domenica 30 dicembre 2007

reale/irreale

Sono stata al Palazzo delle Esposizioni per vedere la Mostra su Rothko e ho scoperto Gregory Crewdson, fotografo americano di cui ignoravo persino l’esistenza. Ma i suoi lavori mi hanno colpita straordinariamente.



Tenete conto che parla una persona priva di ogni conoscenza in questo campo artistico e quindi anche del linguaggio per commentarle. Ma molto coinvolta da quello che ha visto.
Mi ha colpito la tecnica e il discorso che, secondo me, c’è sotto. Le scene delle foto sono costruite fin nel minimo dettaglio, come se si aprisse il sipario su un palcoscenico minuziosamente preparato per la rappresentazione. E come se la rappresentazione iniziasse e terminasse con la scena pronta lì sul palcoscenico. Non esiste un primo, un secondo ed un terzo atto. Esiste solo la prima scena del primo atto. Gli attori fermi immobili, raccontano la loro storia senza fare o dire nulla. Sembrerebbe impossibile, ma è così: quelle foto raccontano delle storie. Guardandole intere trame ci passano per la mente, prologhi, fatti, epiloghi. Sono storie terribili.



Le foto rappresentano interni di case americane, stanze da letto, tinelli, cucine.
Donne magre, con piccoli seni vizzi, scalze, siedono sulla sponda del letto, o stanno in piedi volte verso la finestra. Hanno spalle strette, colli esili, le braccia lungo i fianchi, gli sguardi vuoti. A guardarle viene freddo.




Intorno ad una tavola apparecchiata, con un enorme arrosto sanguinolento in primo piano, un uomo ed una donna siedono senza guardarsi, composti, assenti.
Le case sono piene di cose: lumi, soprammobili, tappezzerie a fiori, quadri alle pareti, lenzuola colorate, coperte in disordine. Eppure l’effetto è di una grande povertà.
Che cosa rende povere quelle persone? Quello che suggeriscono a me è che quelle vite, non sono vite, ma rappresentazioni di vite. Forse è questo che Crewdson ci dice. Lui rappresenta scene che sono già di per sé rappresentazioni, atone, vuote, mute della vita. E’ una immagine dell’America angosciante, come se su quella parte di mondo fosse passata l’Apocalisse, un’Apocalisse che immobilizza e ammutolisce, lasciando tutto esattamente al suo posto.



Nelle strade grosse macchine con gli sportelli aperti, aspettano sole, che qualcuno le rimetta in moto. Ma è chiaro che nessuno lo farà. Una donna con un carrello sta accanto ad una macchina con il portabagagli aperto, davanti ad un supermercato accecante di luci. Immota sembra accusare l’inutilità di quegli acquisti e di ogni altro gesto.
Cose e persone. Poi passi davanti ad una foto in cui vedi dei fiori in primo piano. Enormi tulipani rossi e gialli e hai un soprassalto di sollievo e di speranza. Ti accorgi solo dopo che in basso, un animale morto giace, già in decomposizione, tra gli steli di quei fiori.
Sembra che Crewdson sia passato con la sua mano a spegnere ogni scintillio di vita in ogni sguardo e ogni fremito di vita in ogni gesto, in ogni muscolo. Sono foto terribili, ma piene di un fascino inspiegabile.
Solo un cane è sfuggito alla messa in scena del fotografo. Si capisce che gli è stato chiesto di stare fermo e che è stato sistemato sulla scena con accuratezza. Il cane ha ubbidito. E’ composto, in posa sullo sfondo di una scena vagamente inquietante. Ma lo sguardo è vivo, luminoso, persino ridente. Si ribella all’opera di morti-ficazione di Crewdson. Prima di lasciare la mostra, dopo decine di questi enormi quadri, interni od esterni con luci calde o livide ma sempre laterali, sfuggenti e corpi sempre immoti che parlano di vite morte, vite spente, vite finzioni-niente sguardi, amore, comunicazione, baruffa- sento il bisogno di tornare a quello sguardo di cane.
Vorrei potervelo far vedere, ma il catalogo era davvero troppo caro.

6 commenti:

  1. Marina... ma quando sei andata alla mostra? Noi ci siamo stati ieri e mi sarebbe piaciuto andarci insieme! Abbiamo pensato al puppi tutto il tempo: i libri d'arte per bambini, che meraviglia! l'atelier per far dipingere i bambini, che divertimento! la guida seduta per terra con un mucchietto di fantolini intorno a spiegar loro l'arte di Rothko, che invidia!

    Hai il telefono staccato, senno' ti avrei detto tutte 'ste cose a voce.

    Io non posso più vivere senza un quadro di Rothko appeso ad una parete del mio soggiorno. Che soluzione proponi?

    Emmeti

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  2. Mannaggia, quando sono andata a vedere Rothko, Crewdson non c'era. C'era Ceroli che conoscevo già benissimo.Grrrrr.....
    Adoro Crewdson: le sue foto allestite come set cinematografici, film con una sola scena. E quanto sono critiche quelle foto nei confronti del modello di vita americano:l'alienazione e l'incomunicabilità nella società del benessere e del consumismo sfrenato. Ma tu questo lo hai colto benissimo,vedo.
    Ho visto che c'è fino all'8 marzo: mi sa che ci vado.
    Un bacio mia cara e buon anno e buon tutto.
    Anna

    P.S. se trovi una soluzione per emmeti, ti prego di comunicarla anche a me: gradirei anche io un quadro di Rothko nella mia sale à mangé :-)

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  3. Ragazze mi dispiace, ma se ne rimedio uno di quadro di Rothko me lo tengo per me. Potremmo organizzare un colpo grosso al palazzo delle esposizioni!
    Io faccio il palo!

    ciaociaomarina

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  4. @ Anna: tu segui molto l'arte moderna, vero? Io sono pigra, dovrei muovermi di più.
    ciaomarina

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  5. Ecco, il palo : vabbè,ho capito, mi tocca fare la ladra, con tanto di calzamaglia nera e passamontagna, ma poi, bene inteso, il quadro me lo tengo io, nella sale à mangé :-)
    Marina, io seguo l'arte in genere,antica e moderna, con predilezione per quella antica, lo faccio anche per lavoro, ma soprattutto per diletto: vedere una bella mostra mi mette in pace con il mondo e specialmente con me stessa. Insomma, è terapeutica....

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  6. Anna, vengo anch'io al colpo grosso... mentre Marina fa il palo noi rubiamo tre quadri (molto grandi, please), uno anche per lei.

    Come ho già scritto altrove, Rothko dice:

    "Dipingo quadri molto grandi, anche se mi rendo conto che storicamente questo tipo di dipinti ha un che di grandioso e di pomposo. Se lo faccio, tuttavia, (…) è proprio perché voglio essere intimo e umano. Dipingere un quadro piccolo significa porsi al di fuori della propria esperienza, considerarla (…) attraverso una lente riducente. Invece quando dipingi un quadro più grande, in qualsiasi modo tu lo faccia, ci sei dentro."

    Emmeti

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