lunedì 14 luglio 2008

fare attenzione

Notte.
Il silenzio mosso della città e la persiana disegnata sul soffitto.
Ogni tanto si irradia un'automobile veloce.
So benissimo di non essere sola e infatti non mi sento sola.
Siamo in tanti a entrare svegli nella notte e ad assaggiare il sonno come una piccola tartina, un aperitivo cui non segue pietanza.
Ogni tanto un cane protesta, lamentevole. Lui sì, si sente solo.
Dal lato opposto della casa, al quarto piano del palazzo di fronte, le ultime due finestre a sinistra restano accese tutta la notte, tutte le notti.
Non so chi vi abiti, né come distragga la sua insonnia.
Quanto a me, io scrivo. Blocco e matita sempre accanto a me sul letto.
Ma qualche volta il corpo è stanco e vuole stare disteso. Così scrivo a mente.
Scrivo con precisione, non formulo pensieri alla rinfusa. Metto i punti, le virgole, scelgo gli aggettivi o li casso tutti, vado a capo. Insomma scrivo su un foglio di carta che è allargato nella mia testa. Sono io il mio blocco.
Al mattino può succedere che io ricordi tutto distintamente e lo metta su carta.
Oppure che tutto sia svanito proprio come la notte. Ma non importa. Il Professore, di fronte alle mie difficoltà, mi incoraggiava a scrivere sul cielo della mia mente.
"Faccia finta di parlarmi e pensi in chiaro i suoi pensieri."
Io sorridevo tra le lacrime. Benedett'uomo, io le parlo continuamente!
A quei tempi stavo male.
Ed ogni volta che ho ricominciato a stare male l'ho subito capito proprio da questo: che in casa o per strada, intenta a qualche cosa o non facendo niente, conversando con qualcuno o guardando la televisione, io parlavo al Professore. La mia attività cerebrale si divideva e ne sperimentavo due parallele. Una parte del mio cervello -quale parte, Professore? me lo rispiega?- si indirizzava a lei: "Vede Professore? Sa Professore?" e le descrivevo il mio fare o non fare, la conversazione che intrattenevo, lo spettacolo in televisione e persino il libro. E soprattutto ogni minima increspatura della mia coscienza. Cercavo un interlocutore, un testimone ed un interprete, cercavo la spiegazione del mistero confuso dentro cui mi sentivo vivere. Poi quando la incontravo -il suo sorriso incoraggiante, la sua bellissima g toscana- per qualche minuto mi sembrava di averle già detto tutto, tutto già passato dalla mia mente alla sua. Ma non era mai così, c'era sempre tanto da dire, così tanto da dire.
Adesso no.
Anche se questa sua comparsa tra le mie parole un po' mi mette in allarme.
Cioè, non la sua comparsa, come ricordo, ma questo suo virare, nelle ultime righe, da ricordo a interlocutore.
Sarà il caso di farci attenzione.

5 commenti:

  1. Vedi, Marina, quando ti ho assegnato quel piccolo premio mi riferivo esattamente a questo. Ad una pagina piena e corposa come "fare attenzione" al sentimento del tempo che scorre e nessuna direzione è quella definitiva. Mi riferivo al senso d'eternità che, a volte, riesci a dare all'effimero delle nostre parole. Grazie.

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  2. @enzo: grazie a te. Tu sei generoso.
    marina

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  3. Sei un'emozione che si ripete immancabilmente, e tanto è più forte quanto più mi ritrovo nelle cose che scrivi. Anch'io, a volte, prima di addormentarmi, scrivo con la mente. Le mie cose migliori vengono fuori in quelle occasioni. Poi dimentico. Sulla carta, o sul pc, finisce solo la crusca.

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  4. scrivere a mente ... con la punteggiatura
    mi manca questa potenzialità della mente

    sullo svegliarsi di notte mi hai fatto associare quest'altro esercizio filosofico:

    Guardare l'altra dormire
    Durata: qualche minuto
    Materiale-, l'altra che dorme Effetto: tenerezza

    Conoscete ogni centimetro della sua pelle, il suo timbro di voce, ogni battito di ciglia e quasi tutte le sue reazioni. Amate la sua risata, il suo portamento e perfino, per esempio, una piccolissima imperfezione che conoscete forse solo voi. Insomma avete già avuto l'occasione di incontrarvi, eppure contemplandola mentre dorme avrete sicuramente l'impressione di non conoscerla affatto. Il suo viso non é più presente e come se si fosse assentato dall'interno. Gli occhi chiusi, il corpo languido, la posizione inattesa, la caparbia innocenza e quel respiro che si avverte come ennesimo abbandono. Perché provare questo strano miscuglio di infinita fiducia, di leggera inquietudine e di vago imbarazzo, come se contemplaste una scena che non dovreste affatto vedere. È sicuramente la sovrapposizione di presenza e di assenza che crea questo turbamento. Forse non sapete più veramente se la Bella addormentata è proprio la donna che amate e non lo saprete mai. Può essere divertente. Non vi resta altro da fare che portarla nella vostra tenerezza dove l'aspetterete nel più rigoroso silenzio senza che lei ne sappia nulla.

    Roger - Pol Droit, Piccola filosofia portatile, Rizzoli, 2001, p.167

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  5. Molto bello questo post. Sai, io sono appena all'inizio della mia lotta personale contro l'insonnia e non riesco ad essere così serena e rassegnata come te. Innanzitutto per me non è questione di accontentarsi di una tartina. Il problema è proprio addormentarmi. Se non riesco ad addormentarmi subito mi monta un nervoso che mi impedisce di fare qualsiasi cosa.
    Io il Professore non ce l'ho, nè riesco a "scrivere con la mente" però l'espediente di raccontarmi storie, viaggi che ho fatto, film che ho visto, ecc. l'ho usato tante volte. Spesso ha funzionato ma ultimamente no. :-(

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