venerdì 19 ottobre 2007

agli ordini!

Ubbidire non mi piace. Immagino che non piaccia a nessuno. A parte “i dominati” nelle relazioni sessuali anomale. (Spero che fra di voi nessuno si offenda per la qualifica di “anomalo”.)
Il problema è che non mi piace neanche comandare.
A me piacerebbe un mondo in cui ci si metta tranquillamente d’accordo sul reciproco agire, dividendosi i compiti in armoniosa concordia.
Capisco tutta la inattuabilità di questo sistema e, faticosamente, mi adeguo.
Se io fossi una domestica vorrei essere la mia. O alternativamente quella della mia amica emmeti. Lei pulisce la casa prima che la sua dipendente arrivi per non fargliela trovare in disordine. Quanto a me, le mattine in cui deve venire la mia collaboratrice domestica, io balzo dal letto come una tarantolata per farle trovare già svolta tutta una serie di faccende e al suo arrivo mi metto a sua disposizione. Non muovo mai la più piccola osservazione, qualunque cosa lei faccia in casa mia e in qualunque modo lo faccia e la ringrazio con tanta gratitudine che lei è convinta di lavorare gratis. Poiché ascolta a volume altissimo Radio Maria, e in contemporanea sulle tre radio di casa, in qualunque stato io mi trovi, anche febbricitante, le lascio il mio appartamento e vagabondo per il quartiere in attesa di poter rientrare. Qui c’è della patologia, lo so. Ma dare ordini non è nelle mie corde. A meno che non si tratti di me stessa. Allora sono ferma ed efficace. Allora sì che il modo Imperativo diventa il mio modo. Non fatevi ingannare dal fatto che il modo Imperativo non abbia la prima persona.
Nella realtà, almeno nella mia esperienza, la maggior parte degli ordini li diamo a noi stessi.
Io mi tratto spesso come un interlocutore esterno e mi impartisco ordini con un giusto grado di imperiosità. Dopo di che, in linea di massima, mi ubbidisco. O quanto meno ci provo. Tranquilli, se fallisco non mi infliggo punizioni. A parte il vecchio buon senso di colpa. Oltre a non avere prima persona, l’imperativo ha solo il tempo presente. L’unica eccezione è costituita dall’ipocrita futuro “iussivo”. Dietro un futuro iussivo si nasconde infatti molto spesso un imperativo e, sempre, la fregatura. “Se io non arrivo in tempo, glielo dirai tu..” oppure “se io sarò a Milano te ne occuperai tu...” o anche “ vorrà dire che lo farai tu...” Il futuro iussivo è molto usato da persone cortesi ma subdole. Le stesse straordinariamente abili nell’usare tutte le possibili forme impersonali che la nostra lingua pone a loro disposizione, per scaricare sulla tua personalissima “persona” una serie di seccature ed incombenze di cui vuole liberarsi.”Bisognerebbe, ci vorrebbe, sarebbe bene, sai cosa si potrebbe fare...non continuo per non annoiarvi ma ne ho contate fino a diciotto!
L'esistenza del solo presente per il modo Imperativo può significare cose diverse. O che l’obbedienza dev’essere, come diceva il filosofo Gentile “pronta, assoluta e incondizionata”, o che il sogno di poter modificare con una bacchetta magica il nostro passato lo abbiamo sempre riconosciuto così sterile e ingannevole da non meritare neanche una piccola fallacia linguistica. Eppure, che tentazione di dare ordini al passato perché si rimodelli, almeno in piccola parte, per noi!
Forse ricordate la scena finale de Il dottor Zivago. Lui viaggia su un tram e scorge sulla strada Lara, il suo grande amore, perduto nella rivoluzione, che cammina tra la folla. Tenta disperatamente di attirare la sua attenzione, picchiando contro il finestrino mentre lei ignara continua per la sua strada. Se non avete visto il film non potete apprezzare il pathos di quella scena, che termina purtroppo con un dottor Zivago infartuato.
Ma è l’uso che ne fa Moretti (in Palombella Rossa, credo) che voglio citare qui, la scena irresistibile in cui un gruppo di spettatori disperatamente esorta Lara perché si volti e si accorga della presenza sul tram di Jurij. La sala si riempie di affannose, accorate, e via via disperate grida di :Voltati! Voltati! Voltati!
Beh, con il nostro passato talvolta accade la stessa cosa. Ne rivediamo mentalmente delle scene e come quegli spettatori vorremmo intervenire per modificarne lo svolgimento e ci lanciamo avvertimenti appassionati e insieme ultimativi. “Alzati e vattene! o anche: Alza quel telefono! oppure: -Diglielo!- e persino: -Baciala! –o- Bacialo! secondo il sesso del/la protagonista. Ordini al passato, ordini che vorremmo esserci impartiti allora e poter eseguire ora. Ordini. Ordini che si trasformano in suppliche a ritroso. Infatti, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, gli imperativi veri, quelli che contengono veri comandi, sono rari. Il modo Imperativo esprime per lo più preghiera, invito, consiglio, o un cortese permesso o una domanda, o una semplice proibizione. “Sfumature difficili da distinguere in modo rigido perché affidate a elementi extralinguistici che rafforzano o attenuano” il comando (Serianni).
È sicuramente un ordine, e può essere anche parecchio incavolato, il “Passa! Passa!" che il difensore che si trova miracolosamente sotto la porta avversaria rivolge all’attaccante momentaneamente rimbecillito. Ma il “Credimi” con cui il lui o la lei irretisce l’altra/o è solo una supplica, spesso anche truffaldina e il “Lascialo!” che la vostra migliore amica vi rivolge è un consiglio tanto più appassionato quanto meno suscettibile di essere ascoltato. E, anche se detto a malincuore, il “Si accomodi” con cui cediamo il posto in autobus è un invito e basta.
A me piace questa ricchezza dell’Imperativo, lo trovo aperto e possibilista e per i possibilisti ho un debole. Ma quello che mi piace di più dell’Imperativo è la sua sfacciataggine.
Naturalmente non c’è praticamente frase, dalla più piattamente indicativa alla più lussureggiante, il cui scopo non sia quello di intervenire a modificare la realtà. Anche la semplice descrizione di un fatto è volta ad ottenere una risposta emotiva da parte dell’interlocutore: orrore, raccapriccio, commozione, disgusto, ilarità ecc.
Ma tutto questo gli altri modi lo fanno, diciamo così, en cachette. L’Imperativo no. Lui manifesta apertamente, esplicita senza alcun imbarazzo, il suo intento di agire sull’interlocutore. Lo vuole in piedi e gli dice: Alzati! lo vuole attento e gli dice: Ascoltami! lo vuole dòmo e gli dice: Arrenditi!
Infingimenti, niente. Oddio, esiste la possibilità di un Imperativo menzognero, manipolatore e mistificante, ma è roba da alta scuola, per gente di grande freddezza e con la faccia di bronzo, artisti della menzogna ed insieme equilibristi della lingua. Mi stanno sullo stomaco, ma non posso non ammirarli. Un esempio per tutti: un Gassmann, straordinario “mostro”, che si libera di un’amante ormai superflua, con una serie di accorati, quasi piangenti, imperativi: “Rifatti una vita, soffrirò ma è giusto così”, “Dimenticati di me, io non ti merito”, finché la poveretta, sentendosi anche un po’ crudele, non gli dà il sospirato addio.
Ebbene, questo versatile e generoso modo, con questo bel temperamento attivo, io lo uso nei miei confronti con indefettibile costanza. Sono solita parlarmi, come immagino faccia ognuno di voi con se stesso, ed insultarmi, anche, generosamente.
Tutte le sfumature dell’Imperativo le utilizzo senza risparmio, sollecitandomi, proibendomi, consigliandomi, pregandomi anche e, finalmente, impartendomi precisi, categorici, ineludibili ordini.
Uno dei più frequenti va bene per tutte le stagioni e ne uso senza risparmio e, lo ammetto, senza cortesia. Suona semplicemente così: Marina, falla finita!
Quando scatta questo Imperativo, sulla terra si potrebbe invertire la forza di gravità ma l’ordine verrebbe comunque portato a compimento. Di qualunque cosa si tratti, la faccio finita. Punto.
Beh, che vi avevo detto?

5 commenti:

  1. che bello, sei tornato!

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  2. Bellissima e acuta analisi dell'uso dell'imperativo con citazioni cinematografiche. Un ritorno in grande forma ai tuoi post vecchia maniera. Brava!

    Anche a me non piace comandare. La signora che pulisce in casa mia (che io nemmeno incrocio) e' chiamata da mio marito "la terribile Maria". In realta' e' dolcissima. Di "terribile" ha solo che mette a posto (a modo suo) le cose che i terribili (loro si') miei coabitanti lasciano in giro!

    "Falla finita" non mi capita mai di dirmelo. Sono piu' per le recriminazioni tipo: "Ma che stupida sono stata!"
    Un abbraccio,

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  3. Marina,
    di ordini a me stessa anche io ne do tanti, soprattutto il "falla finita, Anna!".Non immediatamente, ma obbedisco sempre.Il recriminare, invece, non mi appartiene: quello che è stato è stato! Per quanto riguarda l'impartire ordini agli altri, te ne dico una su tutte:il mio collaboratore domestico, che sta con me da anni, è veramente il mio aguzzino. Hai presente le mamme dei nostri tempi? Quelle che urlavano per il disordine e che,novelle erinni, tiravano giù tutto da cassetti e armadi e dicevano, con tono inequivocabile, "ora metti tutto a posto in perfetto ordine"? Ecco,il mio Massimo è così :) Ma io lo adoro lo stesso, che posso farci?

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  4. tre emme: Massimo, Maria e Marcella: temibile trio!
    ciao ragazze

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  5. Grandiosaaaa!
    Amo questi ragionamenti!

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