giovedì 15 maggio 2008

ciò un blog/capitolo sette

Riepilogo delle puntate precedenti: di come la nostra autrice abbia dato inizio alla corrente letteraria dei Ri-principianti, allo scopo di trasformare un blog negletto in un libro superfluo. O forse deleterio.

Oggi riprenderò semplicemente dal momento in cui ho scoperto che nessuno, ma proprio nessuno aveva registrato la presenza nel cyber spazio delle tre creature che vi avevo lasciate andare.
Questo mi confermò nella convinzione che tenere un blog comportasse zero rischi e che avrei potuto tranquillamente procedere con la confezione del mio blog autentico.
Ho fin qui tralasciato l’aspetto impaginazione e grafica del blog, per lo stesso motivo per cui anche adesso non gli dedicherò più di qualche parola: e cioè che non vedo la ragione di rivelare a voi per intero la mia goffaggine e la mia inettitudine, soprattutto dato che, bene o male, le ho superate e sono approdata al momento fatidico in cui la cornice del blog è pronta e si tratta di cominciare a nutrirlo. Perché in effetti un blog è una vera e propria creatura, silenziosa ma famelica, che reclama la sua carne fresca quotidianamente.

Era il 9 di aprile, mese in cui il mio umore, altrimenti tendente al grigio spento con oscillazioni, imperiodiche, di color crema di noccioline, si stabilizza su un bel colore roseo, che va caricandosi e accendendosi man mano che le ore di insolazione crescono fino a raggiungere nel pieno dell’estate la sua massima intensità. Si stria allora di ogni possibile tonalità arcobalenica e avvampa trionfalmente fino al solstizio di autunno, quando malinconicamente ogni tinta prende ad impallidire e il mio umore torna ad attestarsi sul suo bel grigio topo. Attestarsi è un termine improprio e, quanto meno, ambizioso. Diciamo piuttosto che le oscillazioni, capricciose, si muovono intorno ad una retta malinconicamente sbrindellata, sollevandosi talvolta verso il “chi c’è là fuori?” e ricadendo, stancamente, verso il “lasciatemi spegnere qui”.
Ma di parlarvi delle oscillazioni del mio umore non mancheranno occasioni.
Era aprile, dicevo e trovandomi in quello stato di pre-grazia, decisi che potevo consentirmi un blog intimista.
Aprii così con un piccolo post in cui introducevo quelli che sarebbero stati temi ricorrenti del mio blog: ricordare, musica, malinconia. Come vedete temi universali, con un piccolo tocco di riflessione filosofica, non troppo evidente per non spaventare un eventuale lettore refrattario alla riflessione, non troppo nascosta per attirare invece un lettore che vi fosse disponibile.
I primi giorni procedetti così, mantenendomi su un piano che mi sembrava squisitamente equilibrato. Per firmare questo blog non adottai nessun anagramma del mio nome, limitandomi ad occultare il mio cognome. Cosa che del resto, come vi sarete accorti, faccio anche ora. Circa il mio nome ho parecchie cose da recriminare. Innanzitutto la sua banalità: mi sembra inappropriata alla mia personalità scoppiettante. Ma un padre amante del mare lo trovò simbolicamente appropriato. Secondariamente è un nome che porta con sé, come diminutivo, il terribile marinella. Ora marinella fa, ovviamente, molto stabilimento balneare. Il litorale italiano è pieno di Lidi che si chiamano La Marinella. Sono per lo più lidi di second’ordine, perché quelli veramente chic hanno nomi tipo la casetta, la capannina, il retiro o qualche cosa d’altro seguito dalla parola beach. Quindi, non solo il diminutivo del mio nome fa molto stabilimento balneare, ma anche stabilimento balneare di second’ordine.
Mi sembra una ragione sufficiente per rifiutarlo decisamente.
Ma, diminutivo a parte, il mio nome ha a mio avviso altri e non inferiori handicap.
Almeno nella cultura popolare del nostro paese. È infatti legato ad una canzoncina che mi perseguita dagli anni sessanta. Marina by Rocco Granata. Ho sempre pensato che il mio nome, niente di speciale, per carità, ma neanche il più brutto della terra, fosse vittima di una congiura perniciosa, la cui prova provata era appunto l’esistenza di quella canzoncina insulsa.
Prendete il verso che dice “una ragazza mora MA carina”. Mi innervosisce. Quel MA è l’insopportabile spia di un più che scontato pregiudizio favorevole nei confronti delle ammalianti bionde. Mentre non mi consta esserci una contraddizione in termini tra l’essere carina e l’essere mora, come mi sembra inutile specificare che io sono.
Per la verità anche come mora sono insufficiente. Infatti mi si potrebbe più veritieramente definire bruna. La parola mora portando con sé, almeno al mio orecchio, un senso di capello corposo e pesante, nero fino al midollo e sensuale fino alla perdizione. Ora i miei capelli sono invece sottilissimi, aerei e svolazzanti e per nulla sensuali. Comunque nella categoria delle more non sono del tutto abusiva.
Quindi la canzonetta incriminata mi si attaglia perfettamente. Inutile far finta di niente. E infatti mi è stata ripetuta fino allo sfinimento. Qui ne riporto i, chiamiamoli così, versi.


Mi sono innamorato di Marina
Una ragazza mora ma carina
Ma lei non vuol saperne del mio amore
Cosa faro' per conquistarle il cuor
Un girono l'ho incontrata sola sola
Il cuore mi batteva mille all'ora
Quando le dissi che la volevo amare
Mi diede un bacio e l'amor sboccio'

Marina, Marina, Marina
Ti voglio al piu' presto sposar
Marina, Marina, Marina
Ti voglio al piu' presto sposar

O mia bella mora
No non mi lasciare
Non mi devi rovinare
Oh, no, no, no, no, no


L’autore non se ne dolga, non troppo almeno, ma la sua canzonetta è il parto malato di una personalità insufficientemente maturata, caratterizzata dalla massima incapacità di versificazione e da una insopportabile sordità musicale. Spero che questa mia osservazione rientri nel diritto di critica e che il signor Rocco Granata non mi quereli. Più legittimamente avrei dovuto querelarlo io, per avermi infelicitato l’adolescenza e la prima giovinezza e inseguita fino alle soglie della vecchiezza. Perché la verità è che la persistenza nel ricordo di una nazione dei motivi musicali è inversamente proporzionale al loro valore. La gente dimentica piccoli gioielli, miracoli di equilibrio, buon gusto e grazia tra testo e musica e ricorda invece ostinatamente, pervicacemente, implacabilmente canzonette prevedibili nella melodia e insignificanti nel testo. Sicché questa canzonetta è ancora presente e viva nella memoria della nazione tutta e non manca occasione di ascoltarla ancora oggi. Giorni fa’ ho dovuto abbandonare precipitosamente l’autobus su cui mi ero a forza incastrata perché dalla suoneria di un telefonino portatile è partito il tragico, sfacciato motivetto!
Sul signor Rocco Granata devo dire che non contento di aver stigmatizzato noi Marina, qualche anno dopo, implacabile, si avventò sulle Manuela. Il risultato fu meno insultante della sua prima composizione, ma comunque spiacevole. Non mi sono confrontata con nessuna Manuela in proposito, ma penso di potermi esprimere per loro. Comunque una canzone brutta come Marina secondo me ancora non ha visto la luce in questa nazione.
Ed è triste che noi “marina” non abbiamo meritato altro dall’ingegno della nazione medesima.
E qui arriviamo, finalmente, alla sostanza del mio discorso, al vero punto dolens.
Il punto dolens è che ho sempre sentito la mancanza di una vera, bella canzone dedicata al mio nome.
Una canzone per Marina mi manca, come la negazione di un diritto, come l’ingiustizia beffarda di un destino cinico e baro. Su cinico e baro voglio digredire.
È un’espressione così trita, usata, abusata, e rimasticata che andrebbe vietata per legge. Ma, nello stesso tempo, e come altre espressioni simili, tipo becero e cialtrone, è così lapidaria che farne a meno non si può. O almeno, non si può se non si ha voglia di sforzare un po’ la propria fantasia linguistica alla ricerca di un’espressione con la stessa lapidarietà ma una sua originalità. Questa voglia io non ce l’ho punto. Voi vi chiederete perché una persona che non ha fantasia linguistica, né voglia di lavorarci un po’ intorno, voglia invece scrivere un libro e nutrire anche la speranza di vederlo pubblicato. La risposta risiede nel costume di questo paese, dove, come è sotto gli occhi di tutti, si fa il senatore essendo più adatto a fare il postino e il postino essendo più adatto a fare l’attore porno e l’attore porno essendo più adatto..No, stop, qui non ci siamo, infatti l’attore porno è forse l’unico caso in cui la meritocrazia funzioni in Italia e nessuno può improvvisarsi attore porno abusivamente. Per la contraddizion che nol consente. Diciamo allora semplicemente che io sono un perfetto esempio dell’odierno costume nazionale che consiste nel voler raggiungere il successo senza aver nessuna delle qualità specifiche per il settore in cui si aspira a raggiungerlo e neanche quella volontà di impegnarsi che potrebbe riscattare la mancanza di talento. Ecco, ho sputato il rospo. Del resto già all’inizio avevo detto di me che non ho nulla da dire e che appunto per questo avevo aperto un blog. Se senza aver nulla da dire si fa legittimamente un blog, senza saper scrivere si fa legittimamente un libro. Chiaro come il sole. Anche chiaro come il sole è un’espressione priva di originalità, ma vale per questa la digressione di cui sopra. Continua...

3 commenti:

  1. Hai ragione, 'Marina' la ricordo anch'io. Mi pare anche di ricordare che feci il diavolo a 4 per farmi comprare il disco dai miei.
    Però ti sei dimenticata, relativamente al diminutivo del tuo nome, di una canzone che riscatta tutti gli stabilimenti balneari e tutti i Rocco Granata: "La canzone di Marinella" del grande De Andrè.
    Pace e benedizione
    Julo d.

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  2. ...infatti, tu almeno hai la canzone di Marinella...pensa a noi povere Silvia che al massimo veniamo ricordate in "Silvia lo sai" di Carboni (?!) e siamo perennemente perseguitate da quell'insopportabile "rimembri ancora".
    Come dire, ognuno ha la sua croce!
    Un caro saluto

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  3. Ma sì, direi che ognuno ha la sua croce, da piccolo mi sfottevano con "Gigi la Trottola" o "Topo Gigio". Mi rendo conto che questi sono sfottò sfumati, mentre il peso della canzone "Marina" è più difficile da sostenere.
    Però... ora non ricordo.... ma mi pare che il nome Marina compaia in qualche altra canzone, anche se non intitolata così. Forse qualcuna di Venditti o Dalla o Marco Conidi...
    Se mi sovviene te la mando.

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