venerdì 14 settembre 2007

uomini Bolliger

Io amo gli uomini Bolliger.
Tutti ed ognuno. Nei numerosi traslochi della mia vita mi sono sempre servita della Ditta Bolliger, a favore della quale voglio qui rendere la mia più convinta testimonianza. La professionalità è fuori discussione, la rapidità inimmaginabile.
È grazie a questa rapidità che, nel far velocemente sparire nelle casse le suppellettili della mia cucina, ingurgitarono anche la borsa di mia madre, venuta ad assistere al trasloco. Presa, inscatolata, cellophonata, nunerata e avviata al camion in un battibaleno.
La salvammo per miracolo. Ma la qualità che più amo degli uomini Bolliger, è il senso dell’umorismo. L’ho ritrovato identico ad ogni trasloco, anche se gli operai erano diversi. Sono certa che fa parte della formazione Bolliger. Non ricordo più in occasione di quale trasloco, un uomo Bolliger, osservando le decine e decine di scatole di libri che attendevano di essere portati in strada dal quarto piano della mia palazzina sfornita di ascensore, mi guardò scuotendo la testa e commentò: a signò, ma non poteva andà un po’ de più al cinema!
Molti tremano all’idea di muscolosi e frettolosi operai, metà facchini, metà imballatori, che ti girano per casa. Non io. Mai la mia casa era ordinata come quando se ne occupavano loro. E poi si diventava amici e si discuteva amabilmente di politica mentre la mia casa veniva imballata per essere portata altrove. La forma mentis di un uomo Bolliger è interessante: gli oggetti non sono visti per la loro funzione, ma per la loro forma e peso e consistenza e fragilità. È una visione quasi estetica, di un’estetica che richiede del tempo per essere afferrata, ma che una volta catturata convince e anzi conquista. Riaprire una cassa preparata da un uomo Bolliger è un’avventura fantastica. Ne esce una visione altra della tua stessa vita, accoppiamenti di oggetti così insospettabili e così rivoluzionari che danno ad ogni singola cosa un nuovo significato, una nuova bellezza e addirittura suggeriscono usi nuovi.
Il fatto è che anche la visione degli spazi di un uomo Bolliger è assolutamente peculiare: guarda una grande cassa vuota e non la vede come il volume di un parallelepipedo, ma come un insieme di piccoli anfratti di forma e dimensione diversissima, che si incastrano l’uno nell’altro, in verticale ed in orizzontale e persino in diagonale. Lo spazio rinasce diverso sotto uno sguardo Bolliger, come se fosse il primo mattino del mondo.
Ad un uomo Bolliger potrei affidare l’archiviazione della mia vita: so che niente si perderebbe, che tutto verrebbe conservato e che si scoprirebbe significato e senso anche in fatti, persone, avvenimenti, che sembravano non averne alcuno.
Io ho scoperto le doti straordinarie di questi uomini in occasione del mio primo trasloco importante, quando partimmo per Teheràn. E nel vederli imballare già pregustavo la gioia del riaprire le casse nella mia nuova casa iraniana, di veder riemergere gli oggetti assieme ai pensieri, ai ricordi e ai sentimenti che gli uomini Bolliger non mancano mai di imballare.
Ma non fu così. Già da due settimane vivevo nella grande casa di Farmanieh, con poche cose di prima necessità portate nel volo con me, e attendevo con sempre più impazienza che dal Golfo Persico, dove erano stati sbarcati, i miei averi risalissero l’intero Iran, per raggiungermi a Teheràn. Finalmente, dopo una serie di annunci e smentite, giunse il gran giorno: mi sarebbero stati riconsegnati i miei averi, le decine e decine di grandi e medie e piccole casse che i miei meravigliosi uomini Bolliger avevano imballato per me mentre commentavamo la morte del “compagno Mao.”
Il grande camion che le conteneva percorse il viale del giardino e si arrestò di fronte alle vetrate della villa, lo sportellone posteriore venne abbassato e tutto precipitò fuori, a terra. Le casse, tutte le casse, erano state sventrate a sciabolate dalla polizia dello Sha e riavvolte con giri di scoth marrone alla meno peggio. Ne fuoriuscivano maniche di vestiti, brandelli di biancheria, e direttamente dal fondo del camion, alla rinfusa, libri, padelle, giochi di mia figlia, tele di quadri, scarpe...
Gli uomini ridevano, e mi parve un riso maligno. Con in mano la mia copia dell’elenco delle casse e del loro contenuto affidatami dal capo Bolliger con la raccomandazione, “questa nun te la perde se no te ce vò 'na vita pe' ritrovà tutto” ormai del tutto inutile, ringraziai, detti la mancia impazientemente attesa e mi sedetti a terra accanto al caos primigenio. Avrei voluto un uomo Bolliger accanto a me.
La vasta zona pavimentata con cui terminava il giardino era completamente coperta di casse sventrate e suppellettili sparse, gli oggetti più assurdi rigurgitavano dagli scatoloni infranti e cucchiaini, sciarpe, cuscini e passapomodori giacevano fino sull’erba del prato. Intorno svolazzavano pezzi di plastica nera, con cui avevano tentato di rinfagottare alla meglio, e fogli di carta, copertine di dischi e strisce lacerate di vestiti e tovaglie. Buck impazzito eseguiva una personale sarabanda in onore dell’odore di casa che certamente affiorava alle sue narici potenti e indecisa fra il riso e il pianto io presi per la prima volta coscienza di che cosa significhi regime di polizia. I miei bagagli erano stati frugati alla ricerca di qualunque cosa potesse rappresentare una minaccia per lo Shah: un libro e magari delle armi, documenti di propaganda o pacchi di dollari...E tutto era degno di sospetto. Alla fine mancavano soprattutto libri, riviste e dischi. Persino un testo di economia del povero Andreatta, sequestrarono.
Me ne restò una sensazione inquietante che nel corso degli anni successivi si precisò e rafforzò.
Questa la considero la mia seconda campagna di Teheràn: il recupero e il riordino di tutto quello che doveva insieme servirmi nella mia nuova vita in quel paese ma anche rappresentare una continuità con la mia vita restata a Roma.
La prima campagna di Teheràn, più ardua ancora, la racconterò un’altra volta.

7 commenti:

  1. Non oso pensare a COME sia ora la vita laggiù se gli stessi Iraniani sostengono che gli anni '70 furono "anni dorati" e ne parlano, sempre ora, come di "anni mitici" ed insistono nel dire che "le cose sono cambiate parecchio"....

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  2. Ma si può dire "cazzarola" su questo blog ? ;-)

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  3. Scherzi? Questo è il tipico "cazzarola blog"!

    ciaomarina

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  4. @ paola: siamo in due a non osare.
    A dire il vero io oso molto: leggo praticamente tutto quello che si trova sull'iran.
    Io penso che alle infinite colpe del regime degli ayatollah bisogna aggiungere quella di aver trasformato gli anni settanta della feroce dittatura palhavi in anni mitici.
    Il peggio non è mai morto?
    dalla padella nella brace?
    come definire questo destino tragico?
    ciaomarina

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  5. Davvero incredibile quello che racconti. Mi piacerebbe saperne di più, che ci dicessi come ti trovi, ma sper che tu lo vorrai fare. Un abbraccio Giulia

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  6. ciao giulia, c'è un equivoco: la teheràn che racconto l'ho lasciata trent'anni fa'.
    questi sono solo i miei ricordi. Conditi con tanto affetto, perché quel paese lo amo ancora molto.
    negli stessi anni anche paola di Tusitala viveva a teheràn, è così che ci siamo trovate in rete. Ancora non ci racconta niente della sua teheràn, ma io spero che lo faccia

    ciaomarina

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  7. Cara marina, mi è venuto infatti il dubbio dopo e sono andata a leggermi le altre pagine sull'Iran. Ciao Giulia

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