lunedì 25 febbraio 2008

ciò un blog/capitolo cinque

Riepilogo delle puntate precedenti: di come la nostra autrice, nel tentativo di trasformare un blog in un libro, in mancanza di ispirazione la tiri per le lunghe, affidandosi alla tecnica della digressione, per allungare il brodo

Se rileggerete l’ultima frase del precedente capitolo, incontrerete la parola eco e noterete che ho scritto una eco, questo lo dico soprattutto per l’eventuale correttore di bozze, perché non si azzardi ad apportare correzioni. Naturalmente non è affatto certo che io incontri sulla mia strada un correttore di bozze, né che ci saranno mai delle bozze da correggere, ma, ove ci fossero, il loro correttore è avvisato: eco è femminile e come tale va trattato. Mi capita spessissimo di leggere un eco di questo e un eco di quello e ciò indispettisce l’insegnante di grammatica che ronfa in me. Mentre Eco, per chi ancora non l’avesse appreso, era una Ninfa dei boschi e per la precisione quella così sfigata che, tra tutti i giovani dediti a nulla fare che popolano gli ambienti mitologici, si innamorò proprio del più narcisiaco, vale a dire Narciso stesso che non vedeva al di là del suo elegantissimo naso e passava il suo tempo a specchiarsi nelle acque di un corso d’acqua. Non riuscendo a ricordare se si trattava di un fiume o di un lago ho scritto corso, ma forse non sono riuscita ad evitare comunque il possibile errore perché se si trattasse di un lago il termine corso non sarebbe comunque esatto perché il lago, comunque, non corre. Per cui forse è meglio che io cancelli il corso d’acqua e lo sostituisca direttamente con lago. Con questi ultimi due periodi ho veramente esagerato, lo so.
Mi rendo perfettamente conto che essi sono non solo superflui, anzi decisamente inconsistenti, privi del più elementare significato, ma inoltre notevolmente irritanti, e sento il montare della vostra pressione che si sta facendo strada fino a me. Sento perciò la necessità di aprire qui una digressione sulle digressioni. Non dico un piccolo saggio ma qualche piccola osservazione per definire, così, bonariamente, tra di noi, una volta per tutte, il senso che le digressioni hanno nella mia scrittura.

Ma prima devo anticipare una piccola pre-digressione. Voglio cioè portare alla vostra attenzione il fatto che parlando del mio modo di scrivere non l’ho appunto chiamato semplicemente ‘modo di scrivere’ ma con il ben più nobile termine di “scrittura”. Ora i due termini malgrado tutto si equivalgono, almeno nel lessico del Devoto Oli, tanto che l’uno serve a definire l’altro, ma non si equivalgono affatto nella considerazione del mondo delle lettere. Sono i signori nessuno, quelli che non hanno mai pubblicato un romanzo, quelli che stendono relazioni, o saggi o report che hanno un “modo di scrivere”, gli altri, gli artisti, hanno una “scrittura”, che è né più né meno il loro modo di scrivere ma contiene una dose massiccia di autogratificazione. Chiamare “scrittura” il mio “modo di scrivere” è una nobilitazione anticipata del mio lavoro e dato che dubito di una futura nobilitazione voglio almeno assicurarmi quella previa. Sul fatto che, per indicare la mia azione di scrivere, io abbia parlato di “lavoro” non posso che ripetermi: è anche questa una nobilitazione previa. Significa semplicemente che quello che sto facendo in questo preciso momento va considerato alla stregua di un lavoro, cioè di una impegnativa e nobile attività umana e non di un passatempo, in fondo innocuo, ma privo comunque del benché minimo interesse per il resto dell’umanità. Si tratta cioè di produzione di Cultura. A questo ci tengo e siccome ci tengo molto Cultura l’ho scritto con la maiuscola di modo che sia chiaro a tutti quanto ci tengo.
Ma per tornare alla digressione sulle digressioni, vi prego di considerarle per quello che realmente sono. Non un ingorgo incontrollato del mio pensiero, né un’ossessione patologica per la esemplificazione e la cura del dettaglio, ma nella loro realtà di artificio letterario volto ad allungare il brodo. Avendo deciso che questo sarà il mio primo libro, ho anche deciso che devo precipitarmi a scriverlo per evitare che qualcun altro venga colto dalla mia stessa idea e arrivi prima di me con il suo bel libro pronto davanti all’editore x. Questo dovrebbe farvi capire che dietro alle pagine che avete fin qui letto un’idea di libro, malgrado ogni legittimo dubbio, c’è. Ora, poiché mi sembra evidente che non posso portar lì all’editore un piccolo libbriccino di non più di venti pagine -quante in effetti ne basterebbero per raccontare la storia che, prima o poi, comincerò a raccontare- ne scaturisce la necessità di allungarla, la storia, per presentarmi all’editore con non meno di sessanta pagine. Il modo più veloce che conosco per allungare una pagina e spalmare su tre cartelle un fatto che, anche ben descritto, ne riempie a mala pena una, è quella di inserire delle digressioni. Naturalmente ognuno digredisce a modo suo, secondo le sue possibilità. Laurence Sterne, che con l’arte della digressione ci si è fatto un nome, faceva digressioni non solo lunghe pagine e pagine, infarcite a loro volta di altre digressioni, spesso più lunghe del companatico che andavano ad infarcire, ma anche digressioni di peso, digressioni di sostanza, digressioni che, magari venissero in mente a me, con un paio ci potrei fare un picccolo libriccino da portare ad un editore minore tra quelli piccoli.
Anche se, a dirla tutta, mi sembra di aver notato che spesso i piccoli editori, proprio per compensare il fatto di essere piccoli, cosa che evidentemente soffrono come ferita narcisistica, preferiscono pubblicare cose lunghe sulle trecento pagine, mentre il grande editore che dalla solidità della sua posizione se ne frega dell’opinione altrui, pubblica anche libriccini che, compresa la copertina, l’indice, la prima pagina con una dedica a padri, madri, figli, amici e a qualche guru morto, e quella con i ringraziamenti finali, non arrivano alle cinquanta.
Ora l’arte della digressione di Laurence Sterne io non la posseggo, né del resto posseggo niente altro alla Laurence Sterne, scrittore per il quale nutro una vera venerazione. Posseggo però quel tanto di.....
Continua...

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