lunedì 7 gennaio 2008

rimembranze



Fino all’ultimo minuto non sapevo se la sera sarei uscita. Mia madre poteva dire sì, o poteva dire no. Ma quando era sì, attraversavo il giardino, prendevo il viottolo e arrivavo sulla grande strada che portava in paese. La via Roma. La strada era in leggera discesa. Il primo tratto lo facevo di corsa, perché avevo paura dei pipistrelli che volavano intorno ai lampioni. Avevo i capelli lunghi e la leggenda voleva, forse vuole ancora, che i pipistrelli s’impigliassero ai capelli delle donne. Ma soprattutto mi piaceva correre nella notte silenziosa di agosto mentre le stelle cadevano. Ogni tanto mi fermavo ad aspettare mia sorella. A lei non piaceva correre.
Portavo i pantaloni, un golfino intorno alla vita, le ballerine. E nebulose di emozioni dentro di me. Incontravamo i nostri amici; si andava al cinema, o si chiacchierava nel bar o si passeggiava semplicemente. Le ragazze erano fresche, ordinate, maliziose. I ragazzi erano come sono i ragazzi a quell’età: crudeli, sciocchi, pieni di pulsioni.
Qualche anno prima, quattordicenne credo, nelle prime ore del pomeriggio, mentre il paese sonnecchiava, scesi in paese. A un tavolino del bar c’era un gruppetto di ragazzi. I ragazzi della comitiva. La comitiva, proprio così. Mi sedetti con loro. Erano un po’ più grandi di me. Neanche mi vedevano. Chiacchieravano, ridevano, fumavano. Battute, scherzi. Io li ascoltavo e li osservavo. E ricordo perfettamente che un pensiero mi folgorò la mente: Ma sono così!? Se sono così non potrò mai amarne uno!
Ma forse neanche loro erano così, recitavano una commedia. Niente del resto era come sembrava. I pipistrelli erano solo nottole e le stelle cadenti erano frammenti di detriti. Niente è davvero come ci sembra a sedici anni. Eppure misteriosamente, se riuscissimo a conservarla così, la vita vera sarebbe proprio quella: i sensi, l’animo, il cuore, l’intelligenza, tutto aperto verso il mondo e verso gli umani, tutto in moto, tutto vivo, tutto sveglio.
Io mi sentivo così. Un punto interrogativo vivente. Ma le domande non si esprimevano. Con nessuno. Le mie almeno, io le tenevo per me. Intorno a me non c’era nessuno cui potessi consegnarle. Le altre ragazze mi sembravano tutte più disinvolte, più ragazze, più. E i ragazzi, continuarono a sembrarmi sciocchi, e crudeli.
Come sembravo io non lo so. Qualche anno fa’ un mio caro amico, ricordando insieme a me quei tempi, mi ha descritta in un modo che mi ha lasciata stupita. Per lui era scontato che anche io fossi disinvolta e graziosa e corteggiata. Proprio come le altre. Trasecolai. Si finge così bene a sedici anni? Di me non mi piaceva niente. O meglio sì, mi piaceva il mio passo. Mi piaceva camminare perché mi piaceva il mio passo. Sentivo l’armonia e la scioltezza. Poi mi piaceva cantare. Quando mi lavavo i capelli mi sedevo sul terrazzo che guardava la valle e le colline verso il Velino, di un pallido grigio-lontananza; appoggiavo i piedi alla ringhiera e abbandonavo la testa all’ indietro. Allargavo i capelli al sole e cantavo. Il sole a mezza montagna d’estate è caldo e fresco insieme. Riscalda ma lascia la pelle asciutta. Io mi svegliavo presto, sedevo sotto i tigli, sul muretto malandato della casa che ci ospitava e scrivevo. La domenica mia madre ci mandava a Messa. Io tentavo di aderire alla religione. Tentavo e non riuscivo. Qualche volta anticipavo l’ora e invece che alle nove andavo alla Messa delle sei. Pensavo che l’alba, quell’ora perfetta, pulita, innocente, mi avrebbe detto qualcosa, se c’era qualche cosa da dire. Avrebbe parlato.
Non parlò. In Chiesa osservavo le donne. Con i loro vestiti di cotone a fiori, i fazzoletti in testa, i corpi rovinati, le facce cotte. A trent’anni ne dimostravano cinquanta. Mormoravano le loro preghiere. Furono le loro preghiere a dirmi che non potevo più andarci alla loro Messa. Non andava bene. Per loro, per quel loro pregare fervido, per quelle teste chine e lo sguardo di speranza con cui alzavano il volto alla Comunione. Le rispettavo, loro, le loro facce segnate, i loro fazzoletti stretti al mento e la loro fede. Io guardavo il sole e pensavo che niente di quello che mi avevano raccontato era credibile; guardavo le stelle e pensavo che una risposta alle stelle e al loro cadere sarebbe arrivata. Ma non sarebbe arrivata dal pulpito, né dalla Messa delle sei. Qualcuno la stava cercando per me. Da qualche osservatorio e in qualche laboratorio, gli uomini cercavano la risposta anche per me. Bisognava aspettare. E studiare. Leggere e capire. E io leggevo. Di tutto. Leggevo come un vizio. Quando sotto i tigli non scrivevo, sotto i tigli leggevo.
Le mie estati di adolescente sanno di tiglio. Il profumo del tiglio è inconfondibile. E non si fa dimenticare. Quando a scuola studiammo l’Adelchi, a quell’esclamazione di Ermengarda, colta da malore alla notizia che Carlo l’abbandona “Qui, sotto i tigli, qui” d’improvviso il profumo mi riempiva la classe, le minuscole palline rotolavano tra i banchi, l’ombra screziata tremava davanti ai miei occhi.
Anche il ricordo del mio primo amore sa di tiglio.
Ma di questo vi parlerò un’altra volta.




Tagliacozzo- Settembre 1960

23 commenti:

  1. Bellissimo il post, bellissimi i ricordi,l'odere dei tigli, le tue riflessioni d'allora, la tua foto;tutto!

    RispondiElimina
  2. Il magico mondo dei ricordi. Che bello! In questo periodo sono malinconica e quindi mi appiccico ai ricordi molto di piu' dle normale...
    Carlotta

    RispondiElimina
  3. l'ho letto tutto d'un fiato, mi hai trasmesso delle bellissime immagini.. :)

    RispondiElimina
  4. l'ho letto tutto d'un fiato, mi hai trasmesso delle bellissime immagini.. :)

    RispondiElimina
  5. Ciamo Marina,
    se passi da me troverai una sorpresa!

    RispondiElimina
  6. Che bello, Marina! Hai descritto benissimo le sensazioni dell'adolescenza!
    Io mi ritrovo soprattutto in questo passo:
    "Un punto interrogativo vivente. Ma le domande non si esprimevano. Con nessuno. Le mie almeno, io le tenevo per me. Intorno a me non c’era nessuno cui potessi consegnarle. Le altre ragazze mi sembravano tutte più disinvolte, più ragazze, più."
    Ed in questa definizione ritrovo mio figlio ed i suoi amici: "crudeli, sciocchi, pieni di pulsioni".
    Vedi che le foto ci stanno benissimo?

    RispondiElimina
  7. Marina...GRAZIE!!!! Lo sai che mi perdo nei miei e nei ricordi degli altri. I miei romanzi preferiti sono ricordi di qualcuno...le mie lettere migliori sono ricordi miei. E poi, sai che adoro la tua scrittura...e i tuoi ricordi, di un periodo che mi ostino da sempre a dire, considero il migliore dell'intero secolo...gli anni sessanta/settanta. Ancora, ancora... un famelico Donnigio ;-)

    RispondiElimina
  8. Vi ringrazio tutti: tante lodi fanno sì che consideri l'aver avuto sedici anni un piccolo successo. (;-)

    @ Donnigio raccontaci i tuoi sedici anni sul tuo blog, dai..
    @Artemisia voglio solo farti osservare che poi quei ragazzi crudeli sciocchi e pieni di pulsioni sono diventati uomini (lo so potrebb'essere considerata un'aggravante), hanno lavorato, amato, messo al mondo figli e li hanno educati. Come faranno i tuoi.
    Resta che erano e sono rimasti maschi, ma ...non si può avere tutto ;-))
    mi piace raccontare e mi piace che a qualcuno piaccia quello che racconto, quindi "lo vedi che la cosa è reciproca"? :D

    ciaomarina

    RispondiElimina
  9. Un post capolavoro! Prosa allo stato puro! Bellissimo!

    RispondiElimina
  10. Sai t'immagino proprio mentre canti seduta sulla terrazza con i capelli al sole.
    Bella e vera con tutta la voglia di vivere e di scoprire che emerge da ciò che hai scritto!
    Un abbraccio
    Banana

    RispondiElimina
  11. Lo so, Marina. Beate coloro che se li godranno!
    :-)

    RispondiElimina
  12. Ciao, punto interrogativo vivente, ancora oggi, aggiungerei.
    Ho vissuto un flash di vita con te, ho temuto la "comitiva", mi sono sentito inadeguato... e quei maschi poi... brrrr.... Ancora adesso, talvolta.... brrrrrr....
    Baluginando

    RispondiElimina
  13. Ciao Marina, comunicazione di servizio e di egocentrismo da parte mia. Per favore, leggi il mio "Rose"? E' un dialogo a una voce, ma non so se, e se, e se, e se. Scusa se approfitto della benevolenza di uno dei miei venticinque lettori (!), ma ho bisogno di questo test. Grazie.
    Baluginando

    RispondiElimina
  14. essì, si cresce ed in alcuni casi casi si diventa meno sciocchi meno crudeli e meno pieni di pulsioni ma sempre più o meno maschi ....

    almeno credo che a me sia successo questo

    RispondiElimina
  15. Ciao Baluginando, il tuo post Le rose lo avevo già letto, anche se non commentato.
    ti mando una mail
    ciaomarina

    RispondiElimina
  16. Che bella definizione "Un punto interrogativo vivente", anch'io mi sentivo così... io devo dire che ho faticato molto a crescere, ma ce l'ho fatta, ora sono cresciuta anche se mi chiedo sempre ancora: cosa farò da grande? Ma tanto l'ho scritto, siamo sempre incompiuti.
    Bel post davvero carissima, come tutti gli altri. Un abbraccio. Lo sai che conpio un anno? Giulia

    RispondiElimina
  17. Marina, grazie per questo bellissimo post, per consegnarci i tuoi ricordi e per aver messo questa foto nella quale assomigli in una maniera incredibile a tua figlia!!! Impressionante.

    Mariateresa

    RispondiElimina
  18. AUGURI a Giulia e al suo blog che compiono UN ANNO! Lunga vita!
    marina

    RispondiElimina
  19. mariateresa, è vero!
    non l'avevo mica notata la somiglianza.
    ma lei ha lo sguardo più dolce del mio.
    Baci e confermo: è primavera.

    RispondiElimina
  20. scusami marina
    "cartata di resche" è in gergo la carta per avvolgere gli avanzi di pesce le lische appunto, dover parlare di mafia con la fotografia spesso o si è diretti allora vai in cronaca oppure come usiamo noi siciliani le cose te le diciamo con un contorno di cento altre cose che non focalizzi più la mafia ma all'interno c'entra eccome..Mi chiedevi come nasce una foto bene devi parlare di mafia, di pizzo di usura prendi il giornale che parla di cio che vuoi denunciare, vai al mervato e compri pesce, lo metti a bollire una volta cotto lo fai ad insalata con olio sale e limone il "resto" lo avvolgi nella stessa carta di giornale ed hai la "cartata di resche" ovvero la carta di lische che debitamente fotografi prina di cetinare tutto nella spazzatura. morale La mafia il picco è tutta una cartata di resche da avvolgere e buttare via anche cos' si fa antimafio, parlando di fotografia di amicizie di sentimenti di libri di usura di calcio di politiica di pizzo, di intercettazioni di donne di panorani, di ammazzatine, di fiori e di amore....
    scusami lo sfogo ma sono sicuro che tu "mi stranizzi" in quanto tra le poche "uniche " che conosco, capiranno
    un abbraccio Maurizio
    o con noi o contro di noi ma comunque "LIBERI"

    RispondiElimina
  21. ciao amico Maurizio, e grazie per la tua spiegazione-sfogo. trovo davvero che le tue foto siano forti come colpi di cannone. Sei molto bravo e non solo a fotografare, anche a scrivere. Non so, ma ho l'impressione che tu abbia un modo personale di fare tutto, anche il tuo blog
    ti apprezzo molto
    grazie, marina

    RispondiElimina
  22. non poso non essere lusingato dalle tue parole sinceramente..grazie.
    Maurizio

    RispondiElimina

Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo