lunedì 27 agosto 2007

concertar cantando

Acceso il computer, stamattina ho trovato la convocazione per le prove del mio coro.
Abbiamo già un appuntamento per una esibizione. Un po’ sui generis perché si tratta del matrimonio di una di noi, una giovane e bella soprano.
Cantiamo regolarmente a tutte le cerimonie dei componenti del coro. Funerali compresi, naturalmente. Sicché posso già immaginare il mio coro, al quale auguro come a me medesima, una lunga, lunga vita, che canta al mio. Per quel tempo forse il Comune avrà messo a disposizione qualche bel locale per i funerali laici. Speriamo si preoccupi anche dell’acustica!
Comunque la mail della segretaria del mio coro mi dà lo spunto per queste poche note sulla vita del corista. Naturalmente si parla di un coro amatoriale, niente Santa Cecilia, niente Opera, niente RAI.
Ma fedele alle mie convinzioni di fondo, secondo me la cultura, come la politica, la fanno le piccole realtà di impegno sparpagliate negli angoli del nostro paese.
Va beh, la faccio troppo lunga.



Inverno.
Le chiese sono fredde. Terribilmente fredde.
La prima preoccupazione è coprirsi. Molti strati che ci infagottano, eppure non riescono del tutto a proteggerci. Le chiese sono umide e l’umidità sale dai marmi del pavimento, si trasmette ai piedi e risale lungo il corpo.
La tenuta ufficiale prevede un tuffo nel nero: gonna lunga, giacca, scarpe. Molto mortificante, secondo me, tanto che ogni tanto mi vien voglia di passare ad un coro gospel. Sogno di avvolgermi in enormi mantelli rossi e viola e di dondolarmi al ritmo del canto. Ma un coro così non l’ho ancora trovato. E poi non lascerei mai il mio Maestro. Così mi imbottisco e affronto le basse temperature.
I collant non sono mai meno di due, talvolta la gonna nasconde dei leggers, sotto la giacca un body più un maglioncino, e sopra, spesso, un cappotto. C’è addirittura chi mette una mantella. Le sciarpe si sprecano.
Gli uomini, les pauvres, sono più sfortunati, possono imbottirsi meno. Non credo che indossino mutandoni in lana sotto i calzoni o maglioncini sotto la camicia. Ma molti tengono un cappotto nero sopra la giacca. Ma loro sono il sesso forte.
Spesso arriviamo al Concerto di Natale, chi più chi meno raffreddato. C’è il rischio di uno starnuto, di un colpo di tosse. Suspence. Nel caso, sguardo di fuoco da parte del Maestro.


Colpita da un accesso di tosse mi è capitato di dover impercettibilmente arretrare fino a nascondermi sul fondo dell’abside e lì semisoffocarmi per attutire il suono dei colpi di tosse. Molti di noi portano acqua con sé. Io ho una fiaschetta di quelle piatte da whisky nella tasca del cappoto o della giacca. Negli assolo dell’orchestra, quando il pubblico si disinteressa di noi, nascondendosi un po’ si riesce a bere una sorsatina che rinfresca la gola. Si succhiano anche caramelle. Amare, perché gli zuccheri fanno male alla voce. Malgrado tutte le precauzioni, il giorno dopo il concerto, qualcuno è a letto con la febbre, o con un grosso raffreddore o con un bel mal di gola.
Il fatto è che un concerto non dura mai meno di un’ora e mezza e prima c’è la prova sul posto, per accordarci con l’organo della chiesa e prima ancora, nei locali interni, una mezz’oretta di vocalizzi. E anche i locali interni non sono quasi mai riscaldati.
E durante il concerto si sta fermi, in piedi, per circa due ore, comprensive di eventuale bis.
Insomma i concerti di inverno sono caratterizzati da freddo e malanni di stagione.
Ma godono del clima del Natale. Pubblico più indulgente e sempre molto contento di riconoscere i grandi classici della tradizione natalizia. Pubblico un po’ ingenuo in genere.

Primavera
È al concerto di primavera che presentiamo il frutto del lavoro svolto nel corso dell’anno. Dal mese di settembre quattro ore e anche più di prove ogni settimana e poi lo studio a casa e l’ascolto, durante le varie attività casalinghe, pressoché esclusivamente, dell’opera che stiamo studiando. Per rendermela familiare io l’ascolto sul mio lettore di CD nei miei percorsi in autobus o, clandestinamente, mentre guido. E spesso la canto anche con qualche sguardo perplesso da parte dei miei vicini ai semafori. Studio molto, aiutandomi con la mia tastiera per essere certa di memorizzare l’altezza giusta dei miei attacchi. Cerco anche di imparare le entrate della mia sezione, i soprani. Succede che sono sicura del fatto mio, e poi alle prove, quando si tratta di cantare insieme alle altre sezioni, improvvisamente mi perdo. Le voce delle altre sezioni possono funzionare da sostegno ma anche disorientare.
Un’opera corale presuppone una tessitura, le voci delle quattro tonalità (ma possono essere anche otto e allora sono dolori!) debbono intrecciarsi con esattezza. Ogni voce deve seguire il suo filo colorato, riempiendo la trama musicale con l’ ordito esatto, per altezza, melodia, tempo e spesso dinamica (il forte o piano per intenderci) che l’autore ha indicato. E che il Maestro pretende.
Le fughe sono in genere la parte più difficile da preparare. Ci vuole un’aderenza costante al proprio tema, per seguirlo senza farsi dis—trarre dalle altre voci che riprendono, a piccoli intervalli, il nostro, ma con piccole variazioni, oppure rispondono con un ritmo diverso o ancora cantano degli abbellimenti di diversissima melodia mentre noi tentiamo di mantenere ferma la nostra. Quando infine la fuga è “montata”, cioè riusciamo a cantarla a quattro voci dall’inizio alla fine senza accavallarci, o superarci, o contagiarci con le melodie, si tira un sospiro di sollievo: il più è fatto. La prova del fuoco è quando il Maestro dice: -Pronti? ci rivediamo alla fine-. Significa che per nessuna ragione si interromperà e che, errori o non errori, si deve comunque andare avanti, cantare tutta la fuga fino all’ultima nota, anche nella più totale cacofonia. Very thrilling!

Estate.
A meno di avere una tournée già prestabilita, i Concerti estivi capitano spesso all’ultimo minuto. Succede che un altro coro, troppo piccolo o improvvisamente sotto organico, chieda un rinforzo, che una defezione ci veda sostituti, o che un Comune, indeciso fino all’ultimo, decida di inserire nel programma della sua estate culturale un concerto per coro. Per le ragioni più differenti: perché il balletto previsto ha dato forfait, perché dopo aver stampato il programma si scopre che la compagnia già contattata chiede troppo o invece perché improvvisamente la Giunta di un paese si accorge di potersi permettere anche un altro spettacolo.
D’estate, l’organico varia. Tutti prendiamo, chi prima, chi dopo, le nostre vacanze e così non si sa mai esattamente quanti saremo. Può capitare di ritrovarci con pochi soprani, o con niente contralti o un solo basso e appena due tenori. Insomma è un po’ un terno a lotto. L’impasto di voci ne risente, ma il maestro riesce sempre ad aggiustare le cose o almeno a farci credere che si sono aggiustate per darci quel po’ di fiducia o di incoscienza che serve per cantare anche in quelle condizioni.
L’estate è anche la stagione in cui si canta di tutto. I Comuni che ci ospitano ci possono chiedere “la qualunque” e a noi non resta che sperare che “la qualunque” faccia parte del nostro repertorio. Le prove sono poche e ci lasciano sempre scontenti. Ma un coro deve saper vivere pericolosamente.
Anche il caldo è nemico del corista. Si suda e poi si cerca una correntina e la voce si abbassa o se ne va addirittura, oppure nella nostra tenuta (che benché estiva prevede comunque tutto quel nero e soprattutto niente braccia nude!) ci sciogliamo di caldo, immobili sui sagrati o sui palchi senza poterci né sventolare né detergere.
La segretaria del nostro coro è una simpatica signora canadese di religione protestante, calvinista. La sua idea di compostezza, massimo ideale per il corista di musica sacra, è molto retrò e molto convenzionale. I pantaloni sono banditi in nome di un preconcetto a loro sfavorevole che li identifica come “sfacciati”. Ogni anno tentiamo una ribellione, ma la signora, canadese di nascita, è però tedesca di origine, imperativa e autoritaria. Io sono stanca di tornare nel 2007 a battermi per indossare dei pantaloni e in genere indosso la scomodissima, per me, gonna lunga. Solo ogni tanto, così, per farle capire che sono collaborativa ma non dòma, mi metto il mio bel tailleur pantaloni senza neanche comunicarglielo. Lei finge di non vedermi. È un test cui ci sottoponiamo entrambe. Ed entrambe finora lo abbiamo superato bene. Sorridendoci.

Autunno.
A settembre il coro riprende la sua attività. Si inizia sempre con grande entusiasmo. Ci si conta. Defezioni? Qualcuna ogni tanto, ma arrivano nuove leve. Passano attraverso l’audizione del Maestro, pubblica, fatta lì sui due piedi. La ricordo con vero sgomento. Il Maestro ritiene di dover presentare il suo lato peggiore nel primo incontro con il nuovo corista. Così, tanto per fargli capire con chi avrà a che fare.
Poi però diventa paziente ed amabile, spiritoso e infaticabile. Il Maestro è un uomo audace, lo si vede quando ci presenta il nuovo lavoro da preparare. Niente gli sembra mai troppo difficile. Ci fa misurare con autentici mostri della musica corale.
Si divide tra multipli impegni, le lezioni in Conservatorio, i Madrigalisti romani, e prestazioni professionali dal Brasile alla Bulgaria. Noi temiamo sempre che possa abbandonarci. All’inizio della nuova stagione bisogna ritrovare la propria voce, che inoperosa stenta a ritrovare la sua forma, ma soprattutto bisogna ritrovare i propri muscoli addominali. I nostri addominali sono costantemente presi di mira dal Maestro. Gli attribuisce una tale importanza che sembrerebbe possibile cantare senza corde vocali, ma non senza addominali. La verità è che la differenza tra la voce ed ogni altro strumento musicale, (perché la voce questo è, in tutto e per tutto) è che il tuo strumento lo porti con te, non lo puoi mettere in un astuccio perchè si conservi. Vive con te e con te si ammala o si strapazza, il tuo strumento sei tu e la sua forma è la tua forma, fisica e psichica. Le lezioni del maestro Pantaneschi sono anche lezioni di anatomia e fisiologia. I primi tempi ci sconcertavano, possibile mai che avessimo tutti questi muscoli in gola e tutte queste misteriose parti mobili? Adesso abbiamo familiarizzato, e niente ci impressiona più. Se mi dicesse che ho un motore diesel in gola mi adopererei per riscaldarlo senza battere ciglio.


Adesso ci avviciniamo alla ripresa delle prove ed essendo io una corista modello, ho ripreso qualche spartito, tanto per mettere alla prova la voce.
Confesso che è fiacca, e gli addominali sicuramente non sarebbero di soddisfazione del Maestro. Meglio rinforzarli un pochino prima che le prove inizino. Quanto al fiato, anche quello si fa cantando. E’ spaventoso quanto velocemente si riduca se non ci si esercita. E il “non respirate”! imperativo del Maestro può essere delle volte semplicemente omicida. Se, esalata l’ultima nota di quelle da eseguire con un solo “fiato”, gli cadessimo esanimi davanti, non ci direbbe altro che “bravi!”
Insomma c’è da lavorare.
Vado.

11 commenti:

  1. Che T'aggià dì
    Buona Faticata

    Ieri mi sono fatta raccontare da mio cognato la Colombia vista dai suoi occhi ed oggi vado ad accogliere Erica che torna con la nazionale...
    Pensa che anche la nostra nazionale laggiù girava con la scorta armata...

    Insomma, Viva l'Italia !!

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  2. Dev'essere tremendo. Effettivamente vien da dire Viva l'Italia, o meglio quel poco che ne resterà dopo il rogo estivo.

    ciaomarina

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  3. A me 'sta vita da corista sembra più la salita sul monte Golgota che un piacevole impegno amatoriale. O forse sei una professionista?

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  4. Marinaaaaa
    ma non sapevo che facessi parte di un coro!!! E a Roma, ovviamente!!! Io, per quanto mi è possibile, cerco sempre di ritagliarmi un po' di tempo, per perdermi nelle note di quello che credo sia lo strumento più bello in assoluto...la voce umana. Seguo in particolare la "corale polifonica Gino Contilli" (la conosci?), per la quale faccio anche le riprese dei concerti, realizzando i DVD. E' uno dei miei "lavoretti", uno di quelli che preferisco...
    Allora, voglio sentirti al più presto.. ;-)
    Buon canto.....

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  5. @anna: ma quale professionista e quale Golgota! Coro amatoriale certo e ben più che piacevole!
    C'è contraddizione tra una cosa piacevole ed una che comporti impegno? Comunque le ore che passo al coro sono tra le più belle della settimana, mi dimentico di tutto. Mi passa anche il mal di testa. La musica è una cosa semplicemente vitalizzante e cantare è uno dei piaceri più grandi.
    Dammi ascolto, cercati un coro a l'Aquila e ti appassionerai. Sai, due anni fa' siamo venuti a cantare anche lì. Ma eravate quattro gatti, vergogna!


    @ Donnigio: Verrei a sentirvi ma certo che siete lontani! Non ho capito dove, ma il CAP mi dice che siete lontani. Anche noi non scherziamo, le prove sono al Trionfale. Ma tu canti anche nel coro?
    Se vuoi puoi visitare il nostro sito http://www.novumconviviummusicum.it

    Anche io penso che la voce sia lo strumento più bello in assoluto, ma non facciamoci sentire da tutti gli altri strumentisti....

    ciaomarina
    PS comprato Terzani e aspetta il suo turno
    ;-)

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  6. Marina,
    pensavo al freddo nelle chiese, e questo mi turbava non poco. Io sono stonatissima, credo che nessuno mi vorrebbe in un coro, ma posso provarci, vengo nel tuo? :))

    P.S. Se torni a cantare qui, anche in pieno inverno, con 20 gradi sotto lo zero, nella chiesa più fredda de L'Aquila, ti giuro che verrò ad ascoltarti :) e porto pure la clac!!!!!!!

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  7. No Marina, io non canto in nessun coro. Ho gia troppe passioni da coltivare, finirei per non avere più tempo libero ;-) Io realizzo i video dei concerti della polifonica corale Gino Contilli...e mi domandavo se l'avevi mai sentita, dato che suonano molto in giro per Roma.
    Bene bene, buon viaggio con Terzani allora ;-)

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  8. @ ∂onnigio: no, il coro che segui non lo conosco, ma siamo talmente tanti a Roma! Però non si sa mai, sul sito seguirò i loro impegni e se possibile me li vado a sentire.

    ciaomarina

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  9. Il mio sogno di sempre: cantare in un coro.
    http://artemisia-blog.blogspot.com/2007/02/canta-che-ti-passa.html

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  10. Lo so, ci sono tanti cori anche a Firenze. Spesso sono pieni di donne cercano disperatamente voci maschili. Inoltre mi spaventa l'impegno, soprattutto il fatto di dover uscire dopo cena. Dovrei vincere questa pigrizia, lo so...
    Prima o poi lo faro'!

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  11. lo so che cercano voci maschili, è così dappertutto, ma non ti fare scoraggiare dalla pigrizia.
    Anche io delle volte sono stanca e l'idea del traffico per arrivare mi scoraggia, ma resisto e appena arrivo mi dimentico di tutto e di tutti.
    Che sollievo! Impagabile!

    ciaomarina

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Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo