'importante discorso affrontato veniva però portato fuori strada dagli accoppiamenti fra l'antipsichiatria e le ideologie anti-moderniste, anti-razionaliste e anti-scientifiche.
Negli atteggiamenti che si diffusero in quegli anni Corbellini individua la radice di una corrente di "antimedicina" che sopravvive ancora oggi.


Si affermò che la malattia non può avere solo una definizione naturalistica. Che cosa sia malattia e cosa non lo sia, veniva osservato, dipende anche dal contesto socio-culturale; proseguendo in questo modo di ragionare, però, si arrivava ad abbracciare in pieno il relativismo epistemologico. Ne nasceva infatti la demolizione dell'idea di malattia come realtà oggettiva, analizzabile nei suoi aspetti clinici e scientifici, e invece veniva aperta la strada a orientamenti multiculturalisti e a concezioni globalistiche (o olistiche) della persona, a carattere per così dire, sintetico-intuitivo. (Corbellini).
Da qui le pratiche mediche non convenzionali basate sulle tradizioni popolari, in genere non occidentali.

Il libro ripercorre quindi la vicenda culturale di Basaglia da una stagione vissuta all'interno di una mentalità medico-psichiatrica piuttosto classica, percorsa però da una grande empatia verso il sofferente mentale, fino all'incontro con Asylums di Goffman e con l'antipsichiatria. Ciò nonostante "ciò che venne fatto nell'ospedale psichiatrico provinciale di Gorizia non era antipsichiatria e nessuno a Gorizia, a cominciare da Basaglia stesso, aderiva alla tematica propria di quell'orientamento: non vi era alcuna idealizzazione dei deliri e della follia, non si affacciava nessun tentativo di limitare l'uso dei farmaci per motivi ideologici, non passava per la testa di sostenere che i disturbi mentali nascessero solo dalle contraddizioni sociali."
L'esperienza di Gorizia divenne universalmente nota con la pubblicazione del libro L'istituzione negata nel 1968.
Il libro ebbe uno straordinario successo, divenne quasi un manifesto e servì a sensibilizzare l'opinione pubblica verso i problemi psichiatrici ed i temi dei "diversi" e della emarginazione sociale. Il libro gettò anche le basi del "mito Basaglia", costituitosi non per sua volontà, che idealizzò la sua immagine e talvolta la deformò con proiezioni particolari. In quegli anni Basaglia arrivò alle posizioni di Michel Foucault, apparentandosi, infine, alla antipsichiatria. Non quella di Laing e Cooper; Basaglia non sostenne mai che i disturbi mentali non esistono, non rifiutò di usare gli psicofarmaci, non esaltò le sregolatezze della mente"
In quel periodo però egli insisteva che "qualsiasi problema di cura psichiatrica e di creazione di nuove e diverse strutture assistenziali andava collocato in secondo piano, e forse persino accantonato, fin tanto che la battaglia per la chiusura dei manicomi non fosse stata portata a compimento. "Il tema dello studio scientifico della natura dei disturbi mentali e delle loro terapie veniva denunciato come una diversione o come un alibi che impediva di affrontare il vero problema, quello della reclusione psichiatrica."

Nei capitoli successivi il libro, dopo aver ricostruito e fatto luce su questa vicenda spesso mitizzata e messa al servizio delle ideologie, ripercorre cronologicamente le vicende culturali e le esperienze del movimento antipsichiatrico in Italia e all'estero.
L'ultimo capitolo fa la storia della legge 180 e getta le basi per una discussione che esamini le conseguenze prodotte e indichi i miglioramenti che si potrebbero fare nella cura e nella prevenzione delle malattie mentali.

Il libro, che ha già sollevato vivaci polemiche, è pieno di ragionevolezza nelle sue tesi, tutte confortate da dati storici; offre date e dati, fatti e numeri, ma soprattutto si offre come occasione per riportare all'attenzione dell'opinione pubblica il tema della sofferenza mentale che nel nostro paese, dopo essere diventato oggetto di battaglia politica ed ideologica è stato lasciato cadere nel silenzio e in una irresponsabile dimensione privata.

Io penso che il libro possa essere di grande interesse sia per tutte quelle persone che hanno partecipato con entusiasmo al movimento per la chiusura dei manicomi, e hanno sentito in quegli anni il tema della salute mentale come tema politico, sia per quanti non hanno vissuto quegli anni e vogliono comprendere lo stato attuale dell'assistenza alle patologie mentali nel nostro paese.





19 commenti:

  1. Lunga questa antipsichiatria. Chissà perché la psichiatria mi ha interessato di più sul versante letterario che su quello terapeutico. Sul versante letterario ha rappresentato con Freud e Jung una grande apertura alla letteratura, alla mitologia, alle fiabe, ai sogni (per non parlare delle arti figurative)... In questo ha creato (la psicoalisi) a sua volta miti che sono entrati con grande forza nella cultura comune, hanno influenzato gran parte della letteratura del '900 ecc... Non so se mi sbaglio o è una impressione di persona estranea al mondo della malattia mentale (se non come utente, fra non molto), ma non mi pare che ci siano stati effettivi progressi sul fronte strettamente terapeutico... Alla fine la malattia mentale non può che essere accettata dalla società come una variante spesso assolutamente innocua del vivere...Utopia in una realtà che si fonda sempre di più sulla omologazione...

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  2. Grazie Marina di questo post,
    mi hai fatto venire voglia di leggere questo libro. Anche se confesso che la critica a tutte quelle correnti che hanno cercato di instaurare un rapporto dialettico anche con gli aspetti non razionali dell'esperienza umana liquidate come semplici espressioni di romanticismo mi sembra l'ennesima espressione di un certo provincialismo della cultura italiana che non pare volersi prendere la briga di cercare di conoscere gli sviluppi successivi agli anni 60-70 delle cosiddette psicologie della terza scuola. Infatti credo grazie al cattocomunismo imperante in questo paese dovuto a un' improbabile alleanza tra marxisti materialisti e oscurantisti baciapile molto poco si sa e si è discusso degli sviluppi di quella corrente della psicologia che ponendosi sia come alternativa alla psicanalisi che al comportamentismo viene genericamente chiamata psicologia umanistica, terminologia questa desueta anche perchè se proprio dobbiamo usare delle etichette da essa è nata la psicologia transpersonale che a sua volta si è trovata come interlocutore tra gli altri il cognitivismo e le neuroscienze, che certo non esistevamo come interlocutori quando la battaglia era tutta tra freudiani e comportamentisti, insomma il libro mi interessa ma mi suona vecchio come quasi tutto quello che vedo fare e dire in questo paese, spero che questo non suoni come un vano e vanesio sfoggio di cultura bensì come invito ad un dibattito che alle volte mi sembra che manchi ...

    un abbraccio bip :-)

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  3. Dal punto di vista farmacologico i passi avanti sono stati enormi. Oggi esistono farmaci (gli antipsicotici) in grado di sedare sintomi gravissimi con scarsi effetti collaterali, antidepressivi sempre più mirati e meno invasivi e ansiolitici di ogni tipo. Resta il fatto che la risposta al farmaco è sempre individuale. Io ho conosciuto persone che hanno provato tutti gli antidepressivi esistenti e che non hanno avuto il minimo effetto, nè positivo nè negativo. La malattia mentale sicuramente esiste ma i "matti" non sono qualitativamente diversi da noi, semplicemente i loro sintomi sono quantitativamente più forti di quelli delle nostre nevrosi. La causa delle psicosi è quasi sempre da ricercare in pessime o inesistenti relazioni affettive vissute nei primi mesi di vita che non permettono di prendere coscienza che esiste calore umano, affettivo e quindi fiducia in se stessi e nel mondo. La cura, oltre ai farmaci che sedano i sintomi, è soprattutto relazionale, bisogna cercare di far provare a queste persone quel calore che non hanno mai sentito, anche se nei casi gravi è difficilissimo perchè tendono a rifiutarlo anche se sincero, perchè accettarlo vorrebbe dire entrare in contatto con una ferita devastante che non sopportano di rivivere.

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  4. @giorgio

    non pensi che parlare di una ferita devastante che non è possibile accettare, sia in qualche modo un aprirsi ad una considerazione non solamente razionale dell'esperienza umana ?

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  5. Intervengo in punta di piedi perché, mentre, in anni lontani, pensavo che chiunque potesse dire la sua sulla malattia mentale in quanto sintomo di scissioni nella società, ho sviluppato negli anni una diversa consapevolezza. Il malato mentale ci interessa ed è tema sociale, ma va restituito ALLE SCIENZE (plurale) quello che la sociologia e la politica gli avevano sottratto in anni molto ideologici.
    Una sola notazione per bip: tieni conto che ho selezionato brevi paragrafi. Gli sviluppi lungo gli anni 70, 80 e 90 sono esaminati. Personalmente temo che il provincialismo della cultura italiana sia innanzitutto retaggio dell'idealismo e della scarsa considerazione della cultura scientifica. La cultura diffusa del nostro paese è ancora pre-scientifica.

    @Guglielmo il mio interesse per l'antipsichiatria fu politico, poi mi sono interessata di psichiatria come utente. E' vero, è formidabile quello che è stato prodotto nella letteratura del '900 a partire dalle scienze della mente.
    L'idea della malattia mentale come semplice variante del vivere ti colloca a diritto dentro l'anti-psichiatria di Cooper.Io invece ne sono uscita quando la malattia mentale l'ho conosciuta di persona.

    buona giornata e buon dibattito a tutti
    marina

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  6. @marina

    Hai ragione in questo paese non si è mai arrivati ne al razionalismo cartesiano ne ad un sano empirismo di stampo anglosassone, ma siamo sicuri che la chiesa cattolica ed i figliocci marxisti dell'idealismo non abbiano dato anche loro una mano ?

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  7. @marina Tu dici che la definizione di cosa è malattia mentale va giustamente lasciata alla scienza e agli scienziati. In linea di principio sono d'accordo. Ognuno dovrebbe fare il suo lavoro e quando i palazzi crollano dovrebbero essere gli ingegneri e gli architetti a discuterne le cause e gli eventuali rimedi. Però cosa sia la scienza ed uno scienziato credo sia una questione spero non conclusa anche per molti scienziati.

    In ogni caso la domanda è un altra, se ritieni che di queste cose debbano occuparsi gli addetti ai lavori, cosa ti ha spinto a suggerire la lettura di questo libro ? Perché io e te che non siamo ne psichiatri ne psicologi ne psicoanalisti o psicoterapeuti dovremmo leggere questo libro ? e dopo averlo letto a che titolo possiamo/dobbiamo discuterne ?

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  8. bip: è molto semplice che cosa mi ha spinto. Il fatto che questo è essenzialmente un libro di ricostruzione storica, non suggerisce né caldeggia terapie. Naturalmente anche le ricostruzioni storiche sono suscettibili di parzialità, ma se aspiriamo alla Verità assoluta forse è il caso di leggere solo fantascienza, librandoci nel campo della pura fantasia. Se non si può suggerire un libro così non si può suggerire neanche "Storia della colonna infame" di Manzoni o "La storia delle crociate" di Runciman. Ne ho scelti due a caso.

    Quanto al secondo tema:
    Io penso che gli addetti ai lavori debbano occuparsi di curare le persone, ma che il tema della malattia mentale, nei suoi aspetti di assistenza e organizzazione sul territorio, sostegni, costi ecc, come ogni altro sia di interesse sociale e quindi che ogni cittadino abbia il diritto di discuterne.
    Esattamente come discutiamo delle liste di attesa per una risonanza nei nostri ospedali o del ticket sui farmaci. In che cosa dovrebbe differire questo tipo di malattia?
    Il libro che ho suggerito non è un libro esoterico, per pochi addetti; parla di una vicenda che fa parte della storia anche politica di questo paese. Mi sembra assurdo che per leggerlo si debba essere psichiatri o psicologi o psicoterapeuti o psicanalisti. Forse dovresti leggerlo per decidere chi può legittimamente farlo ;-)
    Quanto al discuterne, a me basta la mia intelligenza, la mia cultura generale, i miei ricordi, le mie precedenti letture e il mio semplice buon senso. Cioè mi basta esattamente quello che mi basta per leggere qualsiasi altro libro del genere. Del resto se ad uno storico ed ad un testimone non concediamo di ricostruire una vicenda, a chi lo concediamo?
    Penso che o non sono stata capace di spiegare che tipo di libro è, oppure in te si nasconde un pericoloso censore!
    al prossimo capitolo, marina
    PS la vicenda della legge 180, come pure l'esperienza Basaglia, è stata ricostruita e studiata anche da storici della medicina inglesi e americani.
    Fa scandalo? Avrei il diritto di leggerli?

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  9. @marina

    Mi dispiace se il mio intervento aveva delle risonanze censorie, in realtà voleva essere libertario. Ma alcuni credono che i peggiori autoritari sono quelli nascosti nell'inconscio degli anarchici. Si vede che il mio dittatore interiore è sempre all'erta. In realtà io volevo solo amicalmente altercare con la fiducia che tu riponi nella scienza e negli scienziati. È molto interessante che invece alla fine questo mio moto di anti-autoritarismo sia stato da te percepito come una censura, io non stavo mica dicendo che tu o io non ne dobbiamo parlare, semmai stavo mettendo in discussione l'esistenza di una univoca definizione di scienza e scienziati e di conseguenza la possibilità di limitare qualcosa ad un ambito e a degli interlocutori che non possono essere definiti in maniera univoca.

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  10. bip: non so se in te si nasconda un dittatore, ma sospetto che tu ospiti un nemico della scienza, un relativista ad oltranza. Temo che se rinunciamo ad una definizione il più possibile condivisa di scienza finiremo con il rinunciare alla scienza stessa. Cosa per altro dilagante...
    A quando un bell'altercare a voce?
    marina

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  11. @marina

    possiamo altercare a voce quando vuoi, Io non so se sono un relativista ad oltranza, certamente non mi considero un nemico della scienza. Quello che penso è questo:

    Credo che quando si parli di scienza di parli cose molto diverse da una parte quelle che gli anglo-sassoni chiamano le "hard sciences" le scienze dure la fisica e la matematica e tutte quelle scienze che si prestano ad esprimersi usando i metodi e le misure di queste scienze, per cui abbiamo chimica, biologia, le varie disclipline ingegneristiche insomma le scienze della natura. poi ci sono le scienze umane che ovviamente, siamo liberi di classificare come pseudo-scienza se sottoscriviamo una definizione restrittiva di scienza, ora i però mi rifiuto di considerare non scienza tutto ciò che non può essere ridotto alla fisica e alla matematica. Per cui credo che la medicina, la psicologia la biologia che siedono al crocevia di molte scienze da una parte biochimica, anatomia e fisiologia dall'altra parte le psicologie dinamiche, le scienze cognitive, l'antropologia la filosofia e chi più ne ha più ne metta. Insomma se rivendicare ora e sempre un approccio critico ed autocritico a tutte le forme di conoscenza mi rende un relativista ad oltranza allora lo sono :-)

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  12. bip: prima di rispondere vorrei che mi riformulassi il paragrafo da "Per cui credo..." a "più ne metta". Ti sei mangiato un verbo? o so' de' coccio io?
    marina

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  13. P.S.

    Concordo sulla pericolo di una diffusa rinuncia a qualsiasi tipo di approccio scientifico. Secondo me si tratta di quello che un autore a me caro e per quello che ne so quasi totalmente sconosciuto in Italia K.Wilber chiama la "Pre-Trans" Fallacy" ovvero la confusione del prima con il dopo. Tu sei giustamente preoccupata della onnipresenza di atteggiamenti pre-scientifici, mentre io dal solito utopista visionario che sempre resterò vado cianciando di una possibile mentalità post-scientifica.

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  14. Hai ragione Marina, nella mia "vis polemica mi sono mangiato un pezzo, sono io quello di coccio.

    Per cui credo che la medicina, la psicologia la biologia che siedono al crocevia di molte scienze da una parte biochimica, anatomia e fisiologia dall'altra parte le psicologie dinamiche, le scienze cognitive, l'antropologia la filosofia e chi più ne ha più ne metta. Credo che queste scienze di confine, scienze che siedono nei crocevia non possano essere totalmente ridotte alla logica fisica-matematica che per 'altro mi dicono che quando si scende al livello di particelle sub-atomiche sia anche essa piena di bizzarrie. Insomma se rivendicare ora e sempre un approccio critico ed autocritico a tutte le forme di conoscenza mi rende un relativista ad oltranza allora lo sono :-)

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  15. Accordiamoci sull'approccio critico ed autocritico rispetto a tutte le forme di conoscenza.
    E' vero che tu ti preoccupi per il post-scientifico ed io per il pre. Ma sono i visionari come te che cambiano il mondo; la gente come me lo descrive solo...
    ti abbraccio
    PS Non posso farne a meno, non vorrei ma è più forte di me: quel periodo che ti ho segnalato, manca ANCORA del suo predicato verbale. Apri una oggettiva e poi una relativa e non le chiudi...
    mi fa soffrire e mi impedisce di capire
    perdona la vecchia professoressa che NON si nasconde in me

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  16. Ci hai ragione professore' manca il predicato, non sono capace di scrivere di getto, in realtà per articolare le mie idee per iscritto ho bisogno tempo, devo scrivere riscrivere rileggere e riscrivere temo di essere di un altra epoca :-(

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  17. Davvero molto interessante, te lo dice uno del ramo che purtroppo non ha fatto in tempo a conoscere personalmente Basaglia.

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Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo