lunedì 28 gennaio 2008

felicità/uno/il mondo greco

Dopo avervi afflitti con la storia del mal di vivere e della depressione, vorrei rialzare il tono dell’umore generale, presentando una storia della felicità. A puntate anch’essa.
Sto infatti leggendo proprio “Storia della felicità” di Darrin McMahon, il cui tentativo di tracciare una possibile storia di questo sentimento così sfuggente, può forse inserirsi in quella nuova corrente di studi storici che si chiama Storia delle emozioni.

L’esergo posto ad inizio libro è bellissimo. È di Albert Camus e recita così: “La lotta stessa per raggiungere le altezze è sufficiente a riempire il cuore di un uomo. Dobbiamo immaginarci Sisifo felice.”

Quindi, concentriamoci molto ed immaginiamo Sisifo felice.

L’oggetto dell’indagine è difficile da definire, essendo la felicità qualcosa di essenzialmente soggettivo, come Freud già un secolo fa’ ebbe ad affermare.
Ma resta che il fine ultimo dell’uomo, su questa terra, è proprio essere felice. Almeno a credere a William James. Ed io sono portata a credergli.
Ma il modo di intendere la felicità varia moltissimo da una cultura all’altra e da un’epoca all’altra.

IL MONDO ANTICO
Quando gli esseri umani uscirono dalle tenebre della semplice animalità e cominciarono a chiedersi e a darsi spiegazioni sul loro destino, cominciarono anche ad abbozzare un quadro della possibile felicità. Ma il quadro della felicità, ahimé, non era felice. Per qualche secolo gli uomini si dissero: la felicità non dipende da noi. La nostra volontà è ininfluente.
Tutte le civiltà del Mediterraneo, Asia Minore, Egitto, fino alla Persia e Mesopotamia, hanno la stessa concezione fatalistica. Anche la Grecia ha della vita questa concezione tragica e ineluttabile: sono gli Dei a decidere della nostra felicità o infelicità e, al di sopra degli Dei stessi, il Fato.
Eppure è in Grecia, come sempre, che comincia a farsi strada l’idea che la felicità possa essere conquistata dall’uomo, che la sua azione, individuale e collettiva, possa avvicinarlo a questa meta.
È Socrate a porsi, per primo,” il problema delle condizioni necessarie alla felicità”.
Socrate era un filosofo molto pratico. Mentre gli altri pensatori dell’antichità si concentravano sullo studio delle scienze naturali, e si interrogavano sulla natura del mondo e sulla possibilità di conoscerlo, Socrate inventava l’etica, che allora significava semplicemente lo studio della condotta umana, e indagava il modo migliore per vivere la nostra vita. Così cominciò a parlare di felicità.
Ma quando Socrate parla di felicità non pensa al semplice edonismo; il suo ideale di felicità è più alto, più nobile del semplice soddisfacimento dei nostri sensi e del godimento dei nostri beni.
Platone (è sempre di lui che dobbiamo fidarci, quando si parla di Socrate) nel Simposio gli fa affermare che la felicità dipende da noi, ma non va cercata nelle direzioni in cui uomini e donne si sentono spinti a cercarla dai propri desideri mal controllati: il piacere, il potere, la ricchezza, la fama, persino gli affetti familiari. Cioè l’effimero, ciò di cui approfittare al momento, nel mondo tragico dominato da altre volontà che la nostra.
Al posto di tutte queste cose Socrate predica la Filosofia, sostenendo che solo un’anima ben ordinata e l’elevazione di Eros, il desiderio, può avvicinarci alla nostra meta. Eros, che è a metà strada tra saggezza e follia, può essere disciplinato e la sua forza può essere diretta verso il vero bene e la vera bellezza: la norma morale custodita dentro di noi, il rispetto della nostra voce più autentica, la disciplina del desiderio e l’ordine dell’anima portano felicità. Questo dice Socrate e con lui Platone.
E Platone ci propone di ri-orientare i nostri desideri, per cambiare la parte più pesante ed opaca della nostra natura umana. Socrate e Platone puntano il loro sguardo in alto.
Sarà Aristotele a riportarlo sulla terra.

Aristotele osserva le cose di questo mondo con molta più indulgenza.
Nell’Etica Nicomachea afferma che ogni creatura persegue un suo fine. Quello della creatura umana è coltivare la facoltà che ci distingue da tutte le altre creature, il ragionamento, e agire di conseguenza. Essere un uomo buono significa vivere secondo la nostra particolare virtù umana: la ragione. E l’uomo buono è un uomo felice.
La felicità è una “attività dell’anima conforme a virtù”. Non sembra una grande apertura rispetto alla lezione di Socrate e Platone, e invece lo è.
Aristotele rifiuta infatti l’idea di Socrate e Platone che la virtù sia sufficiente ad assicurare il raggiungimento del fine ultimo della creatura umana. “Qualcuno potrebbe possedere la virtù ma soffrire i peggiori dei mali e delle disgrazie del mondo.Costui non può essere felice, dice Aristotele. E pensare che mi era tanto antipatico!
Una felicità sia pure approssimativa può consistere per Aristotele anche in salute, sicurezza, piacere e prosperità, onori e riconoscimenti, buoni amici e buona fortuna. Di questa felicità però non bisogna accontentarsi, l’uomo deve tendere ad una felicità più completa, la sola che rappresenti lo scopo della sua presenza al mondo.
E chiunque, attraverso l’apprendimento e l’attenzione alla sua ragione, potrà raggiungere questa felicità superiore. Aristotele è incoraggiante. Questo sforzo porterà ad essere felici la maggior parte degli esseri umani.
Però c’è un però.
Tutti coloro che per loro natura siano mancanti di ragione e quindi della capacità di usarne per raggiungere la virtù, non raggiungeranno mai la vera felicità aristotelica. Tra questi privi di ragione per Aristotele ci sono: gli schiavi, le donne, i bambini e coloro che sono privi dei mezzi necessari per avere del tempo libero da dedicare alla riflessione, all’istruzione e all’esercizio della loro ragione.
La felicità in pratica era riservata ai maschi, liberi e dotati di mezzi!


Chi invece sembra mosso a pietà dalle sofferenze degli esseri umani e dal loro destino e dichiara senza mezzi termini che una filosofia che non allontani le sofferenze dell’anima è come un medicamento inutile per il corpo, è Epicuro.
Gli esseri umani sono responsabili della loro propria felicità, ma in accordo alla loro natura. È questa la parola chiave: natura. A partire dalla sua concezione fisica radicalmente materialistica Epicuro insiste sulla centralità del piacere, ponendosi in contrasto con Socrate, Platone e Aristotele.
Secondo Epicuro l’universo è composto interamente dalla combinazione di materia e vuoto, atomi e nulla. Gli dei beati e immortali non si occupano del mondo o dei suoi abitanti.
Gli esseri umani sono semplici aggregati di materia e le sensazioni sono la fonte di ogni esperienza e di conseguenza la fonte di ogni bene e di ogni male.
Ma a dispetto di tutte le nostre volgarizzazioni e dell’uso comune di edonismo ed epicureismo come termini pressoché sinonimi, la dottrina epicurea è una dottrina ascetica, che comporta una precisa regolamentazione dei desideri.
Il piacere di cui parla Epicuro non è edonismo spiccio, ma ASSENZA DI DOLORE FISICO (aponia) e ASSENZA DI ANGOSCIA O ANSIA MENTALE (atarassia). Questi sono i veri fini, non eccessi di piacere o sottrazioni della coscienza.
In un frammento Epicuro lo dice esplicitamente.
Lettera a Meneceo:

“Quando diciamo che il fine è il piacere, non parliamo del piacere degli edonisti o dei sensuali, come pensano gli ignoranti(...), ma della libertà dal dolore fisico e dalla sofferenza spirituale....”



Per Epicuro i desideri veramente necessari sono estremamente limitati: la felicità richiede poche cose. Cibi e bevande frugali, un rifugio e un minimo di sicurezza dovrebbero bastarci, se teniamo in ordine i nostri desideri. “Colui che non è soddisfatto di poco non è soddisfatto di nulla”.
In fondo Epicuro era uno statistico: la nostra felicità dipende dalla percentuale di soddisfazione dei nostri desideri. Riducendo drasticamente il numero dei nostri bisogni noi ci assicuriamo la possibilità di soddisfarli interamente, divenendo anche più liberi. Il compito dell’insegnamento filosofico di Epicuro è quello di addestrare a quest’opera di limitazione dei nostri bisogni.
Epicuro pensa che tutti possano raggiungere la felicità adottando la sua filosofia: accetta donne e schiavi nel giardino dove tiene le sue lezioni e predica la fratellanza tra tutti gli esseri umani.


Mentre i loro grandi filosofi discettavano sulla felicità e sul bene, i Greci tentavano di strappare alla vita qualche sorriso.
Quello lieve dei κυροι,



le grandi statue di giovani fiorenti che ancora ci incantano nelle sale dei musei.
E qualche sorriso più carnale, quello di Dioniso e delle sue feste.
Poiché in qualunque momento gli Dei potevano mostrare la loro faccia crudele, tanto valeva approfittare dei loro brevi momenti di distrazione.
Le feste dionisiache si svolgevano a primavera e se culminavano con la presentazione di nuove tragedie, erano comunque una chiassosa, allegra celebrazione del dio del vino.
Si beveva, si danzava, si portava scherzosamente in processione un gigantesco fallo; dopo la tragedia si assisteva alla rappresentazione di un “dramma satiresco”, una farsa leggera in cui un coro di satiri si esibiva tra le risate del pubblico.
Oltre le Dionisiache numerose altre feste e processioni religiose consentivano, dopo i giorni di digiuno e di astinenza, scoppi di allegria, festeggiamenti pubblici, danze, canti e gare sportive. C’erano anche feste più private, banchetti, simposi, con musica, danze, abbondanza di cibo e la presenza di etere e flautisti ad ornamento della serata e per la sua conclusione orgiastica. Questi simposi sfrenati però non erano la regola. Gli eccessi insospettivano i Greci e il simposio “temperato” (dal vaso di Colofone) era quello cui si dedicavano più comunemente. Del resto lo stesso simposio sfrenato aveva una sua ritualizzazione, ancora oggetto di studio.
E infine l’amore, cantato da tutti i lirici greci, consolava, allora come ora, delle pene quotidiane. Naturalmente finché durava!

16 commenti:

  1. Sei la mia professoressa preferita!
    Oggi ho iniziato la mia giornata così: ottimo te aromatizzato, piccoli dolci, la foto del tramonto di ieri, la musica scelta da te e poi questo piacevole post sulla felicità ed il pensiero filosofico annesso.
    Ne vogliamo parlare????
    Grazie.

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  2. In calce al mio blog ho riportato l'intero brano di Camus tratto da "Il mito di Sisifo"... e, sì, è davvero notevole.
    Il fatto è che, in materia di Uomo, l'antichità ha detto già tutto e - come sosteneva la mia prof di greco al liceo, non senza buone ragioni - la vetta più alta dell'etica è stata raggiunta con il "conosci te stesso" socratico, una delle più semplici ma anche più ardue verità e leggi e moniti che siano mai stati pronunciati dall'uomo per l'uomo.
    Bella questa "lezione", prof. Aspetto il seguito!
    :-)
    V

    p.s.: ohibò! Mi hai tolto dall'elenco dei tuoi blog preferiti...! Cos'avrò mai combinato di grave per essere scacciata dal tuo paradiso terrestre?!?
    Mi dovrò riconquistare la vetta... come Sisifo.
    ;-)

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  3. Ohibò un corno! ;-) io non ti ho levata affatto! stai a My funny Valentine, come sempre. Ho aggiunto oggi la scuola di Testaccio e ho temuto che automaticamente ne avesse scalzato uno ma no, sei lì.
    ciao marina

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  4. Che bell'idea parlare di felicità... E tu come sempre lo fai con competenza e con un linguaggio semplice che aiuta tutti ad entrare nell'argomento. Mi piace ciò che hai sottolineato di Epicuro, uscendo dai luoghi comuni che sempre gli hano attribuito. Aspetto la seconda lezione. Poi diremo se per noi questa parola ha consistenza o è solo un sogno, un abbraccio, Giulia

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  5. Eh, sì!
    Ahimé, è il mio tema favorito, tema di cui non oso parlare, non oso dire, non oso pensare. Tema che le parole non possono descrivere, tema che, già al parlarne, si limita, tema che soffre del pensiero finito.

    Eppure, felicità è Anami, Agami, Radhasoami, mete della nostra anima.

    Felicità, di quella felicità che non si può descrivere.

    Rino, all'unisono con Socrate.



    p.s. ebbene, felicemente, debbo linkarti e nello stesso tempo inserirti fra i Passeggiando per Blogland. Grazie!

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  6. @Rino, grazie del tuo apprezzamento, che mi fa doppiamente piacere perché ti considero maestro.
    Però perché non fai un bel post per spiegarmi Radhasoami & company? ignorante sono!
    grazie per l'inserimento
    ciao marina

    @ Giulia dovremmo provare a dare noi una definizione di felicità. Ho un vago ricordo dei Penauts, devo controllare...

    @ MCristina: mi fa piacere di averti fatto iniziare bene la giornata.
    abbracci marina

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  7. Shaker: Socrate Platone Aristotele
    -in parti uguali- una bella spruzzata di Epicuro e un pizzico di Dioniso.Agitare bene ,versare in una coppa e aggiungere una ciliegina di utilitarismo.
    Scherzi a parte,io sostituirei volentieri la felicità con la serenità.Secondo me questa parola dice tutto

    Cristiana

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  8. Quando per anni e anni si ha tentonato nel buio...spaccato le ossa ad ogni ragnatela incrociata...senza respiro...senza speranza.... ora, che vedo un filo di luce, anche lo stare seduto tra l'erba e guardare le nuvole che si rincorrono e disegnano la mia fantasia..per me...è felicità.. , .....

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  9. [...] permalink:
    http://babilonia61.splinder.com/post/15827984/INTERVISTANDO+CARLO+V+%281500-15
    [...]

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  10. mi sto ponendo in una situazione di apprendimento con questo post (che ho letto a voce alta a mia moglie, commentandolo assieme agli altri, sabato scorso)
    lo stimolo a scrivere parte da un pensiero di akatalepsia (post del 22 marzo): "Vorrei solo, in quel momento, non cedere al rimpianto della vita; al puerile (e inutile) ricordo di una rincorsa - e mai raggiunta - felicità."
    sono più superficiale di lei. al fuoco della felicità dell'attimo sostituisco la brace di uno stato di lieve e quotidiano benessere.
    sempre che sia possibile e le condizioni necessarie (non sufficienti) sono due: un reddito minimo di sopravvivenza, uno stato di salute pur esso minimo ("come stai?" ci diciamo negli incontri).

    primo apprendimento:
    "la norma morale custodita dentro di noi, il rispetto della nostra voce più autentica, la disciplina del desiderio e l’ordine dell’anima portano felicità. Questo dice Socrate".
    un lavoro psichico, dunque. niente di eccezionale o da super-uomini . uno stare dentro il mondo con cura ed attenzione

    un inciso. dove si vede i lavoro intellettuale in te? negli incisi: "Non sembra una grande apertura rispetto alla lezione di Socrate e Platone, e invece lo è." voglio dire che l'intellettuale fa così: vede e intra-vede. chiuso l'inciso.

    "Una felicità sia pure approssimativa può consistere per Aristotele anche in salute, sicurezza, piacere e prosperità, onori e riconoscimenti, buoni amici e buona fortuna. Di questa felicità però non bisogna accontentarsi, l’uomo deve tendere ad una felicità più completa, la sola che rappresenti lo scopo della sua presenza al mondo. E chiunque, attraverso l’apprendimento e l’attenzione alla sua ragione, potrà raggiungere questa felicità superiore. Aristotele è incoraggiante."
    felicità approssimativa: ecco la brace. salute (come stai?) sicurezza, relazioni e una tensione ad andare un pochino oltre. solo un pochino: anche leggere un libro su una panchina ai giardini pubblici.
    anche a me è simpatico aristotele:. tuttavia a lui è chiaro il limite storico-culturale. solo ad alcuni gruppi sociali è data questa potenzialità. la filosofia greca delle origini dà per scontata la divisione delle caste (più che delle classi). tolte queste divisioni ascritte (e la modernizzazione le scioglie) rimangono buoni i suggerimenti aristotelici

    ma è epicuro a suggerire un migliore pensiero. a partire da una analisi materiale dell'uomo (atomi momentaneamente aggregati in un flusso di materia in continuo divenire).
    "Per Epicuro i desideri veramente necessari sono estremamente limitati: la felicità richiede poche cose. Cibi e bevande frugali, un rifugio e un minimo di sicurezza dovrebbero bastarci, se teniamo in ordine i nostri desideri. “Colui che non è soddisfatto di poco non è soddisfatto di nulla”. In fondo Epicuro era uno statistico: la nostra felicità dipende dalla percentuale di soddisfazione dei nostri desideri. Riducendo drasticamente il numero dei nostri bisogni noi ci assicuriamo la possibilità di soddisfarli interamente, divenendo anche più liberi"
    abbassare il livello dei desideri ed avvicinarsi di più alla ricerca dei bisogni fondamentali (un abraham Maslow delle origini!)
    qui epicuro mi fa tornare all'imaginale della brace

    sono un docente di politica sociale e quindi il mio oggetto di riflessione è la storia moderna e contemporanea. e trovo in questi appunti di cultura classica un pensiero applicato alla possibilità.
    le società welfaristiche (migliore alimentazione, igiene, vaccinazioni , cure a breve e lungo termine) rendono possibile adottare strategie di vita epicuree/aristoteliche/socratiche
    al punto che c'è una età d'oro nella quale è possibile da casa comunicare al mondo in un blog (e fare altro, naturalmente, come coltivare un orto). e l'età d'oro è quella che va dalla età di mezzo alla vecchiaia (la nostra, quella che va dalla fine dei cinquanta fino a superare la soglia di settanta, se in discreta salute).
    la dilatazione di questo tempo (inesistente nella storia pre-moderna)
    insomma il welfare state come possibilità di tenere accesa la brace

    ti ringrazio per la colta scheda. avevo sullo scaffale il libro di darrin m. mc mahon, ma 539 pagine senza le note lo rendevano meno prioritario rispetto ad altre letture. Eppoi , è vero, leggere i blog sottrae molto tempo alle letture da lunga navigazione del passato. È la televisione e lo schermo dei pc ad alterare il modo in cui ci siamo socializzati alla lettura

    buone ore e buoni giorni

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  11. Ciao lettore amalteo,sottraiti allo stato di apprendimento quando si tratta di me. Io sono una modesta divulgatrice.
    Chiarito questo punto, veniamo.... alle braci. Per me le braci non hanno a che fare con la felicità ma con la serenità. Sento la tentazione di finire la mia epitome di Mc Mahon con una mia personale riflessione su entrambe.
    Intanto devo confessare una delle mie ignoranze: Maslow non l'ho letto.
    Tu parli di età d'oro, dai 50 verso i 70 e per certi aspetti lo è davvero. Naturalmente il tipo di felicità che ci accompagna(o ci manca) è diverso nelle diverse età. Ma, se posso permettermi un'osservazione personale, ogni tanto una soffiatina sulle braci io la darei. Il libro di Mc Mahon l'ho letto come un giallo: volevo proprio andare a vedere come andava a finire questa ricerca di felicità. Ti anticipo solo che il finale mi ha delusa. Poi magari, quando lo avrai letto, ne discuteremo. Io ne sto ancora estraendo piccoli flashes, mi permetterò una riflessione personale solo alla fine.
    Debbo dirti che sono ammirata dalla tua capacità di commentare con tanta attenzione e ricchezza. Hai scoperto il trucco per moltiplicare il tempo!
    Non ho dubbi che il docente che è in te si dedichi, oltre a pc e tv ecc, a letture compendiose.
    Dev'essere interessante occuparsi di politica sociale, mi piacerebbe avere ancora molti anni di letture davanti: ho tante curiosità.
    buone ore a te e a tua moglie. Ma perché infliggerle la lettura dei miei post? ;-)
    con tanta simpatia marina

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  12. ciao marina
    poche cose per la gradita risposta (ma guarda che io sono abbastanza chiaccherone: non darti peso - se hai altre incombenze - per rispondermi sempre).
    sul tempo della lettura e scrittura: giro sempre con un quaderno, di quelli con i buchi. e scrivo appunti sempre ed ovunque sia. magari una traccia da poco, una parola chiave. così è più facile poi mettere a scrittura un po' più strutturata. i fogli, essendo a strappo, poi li ordino in quaderni più specifici (libri, musica, film, politica, storia ....) e così ho sempre un eccesso di appunti rispetto a quanto poi effettivamente elaborerò. ho insegnato anche 7 anni a venezia: ho qualche centimetro di appunti. tutti lì dormienti
    su mia moglie: le piace la mia voce. non è niente di speciale ma riesco a modellarla per renderla espressiva. certe volte , di sera, si addormenta mentre le sto leggendo un racconto lungo. mai con le poesie di mark strand
    ti assicuro che i tuoi post li abbiamo letti con piacere e vantaggio conoscitivo. ci siamo riconosciuti nell'epicureismo.
    infine abraham maslow: niente di particolare. ha scritto un lungo libro sulla motivazione il cui cuore è però una teoria dei bisogni che ha avuto molto successo in psicologia sociale.
    ti assicuro: meglio i tuoi greci
    guarda che ho intenzione di tornare anche sulle altre felicità.
    lo sai che mi sono anche dato un obiettivo: salviamo i post dall'oblio e da crono divoratore
    buone ore

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  13. tornerò, tornerò ancora.
    questa notte volevo segnalarti questo pensiero di cadavrexquis:
    http://cadavrexquis.typepad.com/cadavrexquis/2008/05/tentativo-sulla.html

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  14. Ciao Amalteo, ho visitato cadavrexquis e le sue considerazioni sono inappuntabili. Il vero approdo è la serenità. Forse ti può interessare "Serenità" di Massimo Donà, che insegna Filosofia teoretica(forse a Milano).
    Contiene delle parti per me oscure ma ha un nucleo molto interessante.
    grazie per l'attenzione e per la segnalazione, marina

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  15. grazie, narina
    pensa che massimo donà è anche un apprezzato musicista jazz italiano.
    cercherò la fonte che segnali.
    tornerò ancora su questo tema
    ciao

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