venerdì 28 dicembre 2007

Depressione/fine/io ti curerò

Tranquilli, stiamo per chiudere il discorso su mal di vivere e depressione. Mi ero ripromessa di terminare prima della fine dell’anno e ci siamo: con questo post termina la carrellata storica.
Un piccolo supplemento vi verrà però inflitto domani. Vorrei infatti aggiungere tre piccoli ricordi personali. Non il racconto della mia depressione, di nessun interesse, ma il racconto di tre episodi che mi sembrano di qualche significato.


Anselmo Bucci "La Bigia" 1922


Passare dal ‘mal di vivere’ a parlare della depressione clinica comporta un salto di responsabilità verso le persone che casualmente passino sul mio blog.
Il Web ospita tutto, in un disordine caotico e privo di gerarchie. Questo fa il suo fascino, ma naturalmente è anche la sua insidia.
Prima di farlo desidero perciò fare qualche premessa.

La prima premessa è che, anche se le mie affermazioni sulla depressione (origini, terapie, approcci, significati, conseguenze, interpretazioni) sono quelle sostenute dalla ricerca scientifica, suffragate dall’esperienza -personale e non- e dallo studio e da letture costanti e protratte nel corso di diciasette anni, non intendo in alcun modo presentarle come modello di pensiero cui uniformarsi. E il mio discorso non è volto a svolgere opera di persuasione nei confronti di chicchessia.
Ho troppo rispetto per la sofferenza dei miei simili per entrare in forma prescrittiva o paternalistica nelle loro vite. Nello stesso tempo mi sento libera di esporre quanto fin qui ho appreso.




La seconda è che, se ci si dedica alla lettura dei numerosi testi scientifici pubblicati negli ultimi dieci anni sulla depressione, si scopre che non esistono divergenze sostanziali tra coloro che si occupano di depressione, che l’hanno studiata e che continuano a studiarla. Si scopre anche che sulla propria depressione cominciano a scrivere numerose persone, da scrittori (William Styron “Un’oscurità trasparente”; Pierre Daninos "Le 36ème Dessous"; V.S. Naipaul "L'enigma dell'arrivo") filosofi (Clément Rosset "La route de nuit"), fino a quella che è universalmente riconosciuta come uno dei massimi esperti mondiali di questa patologia: la psicologa clinica Kay Redfield Jamison "An unquiet mind".




La terza premessa è che ho scelto come autore di riferimento il Professor Giovanni Jervis e, in particolare, un suo smilzo, ma prezioso libretto a scopo esclusivamente, ma rigorosamente, divulgativo: "La depressione" Il Mulino 2002. Di Giovanni Jervis un riduttivo curriculum, che chiunque può rintracciare, segnala la sua laurea in Medicina, le specializzazioni in Neurologia e in Psichiatria, la successiva laurea in Filosofia, la sua collaborazione con l’etnologo De Martino e quella con Franco Basaglia nella Comunità terapeutica di Gorizia, la formazione psicoanalitica freudiana, l’esperienza nella direzione del Servizio Sanitario Psichiatrico di Reggio Emilia, la cattedra di Psicologia Dinamica nella Facoltà di Psicologia della Sapienza di Roma e le numerose pubblicazioni, sia strettamente specialistiche che divulgative. Un curriculum che dimostra come, nel corso della sua vita, abbia affrontato il tema della sofferenza psichica senza tralasciarne nessuno degli aspetti ed anzi con un’attenzione privilegiata alle problematiche sociali e psicologiche.
A proposito di se stesso Giovanni Jervis dice di appartenere “al novero di coloro che non considerano le esperienze umane come riconducibili a parametri misurabili” e, a proposito della depressione, che “l’esperienza soggettiva intimamente vissuta della depressione è quella che meno sembra prestarsi a venir analizzata dall’esterno.
Piuttosto il disturbo depressivo appare come un dolore non descrivibile, un vuoto oscuro e maligno una mancanza che si apre su una dimensione inquietante e però forse universale della nostra mente.
Non pochi aspetti della depressione ci rimangono tuttora sconosciuti. Eppure, malgrado questo, e malgrado che talune dimensioni del problema non appaiano direttamente sondabili dalla scienza, nell’insieme questo disturbo può essere studiato e, soprattutto, può essere efficacemente curato.”

Smettiamo di premettere e passiamo a dire.

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La depressione di cui parliamo qui non è quello stato occasionale e transitorio di scoraggiamento, tristezza e persino disperazione, in cui chiunque può trovarsi per eventi della propria vita o anche senza ragione, in certe giornate “no”.
È un vero disturbo psichico, e’ uno dei possibili “slittamenti” patologici della nostra mente, ovvero è uno stato mentale alterato.

Una delle definizioni di depressione maggiormente diffuse, generalmente accettata dalla comunità scientifica internazionale, è riportata nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, della American Psychiatric Association, giunto alla sua quarta edizione (DSM IV).
La prima avvertenza del DSM IV è che una persona non È depressa, ma ha una depressione.

In esso la diagnosi di depressione viene basata sul riscontro della presenza di alcuni dei seguenti sintomi: umore depresso per la maggior parte della giornata; marcata riduzione dell’interesse o del piacere a svolgere le attività quotidiane; perdita o aumento significativo di peso; insonnia o eccesso di sonno; agitazione o ritardo motorio; senso di affaticamento e perdita di energia; sentimenti di inadeguatezza o di colpa; ridotta capacità di ideazione o di concentrazione; indecisione; pensieri ricorrenti di morte, idee di suicidio.
La presenza e la diversa concomitanza solo di alcuni di questi sintomi, come pure la durata degli stessi, porta a diagnosi di diversa gravità depressiva. Spesso la depressione si associa ad altri disturbi mentali quali la sindrome ossessivo-compulsiva, i disturbi da attacchi di panico, le alterazioni del comportamento alimentare, l’ansia.
La depressione è quindi essenzialmente un' alterazione dell’umore, e non ha nulla a che vedere con le nevrosi.
Esistono diversi tipi di depressioni, da quelle lievi e temporanee rapidamente riassorbibili fino alla depressione maggiore. Le più diffuse sono: distimìa, distimìa disforica, depressione subclinica, depressione “sorridente” (mascherata ), ciclotimia, depressione stagionale (che tende a comparire regolarmente con l’accorciarsi autunnale delle giornate), depressione psicotica, disturbo bipolare (un tentativo paradossale del nostro cervello di ribilanciare il tono dell’umore), depressione cronica e depressione maggiore. Questa è un disturbo grave, in primo luogo per il rischio di suicidio, ma, anche prescindendone, per lo stato di sofferenza soggettiva e l’estrema angoscia che ne fanno una condizione di vita atroce.

Le cause della depressione sono ancora oggi imperfettamente note.
Ci può essere una predisposizione genetica.
A prescindere dalla depressione, in generale, l’effetto dei nostri geni non è affatto automatico e neppure agisce sul nostro corpo fin dalla nascita. Alcuni geni rimangono “silenti” per anni. Molti cominciano ad agire solo per lo stimolo di eventi esterni. Un meccanismo del genere potrebbe agire per la depressione.
Una delle ipotesi è che taluni eventi sfavorevoli di vita (lutti, fallimenti personali o relazionali, malattie altre) possano contribuire a determinare in soggetti geneticamente predisposti, scompensi funzionali cerebrali di tipo biochimico.
In particolare scompensi relativi a taluni “mediatori chimici’, o neurotrasmettitori, e soprattutto scompensi relativi ai recettori cellulari di questi mediatori. L’importanza dei fattori genetici è confermata dagli studi sui gemelli.
Entrando appena un po’ nei dettagli, allo stato depressivo corrisponde una produzione deficitaria di serotonina e noradrenalina, i due principali neurotrasmettitori, piccole molecole che permettono il passaggio degli impulsi elettrici da un neurone all’altro attraverso le sinapsi. In genere si aggiunge una produzione troppo elevata di cortisolo, un ormone.

Nel 50% dei casi, la predisposizione divenuta attiva tenda ad esserlo e ad agire in modo ricorrente, forse per tutta la vita.
I casi di depressione “permanente” sono rari, anche la depressione cronica, infatti, conosce periodizzazioni. Lo scompenso torna però in genere a manifestarsi a distanza di mesi o anni.

Qualche statistica sulla diffusione. In un “oggi” qualsiasi il 5% della popolazione è colpita da depressione, mentre il 17% ne ha già sofferto o ne soffrirà.
Le cifre sono impressionanti ma quello che c’è di buono è che in più dell’80% dei casi la risposta al trattamento farmacologico è pienamente soddisfacente.
Trattamento farmacologico significa psicofarmaci. Per la descrizione del meccanismo di azione dei farmaci antidepressivi rimando ad un articolo chiaro ed esauriente di Ennio Esposito e Pasquale Liguori su Le Scienze (Febbraio 1996).
Qui mi limiterò a dire che questi farmaci riequilibrano la funzione dei sistemi neuronali.


Il vero problema della depressione quindi non consiste in una difficoltà a trovare cure efficaci bensì nel fatto che un numero molto grande di persone affette da questa patologia non viene curato.
Il motivo principale consiste nel fatto che spesso la depressione non viene percepita come malattia né dalla persona interessata né spesso dai familiari.
Inoltre spesso al malato ripugna l’idea di un trattamento con medicine. La sostanza chimica viene avvertita come qualcosa di artificioso e brutale che pretende di ridurre la persona ad una macchina guasta e nega la dignità della soffrenza.

In questo rifiuto degli antidepressivi entrano in gioco anche fattori culturali.
Veri e propri stereotipi, pregiudizi, o improprie semplificazioni giornalistiche, nonché mitologie popolari e della media cultura o vere e proprie leggende metropolitane.
In Italia questi pregiudizi si esprimono attraverso affermazioni di questo tipo:

-trattare la depressione con psicolfarmaci è pratica recente e quindi poco sperimentata. NON è vero: gli antidepressivi vengono usati da 40 anni.

-esiste pericolo di abuso di psicofarmaci. Questo é vero ma NON riguarda gli antidepressivi. Sono i tranquillanti, i sonniferi, gli psicostimolanti di cui si fa abuso. In Italia non sono mai stati segnalati casi di abuso o di impiego voluttuario o commercio illegale di antidepressivi. NON UN SOLO CASO.

-queste “droghe” allontanano la persona dalla realtà e si configurano come pillole della felicità. NON è vero. Persino il famoso “prozac” (nome commerciale di un antidepressivo non più efficace di altri) non ha effetto euforizzante, combatte la depressione in chi è depresso ma non modifica il tono dell' umore di chi sta bene. È perfettamente inutile prenderlo, come sa qualunque persona tendente all’uso di droghe.

-gli antidepressivi reprimomo il sintomo ma non combattono il disagio. Questo è vero nel senso che l’efficacia si limita al periodo di tempo in cui vengono effettivamente somministrati, ma esistono una infinità di altre malattie e di altre sostanza farmacologiche per le quali si può dire la stessa cosa.

-gli antidepressivi ostacolano la comprensione psicologica dei grandi problemi esistenziali e negano la presenza del male all’ interno della vita umana e del dolore nel mondo. Questo tipo di obiezione proviene per lo più da filosofi. È vero il contrario: questa tematica “esistenziale” è approfondita più lucidamente se il paziente ha un tono dell’umore non alterato.

-la depressione va curata con la psicanalisi.
Questo è FALSO. Se è vero che l’attenzione agli aspetti psicologici della depressione è importante e che in molti casi è opportuno intervenire oltre che con i farmaci anche con talune forme di psicoterapia (tra cui la più efficace è OGGI ritenuta la psicoterapia cognitiva) è ancor più vero e dimostrato che la psicoanalisi è in genere la MENO indicata.

Nel nostro paese esiste un problema supplementare: Spesso i depressi non vengono curati perché si affidano a persone incompetenti.
Della sofferenza mentale in Italia si occupano in tanti e la legge non aiuta a fare chiarezza.
Esistono gli psicoterapeutici che possono o NO essere medici (anomalia tutta italiana).
Tra gli psicoterapeuti possono esserci laureati in psicologia -che, ricordiamo, studia il comportamento umano e non si occupa se non marginalmente di problemi di sofferenza mentale- o psicanalisti. Psicanalista, ricordiamo ancora, non è un titolo riconosciuto dallo Stato, sulla base di studi controllati, ma una designazione generica (anche autoattribuibile) rilasciata da scuole che sono associazioni private. Lo scopo di una psicanalisi dovrebbe essere conoscitivo, culturale, riflessivo ma NON terapeutico.
In realtà in Italia gli unici ad aver compiuto studi specialilistici sui disturbi psichici sono gli psichiatri, i quali sono gli unici laureati in medicina e specializzati nella diagnosi e cura dei disturbi psichici. Neanche il neurologo ha specifiche conoscenze in disturbi psichici, occupandosi del sistema nervoso e delle sue malattie, come lesioni, traumi meccanici, infezioni, emorragie ecc. Di problemi di sofferenza mentale si occupa solo marginalmente.

Nel nostro paese da 25 anni gli affetti da depressione vengono tenuti lontani da terapie efficaci. Una generale ideologia ostile alla biologia e alla medicina moderna e in generale al metodo sperimentale, nonché la tradizionale mancanza di cultura scientifica- lascito della filosofia idealista-hanno determinato nel nostro paese una situazione di inappropriato approccio alla depressione, come del resto ad altri disturbi psichici.
Inoltre negli anni '70 si è diffusa l’idea che il disagio psichico abbia cause ambientali e psicologico-esistenziali se non direttamente sociali e si è assistito ad una veloce e superficiale popolarizzazione delle idee della psicoanalisi.
È solo da pochi anni che la situazione va migliorando.

Vorrei qui segnalare delle fonti di studio per la depressione e la sua terapia.
Come bibliografia mi limito a segnalare:
-C. Hammen “Depression” Hove Psychology Press 1997
-S. Borentan “La depression” Paris Osman Eyrolles Multimédia 2001
-S. Zoli “E liberaci dal male oscuro” Milano TEA 1998
Non sono i più recenti, ma hanno la dote della chiarezza

Per una dimensione interpretativa, di impostazione filosofico-letteraria: E. Borgna “Malinconia” Milano Feltrinelli 2001
Per una prospettiva più sociologica: A. Ehrenberg “La fatica di essere sé stessi- Depressione e società” Torino Einaudi 1999

Alcuni siti: http://www.depressionalliance.org

www.psycom.net/depression.central.html

http://depression-screening.org

8 commenti:

  1. Se ti interessano questi temi, io ho scritto (assieme allo psichiatra Peppe Dell'Acqua, che fu amico e collaboratore di Basaglia, e che adesso è direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste) un libro sulla schizofrenia. Il titolo (regalatoci da Ligabue) è "FUORI COME VA - Famiglie e persone con schizofrenia. manuale per un uso ottimistico delle cure e dei servizi" (Editori Riuniti)
    I temi di fondo sono: capita a tutti di soffrire per "problemi" mentali, NON esiste una sola causa per i disturbi mentali ma un insieme di fattori, NON esiste una linea di confine netta tra "sani" e "malati", dal disturbo mentale si può guarire.
    http://lucianoidefix.typepad.com/

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  2. Grazie Luciano, me lo leggerò sicuramente.
    Tu hai scritto cose molto diverse, dai libri per bambini, alla narrativa, ai testi sulla schizofrenia. Sei forte!
    ciao marina

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  3. Dissento !

    Come depresso, psicanalizzato e psicofarmacizzato etc etc

    Non mi trovo d'accordo con diverse tue affermazioni, ora in linea di massima la mia indole mi porterebbe ad astenermi da qualsiasi commento, ma in questo caso sento di non potere/dovere astenermi ...

    Tu dici la depressione é un disturbo dell'umore, e non ha nulla a che fare con la nevrosi, non sono d'accordo intanto perché una simile affermazione implica l'esistenza di univoche acclarate e condivise definizioni sia di umore che di nevrosi, e senza addentrarci nel ginepraio sappiamo che non esistono. Inoltre io credo che non si faccia un piacere ne alla depressione ne ai depressi liquidandola/i .

    Io credo, e credo di non essere il solo a crederlo; che la depressione sia parte di quel groviglio che alcuni vogliono chiamare nevrosi, ora non so se sia causa parte o conseguenza, sai se è un groviglio é per definizione difficile riuscire a trovarne un capo.

    Inoltre fai tutta una serie di affermazioni su psicologi, psichiatri e psicanalisti, che meriterebbero di essere commentate. Mi vorrei soffermare solo su una, tu affermi con decisione che la psicanalisi non é una cura, e anche se riconosco che probabilmente sei in buona compagnia nel fare questa affermazione che forse potrei sottoscrivere anche io, credo che non qualificando ulteriormente tale affermazione si fa un torto a tutti coloro compreso lo stesso Freud che invece ritengono che sia una cura.

    Insomma lo ammetto non so se la psicanalisi sia una cura, e forse non lo é, resta il fatto che mi dispiace vedere la psicanalisi messa nel cestino delle cose "vecchie" che una volta si pensava fossero una cura, mi dispiace vederlo fare da una persona come te che per il resto vedo sempre molto attenta a non seguire la moda del momento e dare la dovuta considerazione a molte cose che appaiono passate di moda ai più.

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  4. Ciao bip, so quanta elequenza hai e quindi entrare in una polemica con te è molto rischioso, ma non posso tirarmi indietro.
    Dire che la Depressione non è una nevrosi, non significa declassarla o liquidarla, ma solo definirne il campo. Si può essere nevrotici E depressi, ma nel linguaggio della comunità scientifica internazionale con nevrosi si intendono “turbamenti emotivo-motivazionali che si esprimono attraverso stati d’ansia e sentimenti di insicurezza, fluttuanti o permanenti e/o collegati ad altri sintomi”.
    Per le nevrosi non si è trovata alcuna causa od evidenza biologica a differenza che per le depressioni. Come sai Freud si occupava di nevrosi, concetto che al suo tempo era più ampio e più indistinto. Le nevrosi vengono attualmente trattate con psicoanalisi o psicoterapie di diverso orientamento. Alcune anche con farmaci, ma solo quando si accompagnano a disturbi dell’umore.
    Da psicanalizzata a psicanalizzato, considero la mia psicanalisi un’esperienza stupefacente e importantissima, ma non una cura.
    Disturbo dell’umore è solo una definizione, non contiene giudizi qualitativi; non significa che sia meno grave di una nevrosi, ma che viene classificata diversamente.
    Parlo dell’OMS che raccoglie le concordanze di pensiero scientifico internazionali. E’ evidente che le classificazioni hanno sempre un forte tasso di arbitrarietà, ma qualcuna bisogna accettarne. Io accetto quelle della DSM IV, anche perché a partire dalla mia esperienza posso dire che la depressione e la nevrosi sono due cose molto diverse. Ho avuto nevrosi senza essere depressa e depressione senza nevrosi. Come pure, non facendomi mancare niente, entrambe in contemporanea.
    La depressione può essere e in genere è, molto più grave di molte nevrosi. Questo è solo il mio pensiero.

    Su psicologi, psicoterapeuti ecc.nel mio post mi limito a spiegare le competenze esatte che i loro studi e la loro formazione gli attribuiscono. Sono esattamente quelle che ho descritto. Questo non toglie che la scelta della persona da cui farsi curare sia libera. Anche se io penso che nel nostro paese i ciarlatani, impreparati, non formati che curano disturbi mentali sono davvero troppi. E pericolosi. Ne ho avuto un esempio molti anni fa’. Un esempio tragico.
    Solo a proposito della psicoanalisi nel mio post esprimo un giudizio personale. Che, con tutto il mio rispetto per le straordinarie intuizioni di Freud, è esattamente questo: Curare una depressione con la psicoanalisi, è come curare il diabete con la psicoanalisi. Mentre invece la psicoanalisi può accompagnare proficuamente le terapie farmacologiche della persona depressa e di quella diabetica.
    La mia idea sulla psicoanalisi non si è trasformata a seguito di una moda. Semplicemente trovo che non abbia compiuto nessun passo in avanti dai tempi di Freud, che si sia arzigogolata su se stessa, senza mai accettare il confronto con la scienza. E pensare che Freud fece i suoi studi PROPRIO per introdurre un approccio scientifico al trattamento delle nevrosi! Ma dopo di lui l’aspirazione alla scientificità è stata abbandonata.

    Se ti sorprende vedermi mettere nel cestino delle cose vecchie la psicoanalisi “come cura” significa che non mi hai mai sentito dequalificarla per altri suoi apporti. Se non l’ho mai fatto è perché la considero uno strumento straordinario di conoscenza, introspezione e di “aiuto” anche in presenza di depressioni. Ma non una terapia specifica, di elezione. Sorry, dovrai volermi bene lo stesso. ;-)

    ciao marina

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  5. Guarda che volersi o non volersi bene non c'entra ...

    E ovvio che te ne voglio se no non ci discuterei neppure con te !

    Continuo a dissentire, intanto quando si parla di psicanalisi non si parla necessariamente solo di Freud e lo stesso quando si parla di nevrosi, in ogni caso vorrei metterti in guardia: strumenti di classificazione et nomenclatura come il DSM sono strumenti utili se decidiamo di ridurre tutte le forme di sofferenza all'ambito e ai modi della medicina, ora fermo restando che nessuno deve restare escluso medici compresi ...
    e che non sarò io a disconoscere gli aspetti biologici del fenomeno depressione e di altri fenomeni psichici, starei attento al celarmi dietro il concetto di scientificità che spesso viene adoperato per ritenere scientifiche solo quelle scienze che riescono a ridurre il proprio oggetto a qualcosa di misurabile, insomma viva gli psicofarmaci se servono/aiutano ma però evviva anche la lezione psicanalitica che dovrebbe avere insegnato a tutti noi e spero anche a qualche psichiatra ... che la sofferenza non é una serie di caselle dentro le quali sistemarci li gli schizoparanoici
    li i depressi maggiori, i depressi minori li metto qui accanto a quelli con gli attacchi di panico, parliamoci chiaro queste sono tutte cose cha vanno bene per i piazzisti di medicinali ...
    la cosa che vorrei non dimenticarmi mentre mi ciuccio o non mi ciuccio beato il mio prozac ...
    e che le scienze non sono solo fisico-matematiche
    che non si fa scienza solo quando si contano molecole o si misurano i ponti, ma che esistono anche le scienze storiche, la ricostruzione a posteriori di un evento, in questo senso io credo non vada dimenticata la lezione della psicanalisi in quanto scienza storica della mente, per i resto sono totalmente d'accordo sull'esistenza di ciarlatani e/o incapaci ...
    ma cosa c'entra con questo discorso ?

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  6. Arieccome!
    Preferisci che ti dico su che cosa concordo o su che cosa non concordo?
    concordo con TUTTO, TRANNE la definizione di scienza. Io sono MOLTO galileiana: prova ed errore, verificabilità, falsificabilità, ecc.
    So che la nostra mente(esiste? O esiste solo il cervello e dei fenomeni?)è un groviglio e classificarne i fenomeni non è come classificare cristalli, ma la scienza come la intendo io, deve intanto delimitare il campo di ricerca, dividere un fenomeno da altri dissimili, ecc, cercare le somiglianze, le differenze ecc.
    Io penso che la storia, maestra, inascoltata, di vita, sia una disciplina con una forte tensione scientifica ma un troppo ampio campo di intervento soggettivo. Basta vedere come è usata!
    ma questo che c'entra? boh.
    lo so che l'affetto non centra, pollo! Scherzavo!
    ciao marina

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  7. già ...

    storia, bisturi e psicanalisi possono essere molto pericolosi dipende da chi e come li si usa, ma se ci pensi è una questione di libertà quanto siamo disposti a limitare un uso legittimo per proteggerci dall'abuso ?

    e poi chi traccia i confini ?

    e se io oggi metto i confini qui perché magari domani non spostarli li ?
    forse perché poi somiglia un po' troppo alla politica italiana ? ;-)

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  8. Io non intendo limitare la libertà di cura del cittadino. Penso però che lo Stato abbia il dovere della chiarezza. Non può mettere in un unico contenitore medici e non medici. Li lasci liberi di esercitare la loro professione, ma stabilisca in modo chiaro le differenze di formazione. A tutela del cittadino.
    uso legittimo, abuso, anche questo, chi lo stabilisce?

    se rifiutiamo il metodo scientifico, l'idea di una supervisione dello stato sull'esercizio di attività terapeutiche sono ca... amari!

    Io credo alla comunità scientifica perché si autocontrolla attraverso la reciproca verifica. Tizio è controllato ed eventualmente sbugiardato da caio e così via. Dove c'è concordanza di pensiero si cominciano ad avere alcune piccole certezze. temporanee spesso, perché il cammino della scienza è così. Ma tanto quando scopriranno che è la carbonara a guarire dalla depressione io non ci sarò...
    intanto mi curo con il parmodalin ;-))


    non mi parlare di politica italiana, sono al massimo del disgusto
    Allora, Diliberto ci va in cattedra?
    ciao marina

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Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo