mercoledì 18 giugno 2008

vizi capitali/cinque/superbia

Più o meno un anno fa iniziavo una mia piccola riflessione sui sette vizi capitali guidata dalla serie di sette piccoli libri della Raffaello Cortina Editore.
Dopo quattro puntate la lasciai in sospeso, distratta da altri temi.
Recentemente però, un commento in cui EnzoRasi mi definiva "altera" me lo ha fatto tornare in mente.
Lì per lì ho provato solo un moto di sorpresa e lungi dal considerarla un'offesa, o una critica, mi sono sventatamente crogiolata nell'idea che si trattasse addirittura di un complimento. Mi sono cioè immaginata come una di quelle donne di regale bellezza che con inscalfibile sicurezza di sé entrano in una sala e ottengono d'emblée un tributo di ammirato ossequio.
Non so, un po' l'effetto che produce Grace Kelly quando compare davanti a Cary Grant in abito di chiffon blù notte nel film Caccia al ladro.
A chi non piacerebbe vedersi come la protagonista di questa scena? Soprattutto se invece, nella vita reale, ci si sente tutt'altro che una Grace Kelly e si entra e si esce dalle sale spesso intruppando nella propria stessa fretta e precipitazione.
Successivamente però ho riflettuto su quella parola lasciata cadere lì e mi sono resa conto che una donna altera, con appena una punta in più di malevolenza, può anche essere definita superba. E la superbia lei, non mi piace. Né mi piace essere vista così, qualunque sia il film che si sta girando.
Mi è rimasta comunque la piccola curiosità di sapere se ero stata definita altera perché immaginata come Grace Kelly o perchè considerata come Capaneo.

Naturalmente so bene che altero e superbo non si equivalgono nella nostra lingua.
Una persona altera, a detta del Devoto-Oli, è "improntata a maestà, dignità, fierezza."
Tutte caratteristiche che ben possono attribuirsi alla Grace Kelly in chiffon blù notte.
Mentre un superbo è "assolutamente convinto della propria superiorità sugli altri (reale o presunta) e quindi abituato a trattarli con arroganza e disprezzo."
L'altero invece non ha alcun bisogno di trattare nessuno con arroganza né con disprezzo, perché gli altri si inchinano spontaneamente di fronte a lui, cui riconoscono appunto questa superiore "degnità".
Inoltre, una persona altera non è tale per effetto di un suo consapevole atteggiamento, per un suo concorso attivo, ma per lo sguardo che le viene tributato dagli altri. L'altero è innocente, il superbo no. Un superbo mette in scena un comportamento attivo, il superbo fa il superbo.
Come sempre sono affascinata dalla ricchezza della nostra lingua che scava così sottilmente nella realtà, procedendo a definirla, lembo per lembo.
Ma dopo questo autocompiacimento di parlante, per prossimità analogica, mi sono ricordata di aver tralasciato di parlare della superbia, il vizio capitale e sono tornata ai miei piccoli libri.

Di superbia si occupa Michael Eric Dyson, un pastore battista della Pennsylvania: è uno degli intellettuali neri più accreditati negli USA e si occupa di critica sociale.


All'inizio Dyson ci fa una brevissima storia della superbia.
Dai greci fu condannata senza remissione, come il più grande dei vizi; così la giudicano Omero, Tucidide, Erodoto, Eschilo, Platone: la Ηyβρις distrugge tutte le altre virtù che garantiscono il vivere civile.
Solo Aristotele, non a caso un bel po' immodesto e aristocraticamente superbiotto, considera la superbia un "ornamento delle virtù": colui che si ritiene degno di grandi cose, essendone davvero degno, per Aristotele merita ciò che rivendica, è giustamente superbo.

Per il cristianesimo la superbia fu il peccato capitale per eccellenza. Da Gregorio Magno ad Agostino a Tommaso d'Aquino, non ci sono voci discordanti.
Dopo i padri della chiesa anche i filosofi e i poeti vedono nella superbia il più grave di tutti i peccati. Così Alexander Pope, Jonathan Swift, David Hume, Baruch Spinoza.

