mercoledì 19 dicembre 2007

Depressione/otto/noia, nausea & company: il XX secolo è depresso

Entriamo nel XX secolo. Il secolo scorso.E già questo è un pensiero che non mette allegria.
Vi entriamo con la terribile immagine de L’ urlo di Munch.




Nascere tra il 1900 e il 1910 significa aver conosciuto un susseguirsi terribile di
catastrofi, morti e distruzioni, come in nessun altro secolo. Anche se l’attuale moda culturale sostiene che in fondo, tutto sommato, a ben riflettere, sì insomma, la storia del ‘900 non è poi stata una tragedia diversa da tante altre, in tanti altri secoli. Dimenticando forse-colpevolmente-che da quei secoli lontani cui si fa riferimento, la nostra civiltà aveva nel frattempo fatto degli importanti passi
avanti e la colpa di un uomo del Seicento non può pesare quanto quella di un uomo del ‘900.
Alla luce di quello che gli uomini del XX secolo hanno vissuto, chi può meravigliarsi
se la cultura di questo secolo è stata così massicciamente pessimista?
Un atteggiamento contrario sarebbe stato semplicemente aberrante. Nel suo significato letterario.

Gli artisti come sempre mostrano la parte più dolorosa della realtà. I primi sono gli espressionisti che tracciano i tratti salienti di quest’epoca folle: James Ensor, Otto Dix, Georg Grosz.

Georg Grosz
Poi i surrealisti aprono una finestra sull’assurdo e sul nulla e si rivoltano contro il tempo. Dalì, Tanguy e Delvaux. Malevitch esprime il nihilismo. Picasso l’orrore. Kandinsky “il bianco del vuoto e il nero senza avvenire e senza speranza” come lui stesso definisce i suoi colori.
E Tinguely costruisce macchine che si autodistruggono.

Quanto alla letteratura, è preda di un pessimismo senza precedenti. È impossibile fare un elenco delle opere riguardanti il mal di vivere.

Robert Musil

Kafka si tormenta descrivendo la solitudine, l’assurdo, l’angoscia, Karl Kraus denuncia il “progresso febbrile della stupidità umana”, Robert Musil vede nella storia dell’Europa “il cammino dalla speranza alla disperazione”. Oswald Spengler profetizza Il Declino dell’Occidente. “Arriva l’epoca, no è già arrivata, in cui non c’è più posto per le anime tenere ed i labili ideali”.

Karl Kraus
Valery, una delle menti più lucide del secolo, addita a tutti noi, senza nessuna indulgenza “l’impotenza della conoscenza nel salvare qualunque cosa.... L’abisso della storia è abbastanza grande per tutti. Una civiltà è fragile come una vita” E “l’universo è un difetto nella purezza del non-essere.” Jean Cocteau scrive “La difficolta dell’essere”, per Samuel Beckett “stiamo tutti espiando il peccato di essere nati”e per Raymond Queneau la scopa e il pendolo sono i due oggetti più rappresentativi dell’esistenza. La scopa simbolo di un’azione ripetitiva e inutile, il pendolo, da contemplare per ammazzare il tempo.
Prima di uccidersi Henry de Montherlant(1972) fa dire ad un suo personaggio: Non amo il futuro..la vostra malattia è la speranza”
Eugene Ionesco mette in scena l’assurdo e l’incomunicabilità e per Scott Fitzgerald “beninteso qualunque vita è un processo di demolizione”

Samuel Beckett
A chi rivolgersi nel secolo per tirarsi un po’ su?
Non a Paul Celan che si toglie la vita nel 1970, dopo averci lasciato la"Fuga della morte". Dove la morte non fugge, e quel fuga è inteso musicalmente come un ritorno costante a un tema.
La noia si impone come leit motiv del secolo. Beckett la rappresenta in coloro
che “non hanno né il coraggio di finire né la forza di continuare”
E’ noia anche con Francoise Sagan, “Bonjour tristesse”, con Moravia, naturalmente, La noia e Gli indifferenti. Anche “Il tempo perduto” di Proust, è un tempo cui bisogna ridare continuamente la carica e lui, il grande Marcel, intanto vive serrato nei suoi malesseri.
Dalla noia alla nausea non vi è che un passo. Non sono che le due espressioni letterarie dello stesso mal di vivere moderno
Sartre nel 1983 scrive “La nausea” e la definisce come “il prendere coscienza dell’esistenza e dell’ assenza di ragione dell’esistere”. L’eroe sartriano ripete: “la nausea è questa accecante evidenza!”
E Albert Camus con il suo sguardo disincantato assiste all’ assurdità del mondo: “Se nulla ha senso, e nulla ne ha, tutto è possibile, ma niente è importante”.

Così gli artisti. E i filosofi?
I filosofi suonano una serie di variazioni sullo stesso tema: il mal di vivere. Husserl sottolinea che la cultura occidentale ha costruito un sapere che contiene in se stesso la propria forza di autodistruzione e, attenzione, ciò non è avvenuto per caso.

Wittgenstein
Wittgenstein descrive il mondo come una collezione di fatti indipendenti e la logica è solo formalismo, mentre “credere a una connessione causale è pura superstizione”.
Tutte le verità, tutte le teorie sono solo tautologie incapaci di spiegare il mondo e il senso della vita. La sola forma di saggezza è il silenzio “Se non si sa ciò di cui si parla è meglio tacere”.
Emil Cioran, lui, scrive una serie di opere i cui soli titoli bastano ad abbattere al suolo qualunque ottimista: "Il funesto demiurgo", “Al culmine della disperazione” 1933, “Sommario di decomposizione” 1949, e, nonostante “La tentazione di esistere” del 1956, torna a L’inconveniente di essere nati” 1973.


Emil Cioran

Nel XX secolo il suicidio fa strage tra gli intellettuali.
Si uccidono, con i sistemi più vari e spesso dolorosi, Majakovskij, Virginia Woolf, Stefan Zweig, Pierre Drieu de la Rochelle, Klaus Mann, Cesare Pavese, Stig Dagerman, Sylvia Plath, Henry de Montarlant, Romain Gary, Yukio Mishima, Arthur Koestler, Primo Levi, Bruno Bettelheim, Gilles Delouze. Ho scelto i primi che mi sono venuti in mente, l’elenco sarebbe lungo e poco allegro.

Yukio Mishima

Quanto al mondo dello spettacolo, della politica, dell’arte, anch’essi offrono generosamente le loro vittime al suicidio: Marilyn Monroe, Jean Seberg, Dalida, Nino Ferrer, Marcus Rothko, Bernard Buffet, Pierre Bérégovoy, Yves Saint Laurent...



Permettetemi di terminare la carrellata di foto con l'indimenticabile grazia di Marilyn Monroe.
Quando il suicidio non è diretto, esplicito, i comportamenti autodistruttivi conducono allo stesso risultato. Il mondo del rock contribuisce generosamente.


E le scienze della psiche che hanno da dire?
La psicanalisi è figlia ma anche madre del mal di vivere. Come un gatto che si morde la coda. La psicanalisi nasce dall’osservazione dei disturbi psichici profondi, parte da finalità terapeutiche per arrivare ad una constatazione: il mal di vivere e la malinconia fanno parte integrante dello psichismo “normale”. Intanto la psicanalisi contribuisce a diffondere il mal di vivere (che Freud mi perdoni e anche Musatti) nella misura in cui dimostra fino a che punto il nostro comportamento dipenda dalle forze oscure e incontrollabili dell’inconscio.
Questa nuova “scienza” può guarire da alcune forme di angoscia, ma non può dare un senso alla vita, né una ragione per vivere. Essa lascia un vuoto. Chi o che cosa lo colmerà?

Anche la sociologia dice la sua sul male di vivere del ‘900 e il quadro che nel 1897 Durkheim aveva avanzato della società sua contemporanea è in gran parte confermato anche al termine di questo secolo.

Intanto la società risponde alla tanto sciorinata noia degli artisti decretando la mobilitazione generale: cento canali televisivi vegliano su di noi 24 ore su 24, cinema, video, viaggi, mostre, locali, festival, vacanze animate, club, sport,centri commerciali, spettacoli, giochi, cellulari, internet.... Meglio fare di tutto che non fare niente. L’importante è combattere la noia dello stare in propria compagnia, soli con noi stessi. Questa è la risposta dell’ uomo comune alla noia metafisica dell’artista, ma l’una e l’altra si rispondono.

La più diffusa delle analisi confronta il secolo presente con il passato e constata che alcune epoche sono più favorevoli di altre all’integrazione sociale del malinconico. Nei periodi di stabilità e di immobilismo sociale, in cui ognuno ha un suo posto nella società e non si pensa di cambiare il proprio destino, il malinconico, che è un indeciso, un inattivo, un incerto, passa inosservato: si crederà cosi che il mal di vivere sia meno diffuso. In realtà in una società che ha già pronto tutto il pacchetto per ogni individuo, semplicemente il malinconico non ha scelte con cui confrontarsi.
Ma nei periodi segnati da sconvolgimenti e instabilità, in cui lo spirito di iniziativa, il dinamismo, l’attività, i movimenti collettivi, la comunicazione, sono percepiti come fattori positivi, il malinconico diviene un emarginato. Egli si sente fuori luogo in un mondo che lo considera un malato, un depresso clinico, sia che lo sia davvero, sia che sia solo un malinconico osservatore della realtà.

Accade allora che i pessimisti e i depressi che vivevano al riparo dell’oscurità nella società tradizionale, sono ora sotto i riflettori spietati degli attivisti della società consumistica. Essa li rifiuta come paria dell’edonismo contemporaneo e simultaneamente, li produce additandogli la felicità come dovere e l'infelicità come fallimento. Produce depressi e li esclude, li esclude e li produce. In un circolo infernale.

Ciliegina sulla torta si avvicina l'alba del nuovo secolo.Un po’ dovunque risorgono i vecchi millenarismi e mentre si discute se si stia entrando nel 2000 o nel 2001 (nel secolo dei relativismi anche la matematica è un’opinione) il mal di vivere, trionfalmente, s’è mangiato il XX secolo.


Fussli: Il silenzio

5 commenti:

  1. Post straordinario...

    Alla tua carrellata di grandi anime disperate e autodistruttive, ci sarebbe da contribuire con un'altra categoria, quella dei cultori di scienze esatte: da Ludwig Boltzmann sopraffatto dal caos dell'irreversibilità, ad Alan Turing violato e negato a morte da quel mondo che gli aveva chiesto abnegazione in nome della democrazia e dei diritti umani.

    Non si uccisero, ma rimasero travolti dalla follia e dall'allucinazione Georg Cantor, che resse bene all'Ottocento ma crollò di fronte al nuovo secolo, e il grande Kurt Goedel che nell'abisso dell'incompletezza matematica credette di vedere il volto di Dio.

    (...)

    Lisa

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  2. Grazie! Non ci avevo neanche pensato ai grandi scienziati! E non ho neanche sufficienti conoscenze. Chissà quanti ne ho dimenticati nei secoli precedenti!
    grazie per il tuo contributo, Lisa
    ciaomarina

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  3. Grandi uomini, ma davvero se li vediamo dal punto di vista umano, tanta infelicità... Bello però quello che scrivi, come sempre, un abbraccio. Giulia

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  4. Questo lo conosci? Io ne ho sentito parlare
    entusiasticamente da g. per molti anni.

    Carl Michelstaedter di Gorizia,
    filosofo e poeta nichilista-esistenzialista,
    suicida a 23 anni, ma più che
    poeta (anche se ha scritto in forma di poesia)
    è un filosofo, la sua opera più importante è:
    la persuasione e la rettorica.

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  5. ciao Blonde, di Michelstaedter ho un libricino di poesie. Le ho lette forse una trentina di anni fa'. Non ricordavo o non sapevo che fosse filosofo.
    ora me lo rileggerò
    grazie ciaomarina

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