venerdì 3 agosto 2007

scuola/amore e sesso

Le storie d’amore tra professori nella scuola erano rare. Ci si incontrava fuggevolmente, sulla porta dell’aula o nei consigli di classe o in sala professori, un attimo prima di andare in aula. Ma più che altro, credo, l’elemento umano era poco appetibile, soprattutto gli uomini. Uomini frustrati e altezzosi-altezzosi perché frustrati- donne stanche e in genere troppo sballottolate dal viaggio per aver voglia di civettare. Qualche storia naturalmente ho visto nascere negli anni, ma in genere tristi come i locali delle nostre scuole. Ne ricordo solo una, bella corposa. Un preside molto affascinante e galante e la mia collega di matematica, una napoletana esuberante e vitalissima. Lui sposatissimo, lei pure, e troppo focosi per considerare la Presidenza un locale off limits. Non si ponevano il problema di nascondere la loro relazione e così su un tema mi trovai scritto da un’alunna che “il preside è bello come Marlon Brando ma se l’è preso quella di matematica e se lo scoccola in presidenza.” (non ci sono miei errori di stampa). La vita privata dei professori ha un fascino speciale per gli alunni. Questi da un lato rifiutano l’idea che i professori ne abbiano una. Escludono che i loro insegnanti siano altro da quelle figure noiose fornite di registro e penna. Respingono l’idea stessa che possano essere persone in tutto e per tutto simili ai loro genitori, amici, parenti. Dall’altro, la vita privata dei professori vorrebbero conoscerla fin nei minimi particolari. Spiano, indagano, spettegolano, inventano, fantasticano. Nei miei confronti avevano una specie di mania di possesso. Io ero cosa loro. Chi erano questo marito e poi questa figlia che ottenevano la mia attenzione? Perché quest’ altra parte della mia vita gli era sottratta? È faticoso rispondere alle aspettative e ai bisogni di ragazzine e ragazzini tra i 12 ed i 15 anni. Ti chiedono di rappresentare sulla scena della loro vita una infinità di ruoli. Porsi poi come un essere umano, imperfetto e aperto, di fronte agli alunni, apre sì un canale di comunicazione che dà frutti al loro apprendimento e alla loro crescita ma logora chi ci si cimenta. Io credevo al valore dell’esempio; ancora oggi, pur con tutte le delusioni di una vita, io credo al valore della testimonianza e dell’esempio. Il mio illuminatissimo psichiatra mi ha definita “ a vocazione pedagogica”. Ma testimoniare ed essere di esempio comporta una grande fatica e assilla di dubbi. Parlare fuggevolmente della mia vita, inserendo piano piano le mie figure di riferimento nell’immaginario dei miei alunni, era il sistema cui ricorrevo per tranquillizzare il loro bisogno affettivo nei miei confronti e nello stesso tempo smitizzare una immagine di me che non volevo divenisse troppo grande o troppo positiva. L’equilibrio fra avere la loro fiducia e la loro stima senza trasformarmi in un essere infallibile, ha sempre richiesto un impegno attivo. Volevo che imparassero che ci si può fidare e che si può imparare dagli altri ma che non esistono guide per sempre ed in ogni caso, che tutti sbagliamo e tutti siamo imperfetti. Sottolineavo le mie incapacità, i miei errori, i miei dubbi. Sollecitavo consigli e suggerimenti. Prendevano fiducia nella loro capacità di giudizio, crescevano nella loro propria stima. Talvolta assumevano anche un atteggiamento protettivo nei miei confronti. Soprattutto le ragazzine. Scambiavamo sentimenti materni. Sapere che potevo avere difficoltà li faceva sentire più responsabili e più grandi. Ma ero sempre in guardia, per non alterare l’equilibrio di un rapporto in cui io ero l’adulta e loro i ragazzi. Il mio Preside, l’unico vero di cui vi ho già parlato, a questi miei dubbi, rispose di non preoccuparmi perché aveva potuto osservare che “stabilivo confini appropriati”. Veniva in classe ogni tanto, senza nessuna intenzione ispettiva, veniva perché stare in classe gli piaceva e perché era davvero interessato a vedere come lavoravano i suoi professori. Si sedeva accanto alla finestra, ascoltava con interesse, faceva domande, rideva. Sembrava un alunno tra gli altri. Non ho mai provato imbarazzo nel fare lezione alla sua presenza, ma sempre la sensazione che una guida silenziosa mi assistesse. Un senso di tranquillità che mi veniva dalla presenza di una persona più intelligente, più esperta, più preparata di me. Di intelligenze ne ho incontrate tante nella scuola. Alcune erano riluttanti ad esprimersi. La scuola le deprimeva. Ho sempre pensato che una società che mortifica i suoi insegnanti abbia un incerto destino. Ed è cieca verso il proprio futuro. Il presente mi dà purtroppo ragione. Sugli insegnanti io penso molto semplicemente quanto segue. L’abilità e la competenza necessarie per insegnare sono inversamente proporzionali all’età degli alunni e quindi al corso di studio in cui si insegna. I maestri fanno il lavoro più delicato, difficile e importante; seguono i professori delle medie, vengono poi gli insegnanti di liceo e infine i professori universitari la cui attività didattica non solo è la più facile ma in più spesso non è esercitata. A mio avviso gli insegnanti vanno pagati con una progressione inversa a quella attuale. Sono i maestri della scuola elementare a dover essere pagati più degli altri e a loro la società dovrebbe la maggiore considerazione. E la maggiore gratitudine. Sto esulando. Del rapporto tra la società italiana e la scuola parlerò un’altra volta. La stampa offre continuamente motivi per farlo. Ma oggi volevo parlare degli amori a scuola. Ci torno. Ma a quelli degli alunni. Dodici, tredici, quattordici anni. Qualche volta quindici. Gli amori semi-adolescenziali sbocciavano. Le ragazze tentavano di indurre un atteggiamento attivo nei ragazzi. Quei beati ingenui spesso non si accorgevano di niente. Ma altre volte ragazzi muti di desiderio seguivano con i loro sguardi ansiosi piccole civette. Nascevano ostilità tra le ragazzine, gelosie, qualche pianto. E i maschi sempre a bocca aperta, senza niente capire. Mi facevano una tenerezza queste prede inconsapevoli! E le ragazzine, con le loro innocenti manovre. Ogni anno si apriva un piccolo contenzioso tra l’insegnante di scienze e me. Io chiedevo che affrontasse il tema “sessualità”. Nelle mie intenzioni sulla base di una piana descrizione dell’anatomia e fisiologia umana fatta dal/lla collega io avrei potuto appoggiare un discorso sui sentimenti che si accompagnano alla sessualità. -È dalla biologia che si deve partire per raggiungere un risultato psicologico-insistevo, citando la letteratura, ormai accreditata, in proposito. In genere il/la collega, ansioso di mostrarsi aperto e modernista, si dichiarava entusiasta. Ma alla specie umana non si arrivava mai! Tutti i sistemi riproduttivi di ogni specie vivente, a partire dai ve-ge-ta-li, venivano minuziosamente illustrati ai miei alunni prima di informarli ufficialmente che possedevano un apparato riproduttivo costituito da bla, bla... I presidi erano sempre allarmati dalla prospettiva di fare educazione sessuale a scuola. La parola d’ordine era “nell’ambito delle scienze”. Quell’espressione “nell’ambito” mi mandava fuori dai gangheri. Significava che si sarebbe parlato di spermatogernesi e fecondazione ma mai dei corpi, maschile e femminile, in cui questi fenomeni astratti accadevano. “Perché volete che rubino la verità, invece di dargliela voi? Bella, chiara, pulita? protestavo. -Perché lasciare che l’idea di sesso sia circondata da questo senso di sporcizia e di colpa, di oscenità?”.
Inventai varie strategie. All’inizio dell’anno dotavo la classe di un po’ di materiale di prima necessità: alcol, ovatta, cerotti, la solita carta igienica e assorbenti. Risatine, ma anche qualche sorpresa, idee confuse e molta ignoranza. Ne approfittavo per spiegare il fenomeno delle mestruazioni. Li invitavo a fare ulteriori domande all’insegnante di scienze. In genere si schermiva. Non era il momento appropriato all’interno del suo programma. Non era mai il momento appropriato. A Torre Spaccata una ragazzina di un’altra sezione restò incinta. E lo sprovveduto aspirante alla paternità era un mio alunno di terza. In due non avevano trent’anni. Lui aveva una famiglia molto religiosa, decisa a chiedere la dispensa perché i due potessero sposarsi. La famiglia di lei non era dello stesso parere. La ragazzina smise da subito di venire a scuola. Lui continuò a venire ma piangeva tutto il tempo. Il Preside, insieme al prete della scuola, parlò con i quattro genitori che accusarono la scuola di non aver fatto il suo lavoro. Programmi alla mano, il Preside si giustificò. Ne nacque una discussione violenta al termine della quale le due madri, esasperate, vennero alle mani. La storia scombussolò tutta la scuola. Dopo un po’ di tempo si seppe che la ragazzina aveva perso il bambino. Le voci dicevano che avesse invece abortito. Le due famiglie erano in guerra e la borgata divisa in due su questa storia. Il ragazzino divenne sempre più chiuso. Infine verso la fine dell’anno, su un tema in cui i ragazzi dovevano parlare dei loro progetti al termine della scuola, scrisse che voleva farsi prete. Mi allarmai. Tentai di parlare con lui. Ripeteva solo che aveva capito che voleva farsi prete. Chiamai i genitori. Furono molto aggressivi. Il ragazzo, dissero, aveva capito di aver dato un grande dolore alla famiglia e a dio e di essersi macchiato di una colpa terribile. Voleva dedicare la sua vita ad espiare. Tentai con molta circospezione di insinuare qualche dubbio nella loro granitica certezza, ma tagliarono corto. La cosa non doveva riguardarmi. Era vero, ma invece ci riguardava tutti. Lui era atono, rassegnato, assente. Alla fine fu l’insegnante di religione a risolvere la faccenda. Affrontò la famiglia del ragazzo a brutto muso. E fu salvo. La storia, molto triste per entrambi i protagonisti, portò qualche cosa di buono. L’anno seguente diverse famiglie chiesero che in classe si facesse educazione sessuale. Veniva fatta in parallelo dall’insegnante di scienze, da quello di religione e da me. Fu spossante. Il concetto di peccato veniva fatto a brandelli da me e ricucito prontamente dal prete. Io tentavo di spazzare via quello di colpa, lui lo appesantiva ogni volta. La poveretta di scienze, veniva chiamata dagli alunni ad arbitrare la difficile partita. Insomma questo sesso era una pratica naturale da esercitare con consapevolezza ma senza senso di colpa o la tentazione del demonio che voleva impadronirsi delle loro giovani anime? E una gravidanza indesiderata era frutto di disinformazione e leggerezza o la punizione divina per i peccatori? Penso che ogni ragazzina e ragazzino scelse poi a suo giudizio la sua verità, ma quello che risultò chiaro per tutti fu che l’educazione sessuale era una educazione alla affettività e ai sentimenti e che l’anatomia e la fisiologia potevano solo servire di base. Questo concetto, così semplice, non è ancora diventato senso comune anche se ormai l’educazione sessuale viene impartita regolarmente. Per convincersene basta leggere le orribili storie variamente attinenti al sesso che ci arrivano dalle nostre scuole. E più in generale dai nostri giovani.

