lunedì 22 ottobre 2007

depressione/uno/bile nera da Saturno

Noi viviamo in una società che rifiuta i depressi. Eppure non ce ne sarebbe bisogno, giacché loro, i depressi, si rifiutano da soli.
Dal semplice malinconico al depresso clinico, attraverso tutte le sfumature di una malattia che si metamorfizza come un virus, la risposta della nostra società è la stessa: fastidio e condanna sociale. Questo nella sostanza, che le vacue trasmissioni televisive e la litania insopportabile dei falsi depressi-oggi sono così depresso!-non intaccano di una virgola. Una società che dà come traguardo il successo non può considerare il depresso che un fallito, perché il suo vero successo è il semplice mantenersi in vita.
Cercherò di limitare per quanto possibile l’uso di questo termine, così abusato che guarderei con favore una legge che ne vietasse l'uso a chiunque non fosse o fosse stato affetto da questa patologia. Così come introdurrei una condizione vincolante per coloro, medici, psichiatri, psicanalisti, psicologi, filosofi(sì ce ne sono)terapeuti di ogni formazione ed indirizzo, che vogliano curare, ma anche solamente scrivere di questa patologia: l'averne sofferto in un precedente momento della loro vita, o, proprio al limite, aver conosciuto il male psichico. Io ho fiducia e anzi ammirazione per l'immaginazione umana, questa freccia di una tale portata che scavalca lo spazio e il tempo e questo, spesso, in entrambe le direzioni; ma (avversativa forte) so che il male psichico è inimmaginabile per chi non lo abbia mai conosciuto. Sospetto che sia uno stratagemma della natura stessa, perché il timore non infiacchisca e scoraggi i sani. Infatti loro, i sani, sono molto più deboli di quegli altri loro, i malati, ma non lo sanno e non possono saperlo. Non sanno che con la forza che ci vuole per vivere da malati psichici, delle loro vite "normali" uno di quei malati ne potrebbe vivere tre. Peccato che non vorrebbe.
Questa è però solo una mia teoria, che mi piacerebbe sviluppare e sottoporre ad una verifica più ampia che le mie osservazioni, i miei incontri e contatti, le mie riflessioni e le mie esperienze. Lo farò prima o poi.
Per tornare al termine "depressione" da qui in poi lo sostituirò con il termine "mal di vivere" con l'avvertenza che, come tutti i termini con un contenuto poetico, è evocativo e non definitorio.

Del mal di vivere avrei intenzione di ripercorrere la storia (a tappe, tranquilli) perché la trovo una storia paradigmatica: mi sembra infatti che testimoni senza ombra di smentita il continuum sostanziale attraverso cui la persona umana si muove da qualche migliaia di anni, pur nell’evolversi culturale.
È anche una storia affascinante perché scorrendola si incontrano i più grandi geni dell'umanità. Uomini e donne di cui per lo più si ignora la loro sofferenza psichica, abbagliati come siamo dalla loro genialità. Forse non sarebbe male cominciare ad aggiungere piccoli particolari "clinici" quando sui manuali scolastici parliamo dei grandi personaggi: così per render loro l'onore delle armi. Che si sia stati l'Imperatore Adriano, Flaubert, Baudelaire, Schopenhauer, Luciano, Lucrezio, Cioran, Rossini, Schumann, pur vivendo nella sofferenza, dovrebbe essere considerato elemento non trascurabile di quelle vite. Ho citato così, a caso, i primi nomi che mi sono venuti in mente, ma potrei continuare a lungo e forse dovrei, perché tutto questo fiume di sofferenza cristallizzato in opere straordinarie, di musica, pittura, letteratura, riflessione filosofica ecc. andrebbe almeno riconosciuto. Se poi mi mettessi in testa di fare un elenco di grandi uomini e donne suicidi, trasformerei questo piccolo post in un unico, imponente, necrologio di celebrità. Non lo farò.

Inizierò invece la mia piccolissima storia del mal di vivere a partire da molto, molto lontano.
La prima testimonianza che incontriamo, infatti, almeno nel mondo occidentale, è quella di un anonimo scriba egiziano, risale a quattromila anni fa’ ed è conosciuta con il titolo significativo di Ode del disperato.


La morte è oggi davanti a me
come la salute per l’infermo
come uscire fuori da una malattia.
La morte è oggi davanti a me
come l’odore della mirra
come sedersi sotto la vela in un giorno di vento.
La morte è oggi dinanzi a me
come il profumo del loto
come sedersi sull’orlo dell’ebbrezza.
La morte è oggi dinanzi a me
come la fine della pioggia
come un uomo che ritorna a casa dopo una campagna oltremare.
La morte è oggi dinanzi a me
come quando il cielo si rasserena
come il desiderio che è in un uomo di rivedere la propria casa
dopo innumerevoli anni di prigionia.

