mercoledì 23 gennaio 2008

ciò un blog/capitolo uno

Ciò un blog ovvero Come trasformare un bla bla immateriale in un libro inutile a maggior gloria della odierna editoria.

Capitolo primo.

Ciò un blog. Stabiliamo preliminarmente che quel 'ciò' non significa 'questa cosa', non è cioè il pronome dimostrativo, ma la grafia che più mi aggrada per dire 'io ho'. Potrei e forse dovrei scriverlo c, acca, o, 'c’ho', ma a me quella c così sola, irresistibilmente mi suona dura sicché il 'c’ho' io lo leggo 'co'. Forse a voi non succede, ma a me sì e in fin dei conti l’autore sono io, no? L’autrice veramente.
Sono autrice e ciò un blog. Ci tengo a farvelo sapere perché il blog segna l’apice della mia sfacciataggine autoriale. Perdonate la nuova digressione, ma se i patti sono chiari l’ amicizia si prolunga, sicché.
Il termine autoriale, è oggetto di una controversia linguistica, tra chi lo vuole scritto con la i, come ho testè fatto io e chi lo vuole scritto senza la i, autorale.
Mi sembra che i due caposcuola siano, rispettivamente, Giuliano Ferrara e Sabina Guzzanti, di cui ricordo una disputa televisiva a botte di “incolta” e “grassone”. Noterete che mi sono schierata con Giuliano Ferrara. L’ho fatto per questioni di peso, in un corpo a corpo anche dialettico mi triturerebbe. Per tornare alla mia sfacciataggine, e al mio blog, ho deciso di tenerne uno, non perché io abbia qualcosa di urgente e significativo da dire al mondo, ma per farmi compagnia in giornate piatte e avvilite e risolvere, senza troppa fatica, un vecchio problema di realizzazione.
Infatti scrivere un blog è molto meno difficile che scrivere un libro e non prevede la necessità di sottoporre il proprio lavoro allo sguardo selezionatore di un editore. Si scansa così il rischio mortificante del rifiuto e dell’insuccesso, il terribile rischio dell’annichilimento di tutte le proprie ambizioni e della propria ragione di essere. Nessuno può legittimamente dirti, no questo blog fa cagare, non puoi pubblicarlo. Tu lo butti là nel maremagnum we-we-webbico e chi si è visto si è visto. Inoltre potrai sempre dire di aver scelto un modo post-post-moderno, democratico e globalizzato di comunicare. Una scelta che dovrebbe da subito collocarti nella parte avanzata del mondo delle lettere. E nelle cene in società potrai sempre dire: ciò un blog. Che poi, a dirlo a voce, nessuno si rende conto se questo "ciò" lo stai pensando con l’acca e l’apostrofo oppure proprio così come lo pronunci.
Ho fatto cenno alla globalizzazione perché il mio blog io, ce l’ho in due lingue, italiano e inglese e sto studiando la possibilità di farmelo tradurre in un’altra lingua ancora. Però tentenno. Infatti non ho ancora capito bene se, ai fini dell’essere all’avanguardia e post-post moderni convenga che io me lo faccia tradurre in cinese o in arabo. Vecchie simpatie politiche mi farebbero propendere per il cinese, come pure la possibilità di avere lettori a miliardate, ma devo dire che l’arabo ha a sua volta le sue ragioni. La scelta dell’arabo infatti suona molto provocatoria, molto scontro-di-civiltà e inoltre il traduttore prende meno. Il perché non lo so. Sembra che i cinesi che bazzicano in prossimità del mio quartiere abbiano tutti una floridezza economica che li porta a considerare la traduzione un lavoro di seconda scelta, cui piegarsi solo con condiscendenza. E con richieste tariffarie decisamente alte per le mie finanze. Gli arabo-parlanti invece, sono decisamente più sfigati e si accontentano di molto meno pur di avere un lavoretto che non li costringa a trascinarsi enormi lenzuolate di souvenir dall’Esquilino al Ponte Sant’Angelo.
Voi vi chiederete che garanzia abbia io che il cinese o l’arabo in questione non si limiti a ingarbugliare caratteri alla carlona senza darsi davvero la pena di tradurre fedelmente e con un minimo di vivacità le pagine del mio blog. Non ne ho nessuna al momento, ma pensavo di ingaggiare un secondo cinese o un secondo arabo, cui far fare una supervisione del lavoro di traduzione del primo cinese. O del primo arabo.
Spero che le puntualizzazioni non vi annoino perché debbo farne un’altra. Riguarda il termine ‘alla carlona’. Io ho creduto per molti anni che questa espressione usata da mia madre si riferisse al modo trascurato e approssimativo di sbrigare le faccende domestiche di mia sorella Carla, che, essendo un po’ troppo florida ai tempi, poteva verosimilmente essere chiamata Carlona. Solo recentemente ho scoperto che l’espressione si riferisce invece all’Imperatore Carlo Magno, e al suo tratto semplice e bonario. Ora lo sapete anche voi. Del resto è pur vero che voi non conoscete mia sorella Carla e forse il quesito non ve lo sareste posto. Però io ci tengo ad essere precisa, questo è il mio primo libro e la scrittura deve essere, come sento spesso dire, meditata. Io la medito e all’occorrenza la chioso.
Il blog invece non lo chioso e, se è per questo, neanche lo medito. Infatti trovo che non ne valga la pena. Quando ho deciso di aprire un blog mi sono fatta una passeggiata esplorativa sui blog già presenti in rete nella mia lingua. La mia lingua, se aveste dei dubbi, è l’italiano. Non posso dire di averli esaminati tutti, ma dopo averne scorsi una cinquantina ho capito che quello che si richiede ad un blogger non è di avere qualche cosa da dire- e da questo punto di vista io sono perfettamente in linea- ma di mettersi a disposizione per uno scambio di commenti incrociati con altri blogger che parimenti non hanno nulla da dire. Non mi sfuggì che i commenti sono intinti nel miele ma la pasta è fatta di acida competitività.
Poiché ho spalle sufficientemente ampie per raccogliere commenti aggressivi e una lingua sufficientemente tagliente per ricambiare, sento di stare nel mondo blogger a buon diritto e con pari dignità di tutti gli altri.Continua...

10 commenti:

  1. Non per smontare il tuo arduo castello di "ciò" e sintassi asfittica, ma... cara bloggeuse... hai usato troppi congiuntivi al posto giusto! Non è che poi ti fanno male?
    :-)
    V

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  2. Ti trovo in splendida forma, Marina!
    I commenti intinti nel miele ma fatti di acida competitivita' e' proprio una genialata.
    Lo sai che anche io mi sono sempre chiesta che cosa volesse dire "alla carlona" e siccome, non ci crederai, ma anch'io ho una sorella che si chiama Carla, sono sempre stata portata a pensare a lei che, pur non essendo grassa, era (ed e') un po'... naif (ho trovato un termine gentile, wow!)? Mai pensato a Carlo Magno!

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  3. interessante questa rubrica meta-blog: aspetto i prossimi capitoli!

    ...e non dire che sono intinti nel miele daaaaiiiii
    :D

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  4. Sorridente e pittoresco bozzetto dei blogs (è questo il plurale?) e dei bloggers (?), sottolineando e chiosando luoghi comuni ed esperienze personali. Bacchettando il vuoto che si coglie in tanti scritti e la piaggeria che balza fuori dai commenti, spesso funzionali a link o segnalazioni di altro genere. Civettando un po’ con le personali abilità di scrittura e contrabbandando una pretesa incapacità e una leggerezza banale del pensare. Flirtando con la finta pretesa del comunicare a tutti costi e del tuffo essenziale nel maremagnum del rete. Fingendo di non meditare e non chiosare, e millantando una “carloneria” spassosa, riferita burlescamente alla sorella Carla ( ma esisterà davvero questa sorella Carla?). Gigioneggiando con il post post moderno e con l’orribile parola “globalizzazione”, che quelli veramente colti e veramente post post moderni chiamano “glocalizzazione”!
    E allora? Anch’io “ciò” un blog. E non ho niente di urgente e di significativo da dire al mondo, e il mondo può benissimo fare a meno di me. L’ho aperto perché finalmente ho superato la timidezza che mi teneva prigioniera, la sensazione dell’ inadeguatezza che non mi faceva respirare, l’esitazione del non essere gradita, del non essere approvata, del non essere amata. E dentro il blog ho incontrato marina, e poi ho incontrato ics, e poi ipsilon, e poi zeta. Qualcuno mi ha letta, qualcuno mi ha sorriso, qualcuno si è intenerito, qualcuno si è annoiato, qualcuno mi ha oscurato. Ma qualcuno ha proposto un brindisi per me, non lo dimenticherò mai! e oggi parla ancora con me. E il rischio dell’annichilimento del sé e della propria ragione di essere è allontanato, anzi, è proprio messo all’angolo!
    E allora, cara Marina, il “vecchio problema di realizzazione” forse è lenito, attenuato, addolcito, sbiadito… E noi giochiamo con gli aggettivi, danziamo con i congiuntivi, accarezziamo la consecutio, volteggiamo con gli avverbi, ci identifichiamo con le nostre parole… E “ciò” un blog non è, come tu ben sai, lo scansare il rifiuto e l’insuccesso, ma aver trovare un po’ di essenza di noi, finalmente. Finalmente.

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  5. Ciao piccolo Lord, la rubrica continuerà perché mi sto divertendo a immaginare questa figura di bloggeuse
    Nessun tuo commento né di miele né di fiele potrebbe mai farti perdere il posto che occupi nel mio cuore. Tiè!

    Valentine, ma biche, i congiuntivi mi si appiccicano alle dita, non so che farci ;-)
    ciaomarina

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  6. Balù, hai ragione, avrei dovuto scrivere glocalizzazione! Era molto molto più trendy.
    Mi cospargo il capo di cenere.
    Cmq per me è solo uno scherzo, mi diverte dare la parola a questa tizia che sproloquia. Vedrai che non è il caso di prenderla troppo sul serio
    ciao marina

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  7. Marina, io sono permaloso, e lo ammetto, ma, fatta questa doverosa premessa e chiedendo perdono se polemizzzo, polemizzo.
    Ogni volta, ogni volta, ogni volta che esprimo un apprezzamento, esplicito, un sentimento, manifesto, una simpatia, un'emozione, un ringraziamento (vedi il brindisi ricordato al commento di cui sopra), tu fai un passo indietro. E neanche diplomaticamente, bensì bruscamente, a prescindere dalla forma che, naturalmente, è educata e garbata.
    Ora, delle due l'una, o sei talmente non espansiva, non abituata agli altri che si aprono, poco incline, anzi per nulla incline, alla tenerezza e alla carezza, o ti sono antipatico proprio io! Perchè magari esprimo male quello che voglio esprimere e dò adito ad una diversa lettura, o forse per eltre cento motivatissime ragioni, non so.
    Che cosa significa "per me è solo un scherzo", "tizia che sproloquia", "non prenderla troppo sul serio", a mò di annotazione al mio commento... E chi mai ha la pretesa di essere Dante Alighieri?! O la Allende! O Neruda!
    Qui ci parliamo nel nostro piccolissimo, e se ci nasce un sorriso, o un'emozione, che ci provoca un impulso di affetto verso chi ha scritto, niente di male che questo impulso si traduca in un'emozione manifesta ed eventualmente in un commento appassionato a un post.
    Io non dimenticherò mai che hai proposto un brindisi per me, in un momento difficilissimo della mia vita, e senza conoscermi, senza sapere di cosa si trattasse, senza sapere neanche se sono un uomo o una donna! Perchè non te lo dovrei dire, se posso ricordarlo in un commento ad un tuo post? Perchè non ti dovrei raccontare che anche quel brindisi ha avuto il suo effetto nella vita lontana e sconosciuta di una creatura umana! No! Ogni volta, la celia, lo schermirsi, quasi il disturbo.
    E anche quell'altra fiaba linkata alla mia! Ti prego, io sarò permaloso e bacchettone, ma l'ho fatto di getto, di slancio, ed ero certo che ti avrebbe fatto piacere, perchè era, come ho detto, un controcanto alla tua, da una diversa angolazione, da una diversa situazione, non immaginando che sarei incappato in una sorta di presa in giro, e nel tuo adombrare una "comune banalità".
    Sono banale? Sono noioso? Sono invadente? Disturbo? Infastidisco? O,peggio, irrito?
    Benissimo. Mi ritraggo io. Perchè mai mi devo esporre, perchè mai devo mettere sempre in gioco un pezzettino del mio cuore e raccogliere ironia...
    Avrai un lettore appassionato in meno, non voglio creare imbarazzo in nessuno.
    Ciao.

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  8. Non solo hai degli strumenti di scrittura incredibili, ma anche un'ironia da invidiare!
    Ma le persone che si stimano non si invidiano, semplicemente se ne gioisce, anche andando fuori dagli schemi del blog ;)

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  9. cara bloggueuse , che usi la langue française, bellissima e fantastica lingua quasi estinta ovunque in Italia ormai, hai tutto il mio plauso di vecchia blogger al secondo blog ed ex prof di français passata all'English x perdita di cattedra (sig), x questo tuo divertentissimo post così originale !!!
    erica
    tra i miei bloggers preferiti ci sono anche autori stranieri da pochissimi commenti, in qualche caso anche nessuno, ma che adoro x ciò che scrivono xchè scrivono x dire qualcosa...

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  10. Caro Baluginando, sono davvero dispiaciuta e sorpresa. È difficile per me immaginare un fraintendimento più totale delle mie parole!
    Cominciamo dal brindisi, perché, delle numerose accuse che mi muovi, è l’unica che mi abbia davvero ferita. Io ho creduto di capire che questa tua storia, privatissima, dovesse restare tale e ho lasciato cadere il tuo accenno per rispettare il tuo desiderio di discrezione. Su questo non accetto dubbi.

    Io penso che all’origine delle nostre incomprensioni ci siano diversi fattori.

    1-I limiti del mezzo di cui ci serviamo. E’ difficile che attraverso i commenti di un blog un messaggio passi nella sua vera natura, purtroppo si altera, tutte le possibili sfumature si perdono. Tutto diventa o bianco o nero. E che povero mezzo di comunicazione sono le emoticon!

    2-Il mio carattere
    Di me vorrei spiegarti questo. Io ho un fortissimo senso autocritico, mi tratto con grande autoironia, frutto insieme di una cultura e di un carattere. Frutto anche di uno scetticismo di fondo sui miei eventuali e veri talenti.
    Da questo punto di vista i tuoi complimenti, mentre mi fanno piacere come ad ognuno di noi fanno i complimenti, suscitano anche in me, un senso di disagio, mi sembrano eccessivi, tendo a crederli esagerati. Reagisco con un riflesso di understatement. Che è la mia maniera di stare al mondo. Noi romani, ce l’abbiamo nel DNA, non ci prendiamo mai sul serio. MAI. E se qualcuno fa mostra di prenderci troppo sul serio il nostro immediato riflesso è: Me cojoni?
    Se fossimo stati vis a vis, è proprio quello che ti avrei detto. Non per respingere un’offerta di “tenerezza e di carezza”, come tu dici, ma perché lo scetticismo è più forte del compiacimento. Mi dispiace se questo ti offende, ma io sono fatta così.
    La celia, come tu dici, l’autoironia come preferisco chiamarla io, mi è connaturata. Non potrei mai rinunciarci. Mi dispiace.

    3-La differenza di stile tra i nostri due modi di esprimerci.
    Da quanto ti ho spiegato di me discende anche il mio stile nell’esprimermi. Noterai che il lirismo è contenuto, la forma è concisa, asciutta, io aggettivo poco, e smorzo invece di accentuare. E’ il mio stile, non solo non potrei mai cambiarlo, ma non vorrei mai. Confesso questa mia umana debolezza: MI PIACE. Anzi mi esercito a scrivere con il minor numero di parole possibili, a togliere qualunque orpello, a sfrondare, verso un ideale di semplicità di scrittura dal quale ahimé sono ancora molto lontana.
    Il tuo stile è completamente differente dal mio. Questo non solo è più che legittimo, ma,secondo me, è anche bello che sia così. Ma, almeno per me, il tuo stile va benissimo quando tu lo usi per scrivere le tue cose, meno quando interloquiamo. Mi sembra di averti più volte detto che i tuoi racconti mi piacevano. Ero sincera. Ma, nella comunicazione interpersonale, il tuo stile mi mette a disagio. Lo trovo enfatico, e in quanto tale mi porta a reagire per ristabilire una forma di comunicazione più vicina al mio. E’ una specie di battaglia tra i nostri due modi. Tu colori, io smorzo, tu fiorisci, io getto acqua. E’ un riflesso immediato. E’ come se io ti volessi implicitamente indirizzare verso un modo di comunicazione più vicino a me e alla mia sensibilità. Scherzo per invitarti allo scherzo, minimizzo per invitarti a minimizzare.
    Pensa che uno dei tuoi primi commenti su un mio post era talmente positivo nei miei confronti che ho sinceramente pensato che tu fossi sarcastica e volessi prendermi in giro! E ci rimasi male. A tal punto sono sospettosa nei miei confronti.
    Quando, con poche parole scherzose, lascio cadere le tue troppe lodi cerco di dirti, senza dirtelo: ma che mi stai prendendo per i fondelli? Non prendermi e non prendiamoci troppo sul serio.
    Questo è particolarmente vero nel mio commento al tuo post gemello del mio.
    Avrei voluto riportarlo per intero, ma vedo che lo hai censurato. Non importa, te ne darò ugualmente l’ interpretazione autentica (ammesso che tu sia disposto a credermi). Io avanzavo l’ipotesi SCHERZOSA che alla base della nostra sintonia ci fosse il fatto che magari narravamo una storia banale. L’amore che va e che torna. Non dicevo banale a te, sospettavo entrambi di banalità. Se fossimo stati di persona ti avrei detto: aò, ma non sarà che se scriviamo le stesse cose è perché sono cose comuni e banali? Questi sospetti su di me io li ho continuamente. Mi scuso per averli estesi anche a te.
    Quanto a tutti i giudizi che mi attribuisci su di te, non ce n’è uno vero. Decidi tu se credermi o meno.
    Mi dispiace che tu ti sia sentito rifiutato e respinto nel tuo slancio affettuoso, e che senta di aver raccolto ironia mentre mettevi in gioco un pezzetto del tuo cuore. Volendo restare sincera posso dirti solo questo: io non mi sottraggo alla tua offerta di simpatia e amicizia, né respingo il tuo affetto, tento solo di prendere distanza di fronte alla forma con cui li esprimi. Tutti i rapporti tra persone si basano sull’accettazione di regole comuni. Delle volte questa accettazione è tacita. Ci si intende subito. Nel nostro caso purtroppo se vogliamo continuare a comunicare dovremo stabilire le regole di comune accordo e apertamente. Personalmente mi piacerebbe continuare il nostro rapporto. Sto per dire un’ovvietà: le differenze stimolano. Ma non posso prometterti di diventare una persona diversa da quella che sono. Se ti faccio questa offerta di amicizia non è certo per non perdere un lettore del mio blog, il fatto è che non voglio in nessun modo importi una frequentazione che ti offende e ferisce.
    un abbraccio marina

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