9 commenti:

  1. "Perché lasciare che l’idea di sesso sia circondata da questo senso di sporcizia e di colpa, di oscenità?”.

    guarda, un po' di sporcizia ci sta bene. Colpa e oscenità poi rendono la cosa davvero sugosa :-)
    Fidati dei preti, che se ne intendono.

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  2. Immagino l'educazione sessuale fatta da un prete. Fosse stato Padre Fedele, ancora ancora... Bellissimi ricordi. Grazie.

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  3. ...quanti tuoi post mi perderò in queste tre settimane di lontananza da tutto e da tutti. Niente internet, niente lavoro, musica, traffico, metropoli...niente!!!
    Partoooo!!!
    Ciao Marina, tornerò a trovarti a fine mese, cerca di non scrivere troppo...perchè poi dovrò recuperare ;-) E intanto, se hai tempo...passa dal mio blog...e ascolta un po' della mia musica...
    A presto e buon agosto...
    Donnigio

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  4. ciao donnigio, vai e fatti una bella vacanza silenziosa e spedita come una stella filante.

    passerò sicuramente a sentire la tua musica

    buon agosto anche a te

    marina

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  5. Quanta ignoranza intorno.
    Ma soprattutto quanta NON voglia di imparare, quanta "chiusura" mentale e fisica nelle persone...
    che peccato, perchè la vita e soprattutto il sesso sono così piacevoli.

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  6. Ieri sera con una mia amica ed un mio amico commentavamo questo tuo post.
    Il mio amico ricordava poco del suo primo amore, così almeno ci ha detto...
    La mia amica...lo ha sposato. Ancora non si perdona di essere proprio stata lei a chiederglielo.
    Io ho così tanto amato il mio primo amore carnale da piangere molto quando ci lasciammo...ma da dirgli, oggi, in piena coscienza: Grazie per esserti comportato come ti sei comportato. Di carne e d'anima. Stupendo.
    Posso solo augurare ad Erica di incontrare un ragazzo che si comporti come Alex (il mio amorrre)

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  7. Immagino te ed il prete insieme a parlare di sesso e amore e sorrido....ma so bene, sulla mia stessa pelle,quanto un'educazione ottusamente cattolica possa influire negativamente sulla vita "in costruzione " di un adolescente. Il senso di colpa incombe e dilania. Io me ne sono liberata, ma i miei erano gli anni della contestazione e del famoso "amore libero" professato e urlato,anche se scarsamente praticato :)

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  8. ciao Anna, hai ragione l'amore libero era molto urlato, ma moooooolto più teorico che reale

    benvenuta sul mio blog; ho cercato il tuo ma riesco a vedere solo il tuo "profilo". Hai una bellissima faccia!
    adesso vedo come raggiungere la tua home page

    ciaomarina
    scusa il ritardo, sono appena rientrata alla base
    e mi divido tra il computer e la lavatrice...

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  9. A mio figlio l'anno scorso (terza media) la professoressa di scienze ha fatto educazione sessuale. Poi li hanno portati al consultorio. Lui non mi ha voluto raccontare niente. Comunque sull'opuscoletto che gli hanno dato c'era tutto e spiegato chiaramente. Speriamo bene!
    Molto interessante anche quello che scrivi sull'abilita' e la competenza degli insegnanti.
    Sto preparando un post sulla scuola ma praticamente tu qui hai gia' risposto ai miei dubbi.
    Quando finiro' di leggere il tuo blog, vorrei chiedere il tuo parere su alcune cose.

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