domenica 29 aprile 2007

tennis due

Nel tennis c’è una strategia. La partita si prepara. Si studia l’avversario del momento e si decide l’impostazione del gioco.
Questo lo faccio correre, ha poco fiato, ha preso peso, ha fatto troppi tornei..
A questo la palla gliela mando destra-sinistra-destra, la corsa laterale, con veloci cambiamenti di direzione, lo destabilizza.
Quest’altro è potente ma poco pronto. Lo prenderò di sorpresa. Fingo un diritto e lo chiamo a rete con una corta volée, perché correre in avanti lo tramortisca..
Questo si fa distrarre, deconcentrare. E non è abbastanza cattivo. M’invento un malanno. Chiedo di essere medicato. Prendo tempo. Lui intanto non sa cosa fare. Cerca di mantenersi attento ma piano piano si allontana dal cuore della partita. Io torno in campo saltellante. E’ fatta. Credermi infortunato lo ha perduto.
Oggi invece mi sento leggero eppure fermo e il mio sguardo è acuto e preciso. Tento il lob e la palla si inarca alta verso il cielo e il mio avversario la vede passare sopra la sua testa, abbozza appena un gesto ma capisce che non potrà mai raggiungerla e allora si ferma rassegnato o fremente di rabbia..
E la palla perfetta, tesa e morbida insieme, precisa, esatta al millimetro, elegante e strafottente, dopo il suo arco perfetto ricade morbidamente, appena prima della riga bianca...
Anche a noi succede talvolta il miracolo di un lob perfetto, elegantemente lasciamo fermo il nostro contendente, senza sforzo, per un attimo voliamo più in alto di lui...


Sul campo c’è sudore e fatica. Paura, ansia, incertezza. Ogni tanto si sputa in terra perché l’ansia fa salivare o si beve, perché la stessa ansia secca la gola..
Tra avversari ci si insulta, o si fingono gesti cavallereschi. Ma quando ci si passa accanto al cambio di campo non ci si guarda neppure. Non è quello che facciamo sempre? Ognuno di noi passa accanto all’altro senza guardarlo, pensando solo alla prossima mossa. Ci rifiutiamo di guardarlo per tema di dover riconoscere che è come noi, incerto, timoroso, stanco.

C’è un pubblico che guarda la partita e appassionatamente tifa per l’uno o l’altro giocatore. Il pubblico è crudele. E noi che giochiamo la nostra partita sappiamo che il pubblico ci guarda, come i giocatori sanno che quel pubblico che li guarda, ne vuole uno umiliato. E grida e si agita e ci esorta e talvolta ci insulta. Dobbiamo vincere, non importa se siamo stanchi e se il nostro avversario ne ha più di noi. Dobbiamo vincere.
Quando vorremmo darci per vinti, ci arriva ancora l’ultimo grido del nostro appassionato sostenitore e comprendiamo che finché non saremo stati umiliati del tutto, dovremo continuare a giocare.


Non è possibile giocare la nostra partita tranquilli, in una zona d’ombra del campo. Non ci sono zone d’ombra sul campo. Quando verso il tramonto le ombre cominciano ad allungarsi su una parte del terreno di gioco, ogni giocatore sa che al cambio di campo dovrà tornare dalla parte assolata. E quando quell’ombra invece di recare sollievo mette in difficoltà, fa strani giochi, crea false distanze, nasconde per brevi istanti la palla, in quell’ombra brevemente evitata, il giocatore sa che dovrà tra poco rientrare.


Ci si mette una tenuta per giocare. Qualche giocatore cerca la più accattivante, la più originale, la più elettrizzante per il pubblico, inventa piccoli particolari personali, tenta di distinguersi. Un braghettone largo e lungo, un vestitino come una pelle luccicante, un piccolo congegno per accogliere la palla di riserva, il gonnellino leopardato, un buffo berretto con una strana visiera posteriore...Qualche giocatore cerca solo la tenuta più comoda e confacente, ma se non è davvero un fuoriclasse, presto nessuno si ricorderà di lui.
Continua......

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