Mi permetto di segnalare due espressioni, perché tornano costantemente sulle labbra dei sofferenti.
‘uscire fuori’ e ‘prigionia’.

L’ode risale al Medio Regno, ma non è la sola testimonianza dell’epoca. Papiri e geroglifici testimoniano che i disperati si suicidavano nella valle del Nilo, pugnalandosi, o lasciandosi affogare,o, spessissimo, gettandosi in pasto ai coccodrilli.

Intanto nel Vicino Oriente Antico il mal di vivere veniva testimoniato in numerose tavolette ritrovate in Mesopotamia. Nel ‘Dialogo sulla miseria umana’ un anonimo si dichiara ‘schiacciato dalla vita’ e i testi di saggezza babilonese rimandano una visione potentemente pessimista della vita. Sono numerose le testimonianze di uomini sofferenti di disturbi che ricordano la nostra’depressione ansiosa’.
È Erodoto poi, a parlarci del mal di vivere che serpeggia tra i Persiani.
Neanche il mondo ebraico sfugge alle più cupe considerazioni sulla condizione umana e Geremia lancia al cielo il suo grido di protesta: “Maledetto il giorno in cui nacqui!”. Il senso con cui oggi noi qualifichiamo di “geremiadi” le lamentazioni piagnucolose, dipende solo dal fatto che non riusciamo a credere alla sua sofferenza e alla sua disperazione esistenziale.
Ci sono però due libri dell’Antico Testamento che espongono in modo inequivocabile il mal di vivere nelle culture semitiche. Il libro di Giobbe (V sec.a.C.) e soprattutto il libro dell’Ecclesiaste, o Qoelet (II sec. a.C.). “Ho preso in odio la vita, perché mi è sgradito quanto si fa sotto il sole. Ogni cosa infatti è vanità e un inseguire il vento”.
Dopo dodici capitoli di lamentele sulla vanità dell’esistenza lo scrittore del Qoelet conclude. “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti”. Nonostante questa chiusa “forte” che sempre le autorità cristiane citano per compensare la desolazione del libro, resta che persino tre profeti, Geremia, Elia e Giona sono stati tentati dal suicidio.
E poi tocca ai Greci, con il loro profondo senso della tragicità dell’esistenza, i Greci chiusi tra le Parche e gli Dei capricciosi. I miti che percorrono la poesia e la tragedia greca mostrano una concezione chiaramente pessimista dell’esistenza. Teognide, Esiodo, e, nell’Iliade, Bellerofonte- considerato dalla Kristeva uno dei primi depressi della storia- denunciano la loro sofferenza. Nella traduzione del Pindemonte Bellerofonte “solo e consunto da tristezza errava infelice pel campo Aleio e l’orme de’ viventi fuggia”.
Eraclito afferma la infelicità totale del mondo a partire dalla sua personale ‘malinconia nera’, mentre Democrito gli fa eco, sia pure con schietta ironia. Dell’infelicità preferisce ridere e lo fa con Ippocrate: ”L’uomo è pazzo poiché non ha alcuna vergogna di dirsi felice”.


Ma quali sono per gli antichi le cause di questo male di vivere che così tante voci testimoniano?
La spiegazione scientifica che percorrerà i secoli sarà la ‘teoria degli umori’.
La base la pone Pitagora. Il cosmo è composto da quattro elementi: sole, terra, aria e mare. Nel corpo umano ai quattro elementi corrispondono quattro ‘umori’: la flemma, il sangue, la bile gialla e la bile nera. Empedocle elabora e precisa la teoria di Pitagora: l’equilibrio di ogni essere umano dipende dall’equilibrio interno di questi umori. Nel malinconico predomina la bile nera. Noi diciamo ancora “sono di umore nero”.
Intorno al 400 a. C. Ippocrate, il grande medico greco, preciserà che, se in eccesso, la bile nera provoca “ansia e abbattimento costante”. L’eccesso di bile nera è determinato dal cervello con il concorso di un trauma dello spirito.
È semplicemente stupefacente la chiarezza di questa analisi!
Ecco come si esprime Ippocrate: "È il cervello a provocare follia o delirio, a ispirarci il timore e la paura, giorno e notte, a causare l’insonnia, a farci commettere errori, a renderci ansiosi senza motivo...”
Galeno poi (II sec. d. C.) descrive così i suoi pazienti: “ presentano un sonno raro, disturbato, interrotto, palpitazioni, vertigini; sono tristi ansiosi..” e lega le “affezioni dell’anima al temperamento del corpo”.
È evidente come la medicina dell’antichità sia pervenuta molto presto ad una nosologia corretta della depressione. Del depresso ha sottolineato anche la particolare lucidità intellettuale.
Ma chi afferma, senza mezzi termini, il rapporto tra temperamento malinconico e creatività è Aristotele, nella Metafisica. “Tutti gli uomini che furono eccezionali in filosofia, in politica, in poesia o nelle arti erano...manifestamente malinconici” E cita Bellerofonte, Aiace, Empedocle, Socrate e Platone.
Dal canto suo, l’astrologia, che all'epoca è una scienza in piena espansione, tenta di spiegare il temperamento malinconico creativo con l’influsso di Saturno.
Saturno, solitario e vagabondo, ma anche inventore dell’agricoltura e delle tecniche. Genio e malinconia. Nelle previsioni degli astrologi l’influenza di Saturno è apportatrice di bene e di male. Ancora oggi noi diciamo “temperamento saturnino” per indicare una bizzarra dualità: malinconico e fantasioso, creativo e instabile.
Tutto questo indagare cause e rimedi (che poi vedremo) del mal di vivere nell’antichità, testimoniano in modo inoppugnabile la sua ampia diffusione nel mondo greco-romano.
La filosofia dell’angoscia di Epicuro, la malinconia esistenziale di Lucrezio-un angosciato cronico che si toglierà la vita a soli quarantarè anni-basterebbero da sole a provarla.
Seneca poi le darà un nome che percorrerà i secoli: taedium vitae.
Ne "La serenità dello spirito" e nelle "Lettere a Lucilio", il suo giovane amico depresso, Seneca descrive la fatica di vivere come solo un buon testo odierno sulla depressione potrebbe fare.
Fino a Seneca un pregiudizio favorevole sembra circondare il depresso e addirittura Menandro sembra considerarla semplicemente la più ovvia condizione umana: “Sono un uomo, ecco una buona ragione per sentirmi triste”.
È nel III secolo che l’immagine della malinconia comincia ad appannarsi: da condizione esistenziale dolorosa ma sostanzialmente ‘innocente’, con cause naturali, comincia a diventare prova di scarsa forza morale, fiacchezza dello spirito.
Dalla filosofia alla medicina, dalla medicina alla morale, sta per entare in scena la religione.
Tutto è pronto per l’intervento del cristianesimo: per la definitiva demonizzazione della malinconia e la sua assimilazione al peccato.

Io preferisco però chiudere questo post con un verso di Ovidio, luminoso e illuminante: Accogli questo dolore perché ti insegnerà molto.

10 commenti:

  1. Ti va di partecipare ?
    http://tusitala.blog.kataweb.it/2007/10/20/leader/
    Grazie

    RispondiElimina
  2. Cominciamo con il dividere la
    Demoralizzazione dalla Depressione.

    Per quanto ho appreso sino ad ora la Depressione per essere tale deve comprendere il "cattivo funzionamento" di uno dei neurotrasmettitori quali Noradrenalila, Serotonina...

    Ovidio ha perfettamente ragione...la Depressione compare per dirci che non stiamo vivendo come dovremmo e he dovremmo "formattare" il nostro PC...

    RispondiElimina
  3. formattati il tuo di pc, in realtàsolo chi usa quella porcheria di windows pensa che la soluzione di tutti i problemi sia la formattazione !

    RispondiElimina
  4. ooops ...


    in realtà primo di questo avevo provato a mandare un post del tipo:

    Malinconici di tutto il mondo unitevi!

    ma forse non ha mai nemmeno lasciato il mio pc ...

    chissà forse ho davvero bisogno di essere formattato ! ;-)

    RispondiElimina
  5. Non so perché 'sto tema del male di vivere mi stimola 'na cifra. Starei tutto il giorno a scrivere commenti, adesso per esempio mi veniva in mente che l'equivalente psichiatrico della formattazione sarebbe un bello ellettroshock !

    RispondiElimina
  6. Chiarificazione
    Per "formattare il mio PC " intendo
    cambiare il mio modo di vedere e di ragionare...il mio PC è il mio cervello...
    Ho utilizzato formattare al posto di "ruscrivere", modificare la mie credenze, i miei pre-concetti oppure i concetti che ora -nella mia vita - sono diventati osoleti...

    RispondiElimina
  7. come diceva un tale ma che meta fora e metafora, quello tutto dentro era ...

    RispondiElimina
  8. Una mia amica psichiatra, ma di quelle brave, mi diceva sempre che sentirsi "depressi" non è necessariamente una mlattia, è un momento di rielaborazione della tua vita. Questa sua spiegazione (cheo ho molto sintetizzato) mi è servita molto e mi ha aiutato a cpaire che a volte il mal di vivere può essere la porta aperta verso la creatività, cioè la ricerca di nuov strade. Bel post...molto stimolante Giulia

    RispondiElimina
  9. Credo che il verso di Ovidio mi accompagnerà in questo periodo della vita. Grazie, MariaGiovanna

    RispondiElimina
  10. ho semplicemente perso le mie risposte ai vostri commenti. Probabilmente non ho "salvato".
    mi scuso. Vi ringraziavo tutti, resto sempre un po' sorpresa dall'interesse degli altri.
    benvenuta maria giovanna

    ciaomarina

    RispondiElimina

Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo