mercoledì 30 maggio 2007

comitato elettorale/uno

Un comitato elettorale è come un’ orchestra. Ognuno ha il suo strumento e il suo spartito e deve intessere la sua parte con quella degli altri orchestrali affinchè alla fine si ottenga la piena armonia che il compositore ha pensato.
Nella realtà un comitato elettorale è molto cacofonico, perché pur lavorando tutti per il medesimo obiettivo, sottoscopi diversi animano i partecipanti.
Come è naturale c’è gente che lavora per il candidato ma anche per sé, spera in un ritorno per la sua carriera politica o per la sua posizione lavorativa, o in un aiuto dal futuro eletto per altri e diversi suoi problemi. Io considero tutto ciò assolutamente legittimo, naturale e per niente riprovevole. Non ne faccio una questione etica, ma io preferisco essere un soldato semplice. Non arruolato ma volontario.
Io ho bisogno di sentirmi assolutamente libera nel mio impegno, debbo poter pensare in qualunque momento:- Adesso mi alzo, prendo la mia borsa e me la filo.- Questa è la mia unica condizione.
Nella realtà la borsa non la prendo mai e non me la filo. Al contrario lavoro indefessamente ma il senso della mia partecipazione non dev’essere mai equivocato.
Delle conoscenze che si fanno all’interno di un comitato elettorale e che possono essere anche molto importanti, non mi piace approfittare. Non chiedo mai niente per me anche quando e se potrei farlo. Il fatto è che preferisco pensare di poter dire ad un fesso -sei un fesso- senza dovermi ricordare di un favore precedentemente chiesto.
La morale non ha niente a che fare con questo, non voglio prendermi meriti che non ho, semplicemente dire fesso ai fessi mi piace.

Tornando all’orchestra e alla cacofonia. Il fatto è che spesso i volontari hanno in comune solo il sostegno al candidato, tutto il resto potrebbe dividerli e spesso li divide.
Le personalità cozzano, i temperamenti si urtano, c’è un bel clima di tutti contro tutti proprio mentre si lavora tutti per uno. Paradossalmente ci si vuole molto bene anche se ci si è antipatici. Si è pronti a difendere il più odioso dei volontari da qualunque attacco gli venga da fuori del comitato. Il comitato diventa un clan, come lo definirebbe Elias Canetti. I vincoli sono fortissimi e prescindono dalla razionalità. Avendo un temperamento passionale adoro questo clima, alla “noi e loro”.
Loro sono tutti quelli che sostengono il candidato avversario. Naturalmente loro sono convinti di essere i” noi” e che noi siamo i “loro”.

Ma può invece succedere che oltre alla devozione per il candidato si sia uniti da altre passioni. Con la mia amica Luciana divido anche la fede calcistica, come pure con un giovane volontario del mio ultimo comitato elettorale pro sindaco.Si chiama Marco, detto da me “zainetto” perché girava con uno zainetto giallorosso sulle spalle. Romanista lui, praticamente malato di amore, e romanista io. Quando chiedeva ad alta voce e con un’aria incerta, chiaramente per essere rassicurato-che dite ce la facciamo?- e tutti subito saltavano su-ma certo che ce la facciamo, non li hai visti i sondaggi?!- solo io sapevo rinfrancarlo perché solo io sapevo che parlava del campionato di calcio che quell’anno ci vedeva arditamente in testa.
Vincemmo il campionato e vincemmo le elezioni e l’ultima sera, in uno stato di euforia da LSD, sventolavamo insieme le bandiere della Roma e quelle della nostra parte politica: Luciana, donna molto previdente ne ha sempre almeno un paio dei due tipi in macchina.



Di comitati elettorale ne ho frequentati tanti nella mia vita e consiglio a tutti di farne l’esperienza. E’ appassionante, istruttiva e gratificante. Ma soprattutto è divertente.

Il mio primo comitato elettorale (tralascio le battaglie per i referendum storici del nostro paese perché, a quanto mi ricordo, allora si lavorava disorganizzati e parcellizzati) fu quello per l’elezione del sindaco della mia città. A quell’epoca non stavo molto bene, anzi non stavo bene affatto, anzi stavo proprio male. Comunque l’imperativo era la parola “motivazione”, cioè trovare qualche cosa che mi convincesse ad uscire di casa dove, asserragliata, mi rifiutavo di ammettere che il mondo esistesse ancora.
Un rientro nella politica, vecchio illusivo amore, mi parve una motivazione possibile. Abbracciai così la causa di un candidato che rappresentava quanto di più nuovo e dirompente si potesse immaginare nella situazione in cui la mia città versava allora: cioè al livello zero di cura politica.
Il comitato elettorale era un caos organizzato molto pittoresco, che mi accolse come un altro elemento caotico. All’inizio non era molto chiaro né che cosa dovessi fare né dove. Bighellonavo di stanza in stanza, rispondevo al telefono, preparavo memoranda per il responsabile del programma sull’ambiente che non venivano letti; poi passai alla comunicazione dove una certa facilità di espressione mi rendeva più utile.
Non posso dire di avere un ricordo molto chiaro di quel periodo, sia perché era davvero un periodo infame per me, sia perché grande era la confusione sotto il cielo. Anche quello del comitato.
Comunque vincemmo la nostra scommessa politica. Per il sindaco neo eletto, la sera della comunicazione dei risulatti e quindi della festa, confezionai una crostata che portai al Palazzo delle Esposizioni dove la festa si teneva. Per arrivare al roof dovetti litigare con la sicurezza che voleva farmi salire all’ultimo piano in ascensore, poiché le scale erano off limits. Pur avendogli spiegato che la mia claustrofobia non mi permetteva di stare in luoghi chiusi, l’uomo continuava a sostenere che un ascensore in vetro non è un luogo chiuso poiché si vede l’esterno. Un ascensore in legno o in ferro è chiuso, continuava a sostenere, in vetro è aperto. Su questo concetto di fisica discutemmo un bel po’ finchè tirai fuori la crostata e gliene promisi una fetta.
In effetti gliela tenni da parte, ma nella confusione finale, non lo trovai più.
Quella fetta di crostata me la mangiai io: fu il mio compenso per l’impegno pro sindaco e me lo attribuii da sola.

Al mio secondo comitato elettorale approdai in occasione delle elezioni politiche del ‘94. Chi condivise con me la cocente delusione per quel risultato elettorale dirà che potevo anche astenermi, ma io sono ancora molto contenta di avervi partecipato. La mia candidata mi piaceva molto. Donna, femminista, filosofa: una vera anomalia. Era la nipote di un grande, molto grande, per me il più grande vecchio della sinistra italiana. Di quel nome prestigioso non si servì mai, né degli appoggi che avrebbe potuto garantirle.
Avevamo molto entusiasmo ma pochissimi soldi e ci battevamo contro il più ricco tra gli italiani. Dopo aver fatto una infinità di conti arrivammo a concederci diecimila manifesti. Mi recai nella tipografia a portare l’ordine e a discutere il prezzo. Il proprietario, che pure votava per noi, indicandomi una intera zona del suo negozio occupata dai volantini dell’altro candidato mi disse testualmente : -ma ‘ndo andate, questo ve fa’li bozzi.- Gli altrui volantini erano duecentomila.- Il rapporto era proprio questo. Perdemmo, e in che modo perdemmo! Nella nostra città passò uno solo dei nostri candidati. Era una donna. Quanto alla mia candidata questa scomparve poi dalla politica, a riprova di quanto fosse anomala.
Qualche sera dopo la débacle, facemmo una riunione per esaminare le ragioni della sconfitta.
Noi gente di sinistra adoriamo partecipare a sedute psicanalitiche in cui ci interroghiamo sui perché delle nostre sconfitte. Lo facciamo a tutti i livelli, dai grandi leader ai più piccoli militanti di sezione. Io non so più a quante ho partecipato. Sono molto stimolanti, le migliori intelligenze si esercitano in ardite costruzioni, spettacolarmente fantasiose o lucidamente realistiche, secondo i temperamenti.
Io ne vado pazza, non me ne sono mai persa una. Datemi una sconfitta e la possibilità di ricercarne le ragioni ed io accorro.
Accorsi anche alla nostra piccola riunione e quando toccò a me parlare, scorrendo i nomi dei candidati che erano passati al posto dei nostri, feci un’unica dichiarazione:-Avrebbero votato chiunque pur di non votare per noi.-
Modesta conclusione, lo so. Ma pur essendosi precedentemente espressi con analisi politiche molto più sofisticate, tutti i presenti concordarono convintamente con la mia. Chiudemmo con una splendida cena perché la mia candidata era anche un’ottima cuoca. Anche questo va tenuto presente quando si sceglie un candidato.

1 commento:

  1. Che bello... ho respiarato l'eria di giorni e momenti che ho molto amato.
    Hai ragione nel suggerire la partecipazione ad un comitato elettorale ed io vorre aggiungere un'ulteriore motivazione.
    I comitati elettorali danno, a chiunque vi partecipi, la possibilità d'incontare e conoscere delle persone particolari ed a loro modo speciali. Alcune di loro sono nel mio cuore da anni.

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