lunedì 26 novembre 2007

Depressione/sei/ Primo Romanticismo, oh my God!

Il mal di vivere del primo Romanticismo ha una sua complessa originalità: è un insieme di disillusione (Il Congresso di Vienna del 1815 dichiara archiviato ogni sogno politico di libertà, mentre sull’Europa si distende la cappa soffocante della Santa Alleanza), di noia e di impazienza, di sentimenti morbosi e di fame di vita.

Arthur Rimbaud
Sono i poeti a farsi portavoce di questi umori. Prima si esaltano per le grandi imprese libertarie che sembrano a portata di mano, poi delusi ripiegano sull’amore.
Noi diremmo dal politico al personale. Ma anche il personale è doloroso. Gli amori sono tragici, minacciati dal tempo, dal tradimento, dalla morte. I poeti muoiono giovani. Così Shelley, Keats, Burns, Byron, l’intera famiglia Bronte, Novalis, von Kleist. Se tardano a morire invocano la morte. Thomas Gray è il poeta dei cimiteri, Wordsworth e Coleridge rovesciano i loro pensieri oscuri in ognuno dei loro versi.

John Keats
Di Giacomo Leopardi parlerò a parte perché la sua lezione è non solo poetica ma anche filosofica e costituisce un unicum.
Con Francois-René de Chateaubriand e Benjamin Constant si affaccia una prima interpretazione “moderna” del mal di vivere. Entrambi malinconici patologici, denunciano le frustrazioni generate in noi dai nostri limiti. Mentre il progresso infiamma la fantasia e l’immaginazione e i sogni e le aspirazioni crescono, la scienza rende sempre più chiaro il senso dei nostri limiti e della nostra finitezza: Il primo Ottocento intuisce il disagio esistenziale.

Mentre i poeti muoiono, i filosofi si deprimono (gravemente come John Stuart Mill),e i caricaturisti coprono di sarcasmo i “malfelici”. Ingiustamente, perché il mal di vivere continua a devastare anche la seconda generazione del secolo. Ogni grande poeta lo esprime con la sua voce personale. Stéphane Mallarmé: “profumo di tristezza”, Paul Verlaine: “il languore monotono”, Arthur Rimbaud il suo definitivo: “Io mi credo all’inferno, dunque vi sono”. Leconte de Lisle alla Morte: “rendici il riposo che la vita ha disturbato”. Gerard de Nerval, “io sono il tenebroso, lo sconsolato”, Théophile Gautier: “acre voluttà del male”.
L’angoscia di vita ha mille sfumature. Tra queste ‘la noia esistenziale’ che Flaubert descrive anatomicamente nelle lettere agli amici e Baudelaire canta regalmente.
Siamo dunque allo spleen, angoscia sia fisica che metafisica, soffocamento e disgusto, apatia e scoramento, che Baudelaire, in una lettera alla madre, sintetizza così: “Mi domando continuamente: a che pro questo? a che pro quello? E’ questa la vera essenza dello spleen.”
I grandi musicisti del secolo non soffrono meno: così Schumann-tormentato fino alla follia-Ciaikovskij e Berlioz. Così pure i pittori: William Blake, gli scultori-Rodin con Il pensatore scolpisce l’equivalente della Melancholia I di Durer. E i romanzieri: Edgar Allan Poe e Lev Tolstoj. Tutti preda dello stesso mal di vivere.
Se la malinconia delle prime generazioni di romantici era congiunturale, il fenomeno si innesta ora sulla modernità e diviene autonomo dagli eventi storici, ed endemico. Colpisce individui al di fuori di qualsiasi contesto culturale o sociopolitico: non è più il male del secolo, come lo aveva definito Alfred de Musset, ma si avvia ad essere il male della modernità.

4 commenti:

  1. Quando il cielo basso e pesante opprime come un coperchio lo spirito che geme in preda a lunghi affanni, e, abbracciando l'intero orizzonte,versa su di noi un giorno buio più triste della notte;

    quando la terra è trasformata in un'umida prigione dove la Speranza, come un pipistrello,se ne va battendo contro i muri la sua timida ala e picchiando la testa nei soffitti marci;

    quando la pioggia, spandendo le sue immense strisce, imita le sbarre d'un grande carcere, e un popolo muto d'infami ragni tesse le sue tele in fondo ai nostri cervelli, le campane tutt'insieme insorgono con furia e lanciano verso il cielo un urlo straziante, simili a spiriti vaganti e senza patria, che gemono ostinatamente.

    E lunghi funerali, senza tamburi né musica, sfilano lentamente nella mia anima;
    vinta, la Speranza piange e l'atroce Angoscia, dispotica, pianta sul mio capo chino il suo nero vessillo

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  2. grazie Anna, vedo che sei uscita dal letargo. Potenza della poesia!
    ciaomarina

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  3. Anna, è bellissima, ma è tua?
    blonde

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  4. Sì Blonde,la traduzione è mia.
    Conosco questa poesia da sempre ed amo Boudelaire.

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