mercoledì 6 giugno 2007

audizione

Il mio secondo maestro di voce era un americano, nero, molto bravo, spessissimo impegnato in spettacoli di lirica o in musical. Era molto severo ma sempre cortese. Accettava di dare lezioni private solo dopo audizione.
Un’audizione vocale è peggio di un intervento chirurgico all’addome. In entrambi i casi si tratta di tirare fuori le proprie viscere, solo che in un’ audizione non c’è anestesia. Non ho scelto il paragone a caso: avendo subito sia l’intervento che l’audizione parlo con cognizione di causa. Potete non credermi ma cantare, tirare fuori la propria voce-cantante, implica una totale rinuncia a qualunque forma di riservatezza, bisogna lasciarsi andare senza vergogna. Ad esclusione dei nostri organi interni non abbiamo niente altro così nascosto e intimo come la nostra voce-cantante. Liberarla ed esporla davanti a qualcuno che è totalmente concentrato nell’ascolto è davvero difficile. Più ancora del giudizio che seguirà, è proprio il doversi consegnare con la propria voce nuda che spaventa. Comunque io volevo andare a lezione da T.M. e quindi non avevo scelta. T. faceva accompagnare i suoi allievi da F. un italiano bravo al piano almeno quanto lui come cantante.
Insieme erano una coppia da brivido. F. si mise al piano e iniziammo. Alle audizioni T. non voleva ascoltare l’aspirante allievo in esercizi di agilità, o potenza, no, niente vocalizzi, lui voleva che si cantasse un pezzo. Lo sceglieva lui all’interno del mucchietto di spartiti che portavamo. Scelse per me “Le secret” tratto da “La bonne chanson” una raccolta di poesie di Verlaine musicate da Gabriel Fauré. Musica del primi del ‘900, molto bella, non facile. Controllai rapidamente, sì solo un paio di sol acuti, niente di più alto. Intanto T. stava in piedi e mi girava intorno, verificava tutto, la posizione del corpo, le spalle, la testa, l’appoggio al suolo, si avvicinava a sentire il mio respiro, mi dava minuscole spinte per vedere se ero salda sulle gambe, toccava le braccia, per controllare se erano rilassate, insomma un tormento. La posizione doveva essere insieme salda e rilassata. E quanto alla voce: -questa no- disse imperativo, appena aprii bocca. -Come questa no? Ho solo questa- replicai -Niente affatto. Questa non è la tua voce vera- Feci un nuovo tentativo. -Non ci siamo-insistette.
-Senti, mi dispiace farti perdere del tempo ma la mia voce è questa, se non va non va-Volevo solo fuggire.
Fidati- disse lui-questa è la tua voce pubblica. Io voglio sentire quella privata.
Quando studi a casa ti ascolta qualcuno? -mi chiese. Il mio cane e la mia gatta si allontanavano infastiditi appena iniziavo a cantare, mio marito metteva almeno tre porte tra di noi. Insomma non ero sola ma era come se lo fossi. Eppure io stessa sapevo che se ero perfettamente sola in casa cantavo in tutt’altro modo e mi piaceva molto di più.
-Adesso devi rendere pubblica la tua voce privata- disse fermo.
Confessai che ero troppo agitata e mi vergognavo troppo. Ero pronta a rinunciare alle sue lezioni.
Ma T. era abituato a queste schermaglie, come seppi poi. Vieni con me-disse e mi fece spostare in un piccolo giardinetto interno, una palma circondata di edere e alcune ortensie, su cui si apriva il suo studio. Lui rientrò nella stanza. -Quando sei pronta comincia direttamente- disse. Respirai, respirai e ancora respirai. Mi maledissi. E poi cominciai.
Appena iniziai a cantare, dall’interno partì il suono del piano a sostenermi. Mi rinfrancai. “Le secret” è una bellissima poesia d’amore e la musica di Fauré è bellissima a sua volta e il giardinetto anche mi parve bellissimo e insomma piano piano mi lasciai prendere da tutta quella bellezza, e soprattutto dal piacere di aprire la gola e lasciar uscire la voce, dalla gioia che mi dà cantare. Sapevo che T. era lì a vivisezionare la mia voce ma per la durata del pezzo me ne dimenticai. Quando terminai e rientrai nella stanza T. ridacchiava assieme al suo compagno. Sembra che il sistema del giardinetto sia la loro carta vincente di fronte alle resistenze di noi allievi. Comunque dichiarò che c’era da lavorare all’infinito perché la mia voce si educasse, che sbagliavo tutti i respiri, che i salti di note erano terribili, che i sol erano duri e non so più cos’altro. Però la mia voce privata gli piaceva e mi avrebbe dato lezioni. Con T. ho studiato solo un anno, ma è stato un anno bellissimo.
Quanto alla mia voce privata, ogni tanto non voleva uscire fuori. Allora da sola me ne andavo nel giardinetto e lì la ritrovavo che mi aspettava tra la palma e le ortensie.
Nel coro dove canto ora la mia voce privata non la porto quasi mai. Qualche volta sull’onda dell’entusiasmo per qualche brano che mi piace particolarmente sento che vuole uscire, ma decisa riafferro le mie viscere e le rimetto al loro posto.

Ci tengo a dichiarare che almeno una delle mie gatte attuali adora la mia voce, pubblica o privata che sia. Appena inizio a cantare mi si sistema davanti in una vera e propria posizione di ascolto e non si allontana se non quando ho terminato.
E qualcuno sostiene che gli animali non hanno un’anima!

3 commenti:

  1. Affascinante il tutto, davvero affascinante.
    Ho un unico dubbio: si chiama veramente "anima" ? Boh !!

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  2. Ho preso lezioni da due maestre diverse, una di canto moderno e una di canto classico. Ma della "voce privata" non mi hanno mai parlato. Mi piacerebbe tanto scoprirla!

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  3. @ Artemisia: essenzialmente credo che coincida con l'abbandono di ogni difesa, sì la definirei così, una voce totalmente abbandonata al suo piacere...

    ciaomarina

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