lunedì 23 giugno 2008

mentre

Mentre aspetto l'autobus alla fermata, nel tepore del sole, mi sento impaziente e scontenta. Penso che vorrei trovarmi al mio scrittoio a scrivere. E penso che questo tempo e gran parte di quello che impiegherò nella mattinata, sarà tempo perso, tempo sottratto alla mia voglia di scrivere. Tempo che mi viene rubato. E penso che nella mia vita sono stata terribilmente sfortunata. Dieci anni senza poter scrivere una parola! e tutte le mie vecchie pagine -trentacinque anni di scrittura- buttate via, nell'ora della sfiducia.
Ed ora avere sessanta anni -perché quando mi penso col tempo contato gli anni sono sempre sessanta, numero più crudele e definitivo-avere dunque sessanta anni e così poco tempo davanti e doverne perdere una parte facendo cose di nessun significato per me. Penso questo mentre davanti mi scorre il flusso delle auto e sul marciapiedi opposto un attacchino comunale stende la sua colla sui vecchi manifesti elettorali ed annuncia alla città la nuova battaglia politica: sicurezza! grida il manifesto giallo e nero, sicurezza! E penso che le sicurezze, qualche volta, sono sicurezze amare e di pensiero in pensiero l'autocompatimento filtra dentro di me.
Quando salgo sull'autobus, ormai mi sento assolutamente disperata e penso che la vita è ladra ed io mi sono fatta derubare. L'autobus è pieno ma non affollato. Io resto in piedi con i miei pensieri di rimpianto e sconfitta e ripenso alla mia vita e a tutti quegli anni di ombra, desolazione e paura. Ma mentre andiamo nel traffico sento come un affetto per i miei anni bui e mi rendo conto, ripensandoci, che quegli anni spaventosi non sono stati anni inutili. Che mi hanno portato una maggiore conoscenza di me, e delle persone intorno a me e della vita. Che mi hanno insegnato a leggere dentro cose che prima erano mute e penso che senza quegli anni tutto di me sarebbe diverso.
Non è stato tempo inutile. In quegli anni ho imparato ad accettare la mia persona, a considerarla, nonostante tutti i suoi limiti, degna di attenzione e di affetto. E ho imparato che la vita è una grande opportunità e che ogni momento va percepito come momento della propria vita e dunque gli va conferito e riconosciuto valore.
Penso questo guardando passare fuori del finestrino i monumenti solenni del Foro, rosati dalla luce del mattino e i turisti in gruppi disordinati che fanno la fila davanti all'ingresso. Tutta quella animazione sembra senza scopo, ma non lo è. Sono certa che per nessuno di loro questo viaggio a Roma è senza scopo. O senza senso. Se non ne ha oggi, lo avrà poi, penso.
E così la disperazione se ne va e capisco anche quanto sia sciocco pensare in termini di fortuna o sfortuna. E dentro di me sorrido dei miei momenti di desolazione. E penso che questo tempo, queste sette fermate su un autobus pieno ma non affollato, non è tempo perduto. E' ancora tempo della mia vita perché io l'ho vissuto osservando scorrere i cespugli di mirti e il ricambio di passeggeri alle fermate e riflettendo; pensando a me, al mio passato e al mio futuro e mentre l'autobus piano piano si vuota mi sento bene e penso che scriverò al mio ritorno a casa. I pensieri troveranno più tardi le loro parole: sono i miei pensieri, nessuno me li ha portati via. Stanno con me, dentro di me. E penso che anche gli anni in cui non ho scritto -non ho potuto scrivere- hanno avuto il loro scopo; sono serviti perché dentro di me si completasse qualche processo, perché qualche cosa prendesse forma in modo da portarmi a scrivere di nuovo. E rifletto che la sete di scrivere che sento oggi è maturata in quegli anni e che nessun momento della mia vita mi è stato davvero rubato. Perché io ero con me, sempre, e il pensiero su di me e sulla mia vita e sulla gente intorno a me e sul mondo non mi ha mai abbandonata. Stavo lavorando. Nella sofferenza e nella paura, ma stavo lavorando. Vivere è un lavoro che ci occupa molto; richiede molte energie e solo noi sappiamo quante ce ne servano in ogni momento della nostra vita. E solo noi sappiamo dove dobbiamo impiegarle. Nessuno può venirci a dire: devi dedicare le tue energie a questo e lasciar stare quello. No, non funziona così. In quegli anni io ho dovute chiamare a raccolta tutte le mie energie -ed erano riluttanti- e ne ho dovute impiegare molte. Non mi sono potuta concedere riserve: mi servivano tutte per vivere e per interrogarmi sul mio vivere. Beh, il mio corpo -e il suo capitano, il cervello- ha deciso che scrivere poteva attendere, che c'erano cose più importanti di cui occuparsi in quegli anni. No, non più importanti, solo più urgenti. Scrivere era solo rimandato a quando tutto quello che doveva maturare fosse infine maturato.
Poi sono uscita dall'ombra -una parte di me, almeno- e oggi scrivere è la priorità. E' il mio capitano che lo ha deciso e ha segnato la mia direzione: scrivere, scrivere, scrivere.
Quando l'autobus arriva all'ultima fermata a bordo siamo rimasti solo in tre: io, l'autista ed una donna giovane con una maglietta lilla e i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo. Ha un viso appuntito e mi sorride. Allora la riconosco. È Renate e fa la parrucchiera in un negozio che frequentavo tempo fa. Scambiamo qualche parola. Le chiedo di suo figlio. E' stato promosso in quinta elementare ed è andato in Polonia dai nonni a passare le sue vacanze. Lei lo raggiungerà quando prenderà le sue ferie. Renate è polacca e vive in Italia da sette anni. Quando è venuta a Roma ha cominciato spazzando e lavando il negozio, poi porgeva i bigodini e accarezzava i colli delle clienti dopo il taglio con la spazzoletta morbida cosparsa di borotalco; poi è passata a fare gli shampoo; in seguito ha imparato a dare il colore, ma non era lei a prepararlo. Lei lo stendeva solo, sotto l'occhio supervisore del parrucchiere. Poi piano piano hanno cominciato a farle fare qualche messa in piega. Adesso ha le sue clienti, e fa anche i tagli. Pensando alla sua vita mi rendo conto che c'è stata una progressione. Che ha imparato molte cose ed è andata avanti. Non conosceva che qualche parola di italiano; ora parla spedita la nostra lingua. Suo figlio frequenta con profitto le nostre scuole. In questi anni lei ha pagato la risistemazione della casa dei suoi in un paese della campagna polacca e ha aiutato il marito ad aprire una officina meccanica a Valmontone. Il suo coraggio le ha portato molte cose nuove, ha conosciuto molta fatica ma anche molte soddisfazioni. Penso alla sua vita, a come si è iscritta nelle nostre, a quella di suo figlio che si è intrecciata con quelle dei bambini italiani della sua scuola. Mi rendo conto che ci sono molte cose che possono andare bene e che vanno davvero bene; che ci sono delle possibilità per le nostre vite e che in fondo basterebbe che ognuno facesse una parte di cammino per ritrovarci tutti in una regione più sicura e tranquilla. Quando si allontana penso che mi è piaciuto molto il suo modo di salutarmi; cordiale, tranquillo, senza nessun ossequio verso la "ex cliente", proprio come dovrebbe sempre essere il saluto di una creatura umana ad un'altra creatura umana. Un tempo, quando mi lavava i capelli, le lasciavo una mancia. Mi costava un po' perché è un gesto che non riesco mai a compiere con disinvoltura. Mi sento sempre un po' colpevole. Ma le mance sono una bella parte delle entrate di molti lavoratori e non li priverei mai della mia per risparmiarmi quel piccolo imbarazzo. Adesso, come parrucchiera effettiva, sicuramente non prende più mance. Ma se ripenso al suo sguardo schivo di allora, alla sua evidente paura di sbagliare, e la confronto con il passo sicuro e spedito con cui si allontana verso il suo lavoro, sono contenta che non prenda più mance. Ma sono anche contenta di avergliele date quando le facevano comodo.
Più tardi mentre al banco del salumiere osservo la lama della affettatrice che scivola contro il prosciutto sento avvicinarsi uno zoccolìo sonoro di cavalli. Davanti alla vetrina sfilano due poliziotti a cavallo, nelle loro divise blù. Quando esco mi metto nella loro scia. I cavalli avanzano con passo indolente sul selciato della piccola strada del centro città. In sella un poliziotto ed una poliziotta. Lei l'ho già vista altre volte. È inconfondibile: ha una esuberante capigliatura rossa e riccia, che benché raccolta dietro il collo, schizza tutto intorno alla testa e al berretto come un'aureola fiammeggiante. Io cammino dietro di loro e i posteriori dei cavalli ondeggiano ritmicamente davanti a me. Le code oscillano, rosso-bruna una, nera l'altra. Dai tavolini dei caffè la gente si volge a guardare il loro passaggio e poi torna alle sue tazzine tintinnanti e alle sue chiacchiere svogliate. All'incrocio con un'altra stradina, occupata dal mercato, i due cavalli si arrestano. I poliziotti scambiano qualche parola tra di loro, indecisi sulla direzione. Così li supero e posso guardarli in faccia. E vedo quanto siano diverse le loro facce. Quella dei poliziotti e quella dei cavalli, intendo.
La poliziotta soprattutto, eretta in arcione, nella sua divisa ben accostata al corpo, con le gambe chiuse negli stivali lucidi, ha un'espressione consapevole. Anche se guarda lontano, sa di essere guardata. Sono una poliziotta a cavallo, dice il suo viso. Sto quassù e voi siete laggiù e: guardate come mi tengo diritta e con che mano sicura indirizzo il mio cavallo! I cavalli invece hanno una consapevolezza diversa. Così mi dice il loro sguardo. I loro occhi non dicono: sono un cavallo e porto un poliziotto. I loro occhi passano lenti su di noi e ci vedono anche senza guardarci. Ci vedono per evitarci, per non urtarci e per non essere troppo avvicinati da noi. Ma il loro non guardarci è molto diverso da quello della poliziotta. I cavalli sono consapevoli del selciato e della ampiezza della strada e dei corpi dei passanti ed anche delle loro ombre. Ma non sono interessati all'impressione che suscitano in noi. Sentono i loro muscoli e le redini abbandonate o ritratte un po'; i cavalli sono cavalli e basta e lo sono anche se noi non li guardiamo. Invece dubito che questa bella poliziotta con il suo trionfo di ricci rossi, una volta scesa di cavallo si senta ancora una poliziotta a cavallo. E giunta a sera probabilmente non si sentirà più neanche una poliziotta, ma solo una ragazza con i capelli rossi che torna a casa e affretta il passo. Tutto questo dicono lo sguardo del cavallo e lo sguardo della poliziotta. L'uno non dice, ed è; l'altra dice: io sono questo. Quale dei due è più consapevole? Rifletto su questo pensiero mentre li guardo. Consapevoli di cosa? mi rispondo. Tutto è lì. Del sole, dell'aria impiastricciata di questa città, del banco delle insalate verde primavera, dell'odore di gigli di sant'Antonio immersi nel secchio accanto al fioraio. Sono sicura che il cavallo ha avvertito tutto questo.
E la poliziotta, l'avrà visto?
I poliziotti riprendono il loro cammino, risalgono la strada verso Piazza di Spagna. La cornice sarà degna della loro grazia fiera e loro lo sanno. Ma la bellezza dei cavalli -non vi ho parlato della bellezza dei cavalli! del loro mantello lucido e pettinato, dei brividi che muovono la pelle sui loro fianchi larghi, delle piccole orecchie mobili, dei grandi occhi dolci, della curva del collo con le belle criniere molli e dei petti lustri- la bellezza dei cavalli, porterà qualche cosa di più vivo alla piazza famosa, risponderà ad un'ansia di vita che il cielo azzurro della mattina non basta a contenere.

9 commenti:

  1. Ehm... ehm...
    Ops, non so cosa dire... semplicemente eccellente.
    Penseri che affollano la mente per poi dirigersi su un quaderno; pensieri sorti per caso che hanno bisogno di una penna; pensieri, bizzarri pensieri che sono la tua vita. E accettarli e convivere con loro è... la vera vita.
    Rino, nella piacevole lettura.


    P.s.: anch'io ho gettato nelle fiamme del fuoco di un camino americano due romanzi, una decina di quaderni di poesie, tre saggi storici e... pensieri e riflessioni. Erano gli anni '90, quelli del cambio, della verità... della rinascita.
    Ti confesso, ne sono contento.

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  2. Mi è sempre piaciuto osservare le persone sconosciute,fare ipotesi sulla loro vita.Amo viaggiare per guardare la natura e le costruzioni fatte dall'uomo,chiedermi i perchè di certe soluzioni.Oserei dire che sono stata abbastanza attenta,ma niente a che vedere con ciò che cercherò di essere da oggi,dopo aver scorto la miriade di sfumature che mi hai fatto intravedere.Grazie.

    Cristiana

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  3. Anche a me a volte capita di pensare al tempo sottratto a ciò che amo. e come accade a te mi prendel'ansia e poi una rabbia sotttile ed un insofferenza per tutto quello, o quelli, che mi rubano energie o tempo che vorrei dedicare ad altro, a me per esempio, a miei pensieri, a quello che vorrei scrivere. Ma poi come accade a te ci rifletto su e mi rendo conto che tutto serve esattamente al mio scopo.
    Un abbraccio-

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  4. Difficile commentare il racconto di una vita di cui non si conoscono gli episodi citati.
    Quello che mi sento di dire, molto banalmente, che c'è un tempo per tutto anche se qualche volta bisogna darsi delle priorità.
    Non so perchè tu non abbia potuto scrivere per dieci anni; quello che so è che, è bello che tu adesso possa farlo, principalmente per te, ma anche per noi che ti leggiamo...

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  5. al di là delle considerazioni sul tuo privato- fatti e fasi della tua vita di cui fai minimi cenni- che ho trovato a loro modo "materne verso te stessa" e perciò splendide,
    ricche di dolcezza, non ostentata ma assolutamente fluida e dunque bella,
    al di là di questo sai che ti dico?
    che ho fatto un bagno magnifico nel tuo raccontare
    che mi sono immersa lenta e poi sempre più ansiosa di non lasciare più la tua acqua di narrazione
    che ero dentro i tuoi occhi- o così m'è parso- che guardavano i cavalli andare
    che quando sono arrivata alla fine mi è sembrato di scendere da quei cavalli e insieme uscire dall'acqua
    e che quest'ultima cosa mi ha fatto un po' male
    perché
    stavo bene immersa
    stavo bene a guardare da lassù, da sopra la sella verso tutte le cose che tu guardavi e narravi.
    Bellissimo.

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  6. E' sempre un piacere girare per Roma con te. Riesci a rendere avvincente anche una poliziotta a cavallo che non fa nient'altro che andare a cavallo. Cosa dirti se non grazie?
    P.S. - A sessant'anni possono cominciare carriere editoriali clamorose e lunghissime. Pensa a Camilleri, ad esempio. Ed al tuo collega Manzi che ripeteva: "Non è mai troppo tardi..."

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  7. La felicità (Paul Fort 1872-1960)


    La felicità è nel prato. Corri presto, corri presto.
    La felicità è nel prato. Corri presto o scapperà.

    Se la vuoi riacciuffare, corri presto, corri presto. Se la vuoi
    riacciuffare, corri presto o scapperà.
    ………
    ………
    Salta aldilà della siepe, corri presto, corri presto. Salta
    aldilà della siepe, corri presto. Non c’è più!

    e... Lorca...

    L’ombra dell’anima mia
    fugge in un tramonto di alfabeti,
    nebbia di libri
    e di parole.

    L’ombra dell’anima mia!

    Sono giunto alla linea dove cessa
    la nostalgia
    e la goccia di pianto si trasforma
    alabastro di spirito.

    ...

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  8. bellissimo questo post, non avrei mai smesso di leggerlo, e calcola che sono in piedi per non far alzare la gatta dala sedia, curva sullo schermo per leggere (che sono senza occhiali), insomma sto scomoda assai
    qui è proprio la scrittura che cattura, trama non ce n'è, è la scrittura, fin dall'incipit sei preso e portato via, complimenti!

    vedo che l'hai postato alle 4, insonnia, eh..
    l'hai messa a profitto!

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  9. Davvero bello questo post. L'ho adocchiato ieri sera ma ero troppo stanca e ho fatto bene a lasciarmelo per oggi. Così me lo sono proprio gustato. Un po' come descrive Tereza qui sopra.
    Ho spesso anch'io la sensazione del tempo rubato alle cose che mi piacciono e mi interessano di più e anche quella del così poco tempo a disposizione a confronto delle tante cose che vorrei fare.
    Grazie per condividere con noi la tua passione/necessità della scrittura.

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