Essendo un pastore Dyson si interessa alla superbia espressa nella fede.
Il fedele superbo perde "un sano scetticismo circa la propria religione, e il tormentoso interrogarsi che una fede autentica genera."
"L'orgoglio della propria religione, della maniera in cui qualcuno interpreta e si pone al servizio di Dio, è un'aberrazione della fede".
Qui Dyson spende qualche parola di stima, orgoglioso ma non superbo, per la Chiesa Battista, cui appartiene, da cui ha imparato che "dobbiamo rispondere non solo a Dio, ma anche agli altri esseri umani".
Alla scuola della Chiesa Battista Dyson ha imparato anche ad impadronirsi della versione positiva della superbia: l'orgoglio.
(Io ho letto il libro in traduzione italiana -di Alessandro Serra- e non so quale termine Dyson usi nella sua lingua per esprimere la differenza di concetto. Tranne nel capitolo tre in cui, a proposito dell'orgoglio dei bianchi, lo chiama appunto "hubris", cioè la Hybris greca.)
La sua attenzione si rivolge all'orgoglio etnico, quel sentimento legato all'appartenenza ad un gruppo con alle spalle una storia.
Analizza molto bene il meccanismo per mezzo del quale si è imposto l'orgoglio bianco, che fa riferimento ai bianchi come alla universalità umana e mostra come negli USA questo orgoglio razziale si sia mascherato, di volta in volta, da orgoglio civico, orgoglio americano, orgoglio individuale. Questo orgoglio bianco ha compresso l'orgoglio nero, umiliato già dal tragico incontro storico con i bianchi, determinando una mancanza profonda di autostima da parte dei neri.
I neri, ci dice Dyson, si lasciano "penosamente sedurre dal fascino del disprezzo verso se stessi... Per i neri "l'acqua bianca è più bagnata".
Dyson appassionatamente si rivolge ai neri afro-americani perché ricordino la lezione di Martin Luther King: "Dobbiamo levarci in piedi e dire: Sono nero e sono bello..." (I have a dream).
I neri debbono apprendere il "giusto orgoglio" di se stessi, "della propria carne e della propria mente", schivando le trappole che l'orgoglio bianco continuamente tende loro e liberandosi dalla "fascinazione del colore chiaro" che percorre le elites nere degli USA.

Ho trovato particolarmente interessante la parte finale del libro in cui Dyson, parlando dell'orgoglio bianco come "superbia" identitaria affronta il dibattito sulla identità americana. Prima dell'11 settembre del 2001 questa identità era vista come fluida, comprendente diverse lingue, o etnie, o religioni; facente perno, secondo l'area, su maggioranze diverse, sicché gruppi minoritari in alcune aree del paese potevano invece contribuire a costituire la maggioranza "americana" in altre.
Dopo l'11 settembre del 2001 "si stabilì un profilo rigido e preciso di chi e di che cosa fosse veramente americano. E questo concetto lasciò poco spazio al dissenso o alla contestazione."
L'accentuata rigidità nello stabilire il "noi" portò alla identificazione di un più vasto "loro". La paura porta ad un restringimento dei canoni identitari e ad alla demonizzazione di un "loro" sempre più ampio.
Attraverso questo meccanismo l'orgoglio nazionale, legittimo, diviene inevitabilmente superbia. Questo è il rischio per gli Usa, dice Dyson. (Per me è molto più che un rischio e l'11 settembre ha solo aggravato una situazione di scarsa consapevolezza del profilo della politica estera del proprio paese da parte dei cittadini degli Stati uniti d' America.)
In questi giorni dice Dyson sono ancora validi gli ammonimenti che il teologo cristiano Reinhold Niebuhr rivolse alla nazione americana nel 1950, durante la guerra di Corea, quando Mac Arthur voleva bombardare la Manciuria:
"Le grandi nazioni sono troppo forti per essere distrutte dai loro nemici. Ma possono essere facilmente sconfitte dalla loro stessa superbia."

9 commenti:

  1. Bene! Prima o poi, Marina, una riflessione sulla superbia dovrò farla anch'io. Non so come mai, ma il concetto di ybris, scoperto e appreso al Liceo, è uno di quelli che più radicalmente mi è penetrato dentro.
    Io - che sono persona, talvolta, da non disdegnare un certo sguardo arrogante sulle cose (lo ammetto, ahimè) - mi autocorreggo nel giro di pochi istanti pensando, ormai di default: "ybris: ricorda quanti casini ha combinato in quei poveri eroi greci". E in questo modo, lo sguardo spontaneamente arrogante diventa più morbido e meno giudicante.
    Perché ti dico tutto questo?
    Non lo so. Da un lato, perché mi è piaciuto molto l'incipit del tuo post (anche se, perdonami, devo dissentire: Grace Kelly è un'odiosissima e arrogante americanozza arrivista. Solo, più bella di tante altre). Dall'altro perché - sembra incredibile - la letteratura, l'arte e la cultura possono essere un aiuto valido per correggere i propri difetti... E questo è un pensiero consolante.
    Buon inizio giornata!
    V

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  2. ho qui a portata di mano quasto libro: Dizionario delle sentenze latine e greche a cura di renzo tosi, Rizzoli bur 2007.
    tosi colloca le citazioni sulla superbia nel capitolo vizi e virtù e nel sottocapitolo "la superbia e l'ira"
    non trovo citazioni per me memorabili.
    forse questa come avvertenza preventiva: "qui se ipsa laudat cito derisionem invenit".
    o quest'altra , come monito sulle conseguenze:
    "Contritionem praecedit superbia"
    grazie per la tua colta camminata sul tema
    buone ore
    amalteo

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  3. Per come la vedo io, l'America (intesa come Stato, come Governo, non come popolo) non è orgogliosa, ma solo superba...

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  4. Quoto Franca.

    E' vero, la nostra lingua è meravigliosamente variegata!
    Per questo la considero la lingua più bella del mondo!
    ..Anche se poi, bisogna stare molto attenti a come si parla, onde evitare un linguaggio improprio!;)
    Ciao Marina!

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  5. @ franca: la vediamo allo stesso modo. Il rischio non è mai stato solo rischio. E' paradossale che un paese con così tante fonti di informazione sia privo della conoscenza di così gran parte della sua storia recente. Io ho incontrato in anni lontani molti Americani ed ogni volta non credevo alle mie orecchie di fronte alla loro inconsapevolezza di quello che hanno rappresentato per molti popoli. la situazione ora mi sembra ancora più grave
    marina

    @ amalteo: Io ricordo solo il verso feroce di Petronio In sinum suum conspuit In pratica il superbo che sputa tenendo la testa alta si vede ricadere addosso il suo sputo.
    Poco elegante ma efficace!
    marina

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  6. Ti ho sentita altera non superba nè tantomeno sprezzante; ma non era un complimento o non era solo quello. Io non ho altro modo di conoscerti che leggere quello che scrivi, la stessa cosa vale per tutti qui sul web poichè io non conosco nessuno personalmente...non vedo il tuo viso , non vedo come muovi le mani o gli occhi, come cammini e come ti siedi. Sono quasi cieco in pratica e per rimediare pianto il mio cervello dentro le tue righe, le analizzo fino a farle sanguinare e ne ascolto il loro ondeggiare. Sei colta e ne sei cosciente, sei fragile e ne hai paura, per questo ti difendi con eleganza e lucidità; se il discorso prende una piega ideologicamente estranea ai tuoi gusti sai tagliare con fermezza e crudeltà ( che poi paghi a caro prezzo).Raramente mostri la levità profonda del tuo animo, la sua affettività tenace e discreta.
    Così ti sento e ti commento: alla pari con lo sguardo puntato sul tuo, ti parlo seriamente, sempre. Ma tu non mi sorridi mai perchè fondamentalmente non ti fidi di altri da te e non c'è nulla da ridire su ciò. Ciao, che la sera ti sia amica Marina.

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  7. ciao enzo, intanto spero sia chiaro che il mio tono era scherzoso e che la tua definizione mi è servita come spunto. Qualunque fosse la tua intenzione, non mi sento offesa.
    Qui sul web siamo tutti ciechi. Chi più, chi meno.
    Ma questa cecità ci lascia anche tanto spazio per immaginare gli altri come vogliamo. Malgrado la difficoltà del mezzo io mi fido del mio istinto e fino ad oggi non mi ha ingannata. In un breve commento sei riuscito a mettere tantissimi elementi di riflessione e te ne ringrazio. Ne approfitterò sicuramente. Una sola curiosità:nello scrivere "paghi a caro prezzo" ti riferisci al web? Mi sorprenderebbe, perché sul web ancora non ho pagato prezzi. Fino a qui m'è andata bene ;-)
    un sorriso amico, marina

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  8. "Attraverso questo meccanismo l'orgoglio nazionale, legittimo, diviene inevitabilmente superbia"...
    Non è un pericilo che stiamo correndo anche qui in Italia?
    Per quanto riguarda quello che si dice di te, io sono sempre un po' sconcertata, al di là del parlare bene o male di come si riesca a dfinire le persone leggendo dei post. Certo ce ne facciamo un'idea, possiamo sentire affinità o meno, simpatia o antipatia, ma dire "tu sei... e addirittura azzardare deduzioni... non so, non mi piace. So quanto è difficile conoscere una persona e presumere di conoscerla attraverso i suoi scritti questa sì mi sembra un po' presuntuoso. Ma è un mio parere. Mi piace che uno si esprima, che dica cosa pensa, che si parli... ma anch'io dico la mia: Un po' più di umiltà non guasterebbe secondo me. Un abbraccio. La mia non è mancanza di sincerità, è rispetto. La conoscenza uno dell'altro per me avviene attraverso un dialogo che può anche essere scritto, non certo attraverso sentenze. Giulia

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  9. A me Marina piace così, anche con le sue "altere spigolosità".
    E perchè no? Anche con l'abito di chiffon blu notte :-)

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