domenica 26 agosto 2007

ricordo di Grace Paley

Martedì scorso ho inserito nella mia lista di libri da acquistare, l’autobiografia di Grace Paley, “L’importanza di non capire tutto”, in uscita presso Einaudi, come avevo letto in una bella intervista alla scrittrice, pubblicata su la Repubblica.
Il giorno dopo, mercoledì 22 agosto, Grace Paley, ottantadue anni di impegno su tutti i fronti della vita, è morta.
Di Grace Paley ho letto tutti i racconti e non ce n'è uno che mi abbia delusa. I suoi libri ci raccontano sempre gli stessi personaggi, seguiti attraverso il tempo e le vicende della loro vita. Chi ha letto i primi, si è imbattuto in storie minime, di donne, bambini, uomini che popolano una piccola comunità, il quartiere del Bronx in cui nacque e visse quasi tutta la sua vita, e che torneranno nelle successive raccolte.
Non il Bronx paradigma della violenza, ma quello della sua giovinezza, abitato da ebrei della classse media.
Le sue storie sono fatte di dialoghi, sono poco esplicative, sono fatte di sfumature del linguaggio, e spesso di battute fulminanti. Eppure una sola di quelle storie, in cui sembra non accadere niente, squarcia il buio di un’ intera esistenza, ne svela il senso, e ce la rende indimenticabile. Perché i suoi personaggi sono proprio come noi, hanno vite come le nostre, incontrano le nostre stesse difficoltà a portarle avanti e si battono come noi per conservare dignità e speranza.
Da Grace Paley non c’è da aspettarsi nessuna avventura, tranne quella della vita quotidiana, che può essere farsa, dramma o tragedia, ma è, sempre, il vivere comune.
Con le sue little disturbances, i suoi piccoli contrattempi.
Il suo riprendere a distanza di anni le stesse figure che ci ha fatto conoscere nella sua prima raccolta e ripresentarcele in un momento diverso della loro vita è straordinario. Perché tutto questo non accade attraverso i lunghi tempi di un romanzone saga, ma in piccoli brevi racconti concisi. Le stesse donne che abbiamo incontrato al parco, piegate a tirare su i calzettoni dei loro bambini o che chiacchierano mentre li tengono d’occhio, le rincontriamo nel libro successivo. Non tutte, qualcuna è morta o si è trasferita, ma le altre, sedute sulle panchine del parco parlano delle loro preoccupazioni per i figli ormai adolescenti, delle loro speranze per i nipoti sopraggiunti, della fatica di star dietro ai vecchi genitori. Descritti così forse i suoi racconti non fanno venir voglia di precipitarsi dal libraio e me ne dispiace, perché la qualità di quei racconti è assoluta. Grace Paley è una grande narratrice e i suoi personaggi indimenticabili. Quello che c’è di speciale è che in questi racconti in cui spesso mancano i fatti, e la trama è quasi inesistente, si sente fortissimo quel fatto che è la vita. In un certo senso Grace Paley non aveva bisogno dei fatti e poi sosteneva che la trama in un racconto uccide la speranza e lei non voleva toglierne ai suoi personaggi. Dietro la scorrevolezza apparente della scritura, dietro il suo linguaggio chiaro, semplice, concreto i suoi racconti nascondono un grande lavoro letterario. Tanto che la sua produzione è relativamente limitata. Vero è che Grace aveva molte altre cose di cui occuparsi, e attivamente, nella sua vita. Femminista e pacifista, entrambe le militanze molto attive e niente affatto pacifiche, la Paley ai tempi della guerra del Vietnam girò il mondo in missioni di pace e di protesta e in campagne di stampa. Portò il suo sostegno ai disertori e le sue proteste per la politica del suo paese in giro per tutti gli USA. Fece anche sei mesi di prigione per aver steso assieme ad altre dieci donne una bandiera contro il nucleare, sul prato della Casa Bianca. Era indomabile, una donna riccetta e piccina sempre sorridentemente incazzata.
Quando i grandi critici presero a rimproverarle la scelta di non dar vita ad un vero, importante romanzo, Grace Paley rispose di preferire il racconto perché “l’arte è troppo lunga e la vita è troppo breve.” Aveva due figlie, un marito molto amato, un padre di cui si prese cura fino alla fine. Una donna come molte altre. Solo che scriveva. -Scrivo quando ne ho voglia- diceva. -Scrivo nella metropolitana.-
Ma su quello che scriveva tornava e ritornava. Inseguiva un’idea precisa di ritmo e di tono, quel ritmo e quel tono che rendono un suo racconto semplicemente inconfondibile.
Nella sua visione della vita non c’è sentimentalismo alcuno, ma neanche cinismo.
C’è fede nella vita e nel cambiamento. Un suo straordinario personaggio, impossibile da non amare, è Faith Darwin: è convinzione comune che sia il suo alter ego. Io amo sia Grace che Faith.

Grace Paley “Piccoli contrattempi del vivere-Tutti i racconti”.
Einaudi 2002

Nessun commento:

Posta un commento

Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo