lunedì 29 ottobre 2007

quando? sulla via Lattea....

Due notizie lette ieri mi hanno portata a questo post.

La prima è che al teatro Palladium di Roma si è tenuta la prima mondiale dello spettacolo “Opera di amore e destino” durante il quale sono state eseguite delle composizioni, recentemente ritrovate, scritte e musicate dal premio Nobel per la Letteratura Rabindranath Tagore. Danze indiane hanno accompagnato i canti.
La seconda notizia è che Francis Ford Coppola ha girato un nuovo film “Youth without youth”, tratto da un romanzo postumo di Mircea Eliade, il grande storico delle religioni rumeno. Coppola in una intervista dice di aver sviluppato del romanzo di Eliade “il tema dell’amore eterno di un uomo per una donna. Il racconto è una variazione del Faust. Che cosa è l’eterna giovinezza? -si chiede Coppola? -Secondo me è la capacità di innamorarsi di nuovo, e sempre della stessa donna: la donna della propria vita”
Questi tre elementi Tagore, Eliade, una donna amata e poi riamata, hanno fatto scattare in me il ricordo di una storia straordinaria. La storia di una donna che scriveva poesie accanto a Tagore e le cantava e le danzava per lui. Una donna che in quegli stessi giorni amava Mircea Eliade. Una storia che credevo di aver letto fino all’ultimo capitolo e che forse invece ne ha ancora uno da offrirmi.
Eccola.


E’ una storia fatta di due libri. Il primo è stato scritto nel 1934 da Mircea Eliade, grande filosofo rumeno, uno dei massimi studiosi del fenomeno religioso, professore emerito all’Università di Chicago, morto nel 1986 a 79 anni.
L’altro è stato scritto nel 1974 da Maitreyi Devi, grande poetessa indiana, discepola prediletta di Rabindranath Tagore, critica letteraria, attiva sostenitrice dei diritti civili delle donne e dei bambini, morta nel 1990 a 76 anni.
Il secondo libro è la risposta al primo.

Mircea Eliade e Matrieyi Devi si incontrarono a Calcutta negli anni trenta, lei sedicenne, lui ventritreenne. Il giovane Eliade era in viaggio di studio in India e fu ospitato nella casa di Bhowanipur dal suo professore di filosofia Surendranath Dasgupta, padre di Maitreyi.
Quell’incontro Mircea Eliade lo ha raccontato nel suo romanzo “Maitreyi, incontro bengalese”. E Maitreyi ha voluto racccontarlo di nuovo e differentemente nel suo: “Na hanyatè, ciò che non muore mai”.
Io ho letto il primo libro nel 1992 e il secondo tredici anni dopo, nel 2005.
Del primo mi colpì l’analisi sottile e penetrante che Mircea faceva dei suoi sentimenti e delle sue sensazioni, lo studio, la riflessione che veniva dedicata da un uomo ad una storia d’amore, narrata nel suo affacciarsi, evolversi, affermarsi e interrompersi bruscamente a causa dell’intervento repentino della famiglia di lei. Attenzione rara in un uomo quando si parli in prima persona della propria esperienza e non si tratti di scrivere un romanzo, di inventare un rapporto, una storia. Quell’amore infatti era raccontato come storia vera, con tanto di nome della protagonista e particolari precisi e riconoscibili. Era una storia piena di sensualità, di passione e di sfinimento, una storia da cui la giovane poetessa Maitreyi veniva fuori come un’amante infiammata, che passa dallo stupore della prima esperienza alla scioltezza di una sessualità matura. A parte questa giovane figura me ne restò il senso un po’ favoloso dell’India di quegli anni e dei rapporti complicati fra il giovane intellettuale occidentale, pur innamorato della cultura e della filosofia indiane, e la società colta del paese, in cui i rapporti artistici si trasformavano in vere filiazioni e in simbiosi affettive. Come quella strettissima tra Matreyi Devi e Rabindranath Tagore.
Di Eliade lessi in seguito Notti a Serampore che trovai più equilibrato e più originale. Comunque nessuno dei due libri di Eliade divenne mai un mio intimo amico.
Il nome di Maitreyi restò però nelle mie orecchie e quando, tredici anni dopo, mi cadde l’occhio sul suo libro, lo presi attirata solo da quel nome. Era proprio lei, la Matreyi di cui sapevo cose così intime! Anche se devo dire che qualche cosa, che non avrei neanche saputo definire, a suo tempo mi aveva lasciata perplessa nella descrizione che Mircea Eliade aveva fatto di quella sedicenne bengalese del 1930. Qualcosa di non credibile fino in fondo.
Il meccanismo per cui nel racconto anche autobiografico facciamo slittare di poco la realtà solo per il gusto di un aggettivo o di un costrutto, aveva per me giustificato però quella sensazione e tutto era finito lì. Mi dissi cioè semplicemente che Mircea Eliade aveva fatto un po’ di letteratura.
Maitreyi ora presentava il suo libro come la sua autobiografia e mi venne la voglia di leggere la storia della vita di quella sedicenne che Eliade mi aveva consegnata nel suo romanzo come protagonista di una storia un po’ scivolosa.
Scoprii subito che Maitreyi aveva scritto il libro proprio a confutazione di quello di Eliade, perché non si riconosceva in quella giovane, né nella storia narrata. Anzi era offesa, indignata, furiosa e delusa. Aveva sempre saputo che la storia del suo amore con il giovane Eliade era diventata un romanzo, ma non aveva mai voluto leggerlo. Lo aveva fatto solo nel 1972, a 58 anni e la lettura l’aveva sconvolta, ferita, indignata, tanto da costringerla a rispondere subito con la sua verità.

Voglio chiarire subito che in questa disputa io credo a Matreyi. Le credo perché dal suo racconto esce una storia molto più credibile, realistica, immaginabile e in linea con la mentalità e la cultura di quell’ambiente e di quei tempi. Le credo anche perché lei acclude lettere e bigliettini che da soli testimoniano di un amore casto, fatto in tutto di un bacio leggero, appena una pressione sulle labbra. Ma avrei comunque creduto a Maitreyi perché questa donna nel suo bisogno di ristabilire la verità e di chiedere ragione della menzogna, fa qualcosa di straordinario. Si procura l’indirizzo del grande studioso e gli scrive un breve bigliettino invitandolo ad un colloquio chiarificatore. In mancanza di una risposta, anziana, seriamente malata, rintraccia Eliade negli Stati Uniti, e attraversa mezzo mondo per andargli a chiedere conto di persona di quello che ha scritto. Quarantadue anni dopo.
Il libro di Matreyi è molto più bello di quello di Mircea, per qualità letteraria innanzi tutto, ma anche per ricchezza di esperienze e perché una poetessa è una poetessa e uno studioso che scrive romanzi resta uno studioso che scrive romanzi. Ma la scena, che chiude il libro, in cui Maitreyi si presenta nello studio di Eliade all’Università di Chicago, a Wood Land è semplicemente indimenticabile. Vorrei poter riportare tutto l’incontro.

Comincerò con il vero coup de teâtre. Quando si arriva al momento dell’incontro ci aspettiamo che Matreyi accusi Mircea di aver mentito, di aver fatto di lei una piccola sporcacciona per prendersi, sia pure letterariamente, quel piacere che sembra essere per gli uomini quasi più importante del piacere stesso, poter dire agli altri uomini: è stata mia. E invece no. O meglio lo accusa sì di aver mentito, nel raccontare la loro storia “La fantasia è bella, la verità ancora più bella, ma una mezza verità è disgustosa” dice Maitreyi. Ma l’accusa più grave è un’altra. E’ un’accusa di tradimento. Quello che è grave per Maitreyi è che Mircea abbia tradito il sentimento che li ha uniti, trasformandolo in una storiaccia. Non per la menzogna in sé, né perché la menzogna l’ha infangata, in un ambiente e in un’epoca in cui questo fango era difficile da lavar via, ma perché non ha conservato e anzi difeso quel sentimento nella sua natura miracolosa. È di quel sentimento che viene a chiedere conto. Quel sentimento mai morto per lei e che lei sa non poter essere mai morto in Mircea. Quel sentimento che è stato strapazzato dal libro infame di Eliade, quel sentimento lo vuole nuovamente testimoniato, è la riparazione che chiede ad Eliade.

Mircea sta nel suo studio all’Università. È l’orario in cui riceve gli studenti. Non sa niente di Matreiy. Ma mentre siede alla sua scrivania Matreiy entra nella stanza. È anziana, malata, incerta nei suoi passi perché quasi cieca, in preda all’emozione e ad un malessere, ma entra e guarda in faccia Mircea senza parlare.

Entro nella stanza. Immeditamente sento un “oh”, Mircea si alza in piedi, poi si siede di nuovo, di nuovo in piedi e mi volta la schiena. Cosa vuol dire questo, chiedo a me stessa, che mi ha riconosciuta? Come potrebbe, non mi ha neanche guardata, è possibile che riconosca il mio passo?.....Lo osservo: in cima alla testa non ha più capelli, pochi imbiancano la nuca. È magro come sempre e senza posa come sempre, prende le carte dal tavolo e di nuovo le rimette giù.
"Mircea, perché mi volti le spalle?"
"Non ti voglio vedere, sto aspettando qualcun altro"
"Sai chi sono io?"
"Certamente, certamente" dice toccandosi la testa.
Questo sì,era lo stesso Mircea, il ragazzo di ventitré anni era visibile nell’uomo di sessantasei.....lo riconosco, il mio intero essere lo riconosce. Questo è lui, lui e nessun altro. E io? Chi sono io? Anch’io sono la stessa. Indistruttibili, i miei sedici anni facevano affacciare la ragazza di allora.

“Dimmi chi sono"
"Tu sei Amrita, ti ho sentito dal momento che hai messo piede in questo paese"”.
"Perché non parli? Mircea, mio caro, girati per favore, sono venuta da lontano per vederti. Perché non mi vuoi guardare?".....

Ma Mircea ostinatamente le volta le spalle, mentre annaspa toccando le sue carte. Inizia quindi un dialogo di cui riporterò solo le frasi più significative.

"Perché non hai risposto alla mia lettera?" chiede Amrita.
"Amrita, voglio dirti che quell’esperienza è stata così sacra che non ho mai pensato di poterla ripetere di nuovo. Così ti ho fatto uscire fuori dal tempo e dallo spazio......
.....Ci sono molte cose belle, il monte Sumeru, l’Himalaya incappucciato di neve, ma puoi raggiungerle? Sappiamo che ci appartengono, ma puoi averle? E questo non vuol dire dimenticare. Queste cose rimangono come un bel sogno catturato nell’angolo più remoto dell’universo privato di una persona"-dice Mircea.

"Ma come vedi io riesco a raggiungerlo perché sono qui"
"Solo perché tu sei Amrita, l’indistruttibile Amrita. Posso fare io quello che tu puoi fare?"
"Non voglio ascoltare tutte queste chiacchere, girati Mircea, voglio guardarti."
"Come posso guardarti, credi che Dante abbia mai pensato che avrebbe potuto rivedere Beatrice con occhi vivi?...."

Amrita trema di rabbia per la confusione di Mircea. Quell’uomo viveva veramente in un mondo irreale, un mondo di fantasia, da dove aveva tirato fuori Dante e Beatrice?.........

"In quale mondo di sogni, in quale oscuro cielo stai vivendo Mircea?.... Io appartengo a questo mondo ed è l’Amrita in carne ed ossa che ti sta davanti nel tuo studio..
Tu sfuggi la realtà, liberati da questa malattia... ...per venire qui sono caduta dall’alto piedistallo della onorabilità e qualcuno pensa che io sia rimbecillita. Cosa credi che dirà la gente se si viene a sapere tutto ciò? Conosci il nostro paese, mi disprezzeranno. E facile venire a trovarti dopo 42 anni?”.....Tu ami l’irreale, il fantastico ma io ora sono venuta qui nella realtà per portare a termine una impresa impossibile”

Lui in piedi continuava a voltarmi le spalle. La mia mente ora è lucida e stabile. Lo libererò da quel suo mondo di fantasia. Ci vedremo l’un l’altro in questo mondo reale.
"Svegliati, mio caro svegliati........Mircea, sono in piedi nella tua stanza, sono un essere umano, non un simbolo non un mito. Beatrice andò in paradiso e lì incontrò Dante. Gli sarà apparsa come un fantasma ma non credi che sia diverso per me, che ti sono venuta a trovare nella vita reale?”
Mi parlò senza voltarsi, con voce affannata: "Meraviglia, ma che cosa meravigliosa è questa! Lo dico sempre ai pessimisti: chi può sapere le possibilità della vita? Chi può dire se può capitare oppure no? No, non ho mai pensato che ci sarebbe stata la possibilità di incontrarti”.
"Bene, allora girati”

Mircea si volta, ma tiene gli occhi girati da un’altra parte.
Amrita insiste.

“Sono venuta a vedere quello che è in te, ciò che non ha inizio né fine e, se tu mi guardi, credimi, in un attimo ti farò tornare indietro di quarant’anni, esattamente nel posto dove ci siamo incontrati per la prima volta"

Ma quando Mircea alza il viso a guardarla i suoi occhi sono vitrei. Amrita capisce che Mircea ha ormai occhi di pietra, che non potrà vederla di nuovo. Che ha chiuso il suo cuore alla comprensione perché ha paura dei sentimenti.
No, non mi avrebbe vista di nuovo. Cosa posso fare ora? Non sono capace di dare luce a quegli occhi...è troppo tardi

Il coraggio e la forza l’abbandonano, Amrita si prepara a tornare indietro sconfitta.
Mircea non vuole riconoscere in se stesso il Mircea che amava Amrita e non vuole riconoscere in questa donna anziana e stanca gli stessi occhi di quando si amavano.

Avvertii la sofferenza che dal mio cuore spezzato si levò come un sospiro e vagò per la stanza.
Mi avviai verso la porta quando udii la voce di Mircea:

"Amrita aspetta, perché crolli proprio ora, quando sei stata cosi coraggiosa? Te lo prometto tornerò da te e lì ti mostrerò il mio vero essere".
Non sono una pessimista. Dentro il mio cuore il piccolo uccello della speranza aveva le ali spezzate; ma non appena le parole di Mircea lo raggiunsero, anche il mio piccolo uccello riprese a vivere e si trasformò in una fenice. Qualcuno di voi ha mai visto una fenice? Questo grande e bellissimo uccello allargò le ali e mi trasportò sempre più in alto, il tetto dello studio di Mircea si aprì, i muri sparirono e tutti quei libri di pietra si trasformarono in onde e sentii il rumore dell’acqua che scorreva. Quel grande uccello mi sussurrò...Non ti scoraggiare, Amrita, accenderai di nuovo quegli occhi!”
"Quando?", chiesi avidamente. "Quando vi incontrererte sulla Via Lattea, e quel giorno non è molto distante ora”.


Mircea visse ancora quattordici anni, Maitreiy diciotto. Non si incontrarono più.
Prima di morire Mircea scrisse il lungo racconto su un amore senza tempo da cui Coppola ha tratto il suo film.

Che cosa ho visto io in questa storia e perché mi colpì così tanto quando due anni fa’ lessi il libro di Maitreyi Devi?
Credo che sia stato perché assistevo contemporaneamente a diversi confronti.
Maitreyi è la donna che crede nel perdurare dei sentimenti e chiede ragione solo del torto fatto ai sentimenti e non a lei stessa.
Mircea è l’uomo che nel raccontare l’amore compie il suo distacco, come sempre fanno gli uomini quando si raccontano un amore.
È anche il confronto tra una persona adulta, che ha i piedi in terra, ha varcato un oceano e sa quel che vuole e un bambino spaventato, tremante e incapace di staccarsi dal sogno per accogliere la realtà.
Maitreyi sa che la società bengalese, ancora alla sua età, le farà pagare il gesto che sta compiendo, che ancora darà scandalo per aver attraversato l’oceano per andare a parlare ad un uomo che l’ha infangata quaranta anni prima.
Ma non è questo l’aspetto che le interessa.
Quello che Maitreyi chiede a Mircea non è: come hai potuto infangarmi? bensì: come hai potuto trasformare e tradire i nostri sentimenti? Che cosa vuole davvero Maitreyi? Maitrey crede che se Mircea si sveglierà dal torpore dei sentimenti in cui si è chiuso, per difendersi dal passare del tempo, se lei riuscirà a svegliarlo, per l’attimo breve del loro incontro, anche lui avrà la forza di rinascere alla realtà, a quella realtà che lei, donna e indiana, sa, senza bisogno di interrogarsi: che l’amore non ha nulla a che fare con il tempo né con la materialità della vita.
“Ma tu credi che l’amore sia un oggetto materiale di cui puoi privare qualcuno per donarlo ad un’altra persona? che sia una proprietà o un ornamento? L’amore è una luce e una volta caduti sotto il suo raggio la vita non può più spegnerlo né il tempo lo può”. Questo vuole Maitreyi che Mircea senta e riconosca. Sia pure nel tempo, ben presto finito, dell’incontro. Io ho avvertito in questo dialogo anche il confronto fra la cultura del misurabile, la nostr cultura occidentale, e la cultura del divenire del vasto continente indiano.

Due anni dopo nel 1974 Matreiy scrive il libro che termina con il racconto di quell’incontro straordinario. Dentro c’è tutta la sua vita, il suo amore per il marito e i figli. Figure starordinarie anche queste, un marito che a Maitreyi che lo ringrazia per la liberta che le ha sempre lasciata, nel vivere, nello scrivere e persino nel ricordare risponde semplicemente: Avrei dovuto tenermi in tasca la tua libertà per tirarla fuori occasionalmente? La libertà è un diritto che ti appartiene con la nascita.”
Fino al 2005 credevo che la storia fosse finita lì. Poi, come vi ho detto, ieri ho scoperto che Mircea ha scritto, in seguito, questo racconto lungo Youth without youth, in cui racconta la storia di un amore che percorre sotterraneamente tutta la vita di un uomo e di una donna.
Sto cercando il libro e sto aspettando il film di Coppola, ma qualche cosa voglio dire, io che la storia l’ho seguita dal suo inizio alla sua fine: e cioè che, non essendo indiana, come Maitreyi Devi era e come, dopo una vita di studi filosofici, si sentiva anche Mircea Eliade, penso che non ci sia nessuna via Lattea in cui Maitreyi e Mircea potranno mai incontrarsi.
Qualche volta, però, vorrei poter credere, anche io, alla voce della fenice.

5 commenti:

  1. Storie di Umane Illusioni,
    in certi momenti non volute
    in altre volutamente cercate...

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  2. @ Paola perfettamente vero!
    mi è piaciuto l'intervento su serenità/felicità da Idefix, sto leggendo un libro su cui penso che farò un post. Poi te lo mando
    ciaomarina

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  3. Non ho letto i due libri (non ancora almeno).
    Mi chiedo lo stesso, però, se tu Marina – e chi ti legge - non pensi sia il caso di adottarli come “testi” per i ragazzi, per gli adolescenti per far loro comprendere le diversità tra uomo e donna, i modi diversi di vivere l’amore.
    L’uomo soddisfa le sue pulsioni.
    La donna le sublima.
    Perché ?
    Perché, credo, così si insegni a fare…in quasi tutte le culture, in modi più o meno accentuati, psicotici o romantici che siano, complici le Religioni che da sempre insegnano a reprimere.. ma le Religioni, a mio parere, sono solo il Prodotto degli uomini.
    Il mio “grido” è:
    - Impariamo a parlarci e a parlare con gli altri. A spiegare le cose come stanno…Impariamo la biologia e spieghiamola ai ragazzi ed alle ragazze.
    Rendiamoli consapevoli, liberi di scegliere.
    Smettiamola di vendere Illusioni. Insomma guardiamo in faccia la realtà, impariamo a conoscere le nostre pulsioni, ad accettarle, a viverle, a controllarle quando è il caso.
    Siamo umani, semplicemente umani con i nostri corpi e le nostre anime e siamo Stupendi(e) !

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  4. Penso che riuscire a trasmettere una visione positiva del nostro" essere semplicemente umani", sarebbe una grande cosa. Quanta sofferenza individuale si risparmierebbe! Ma credo anche che sia un programma molto ambizioso per il quale occorre remare controcorrente rispetto a tante forze che agiscono nella società. Quanto ai due libri, forse no, non sono adatti. Quello di Mircea è un po' cerebrale e quello di Maitreiy un po' esaltato. Come in effetti erano loro due. Non mi viene in mente qualcosa di più immediato e coinvolgente per un adolescente. Tu hai qualche idea?

    ciao marina

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  5. Non conosco altri esempi di "Una- aut-La stessa storia" descritta da entrambi i protagonisti.
    E' questo l'aspetto che mi intriga: due scrittori che descrivono la medesima e condivisa ventura di vita, secondo i loro punti di vista, di emozione e del ricordo.
    Sì il mio è un programma molto molto ambizioso e non attuabile in una generazione.
    Però, che programma !
    Mi do da fare perchè almeno si inizi...

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